Ija Kiva ha quasi quarant'anni ed è una poetessa, giornalista e traduttrice originaria del Donets'k.
A causa dell'inizio del conflitto in Donbass, dal 2014 si trova costretta a trasferirsi a Kiev. Oggi vive a Leopoli dove è attiva anche come volontaria. Alcune delle sue poesie sono presenti nella raccolta appena editata da Mondadori e intitolata Poeti d'Ucraina.
A) LET'S GO! (2014)
Lo spazio urbano è il contrario dell'idea di casa
ostile alla stabilità
esplicitamente chiuso
e quel che è peggio
assolutamente imprevedibile
metti caso
che un giorno ti ritrovi all'incrocio
di via Dovzenko e via della Vittoria
o al binario del metrò Chrescatyk
o te ne vai dal Podil alla piazza d'Europa
che cosa stai facendo
oppure diciamo
sei a un concerto alla filarmonica
guardi un film al cinema vicino
bevi un chai latte al bar all'angolo
fai due chiacchiere con uno scrittore
credi di conoscer bene la città
in borsa hai almeno quattro mappe
di cui una della Kyjiv dell'anteguerra
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Kiev, una via del quartiere di Podil
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la metro di Kiev |
Inizio da una poesia che ritrae il "disagio urbano" dell'autrice. Nel primo verso la Kiva afferma che lo spazio urbano è l'opposto dell'idea di casa, cioè, è continuamente soggetto ai cambiamenti. Oltre a ciò, con l'espressione "ostile alla stabilità", credo si lasci intendere una serie di aspetti poco confortanti di cui le città, in particolare, le capitali e le metropoli, sono caratterizzate: il traffico, intenso e imprevedibile, non rende certo la città un luogo intimo e tranquillo, anche dal momento che l'edilizia cresce costantemente. La poetessa menziona alcune vie e alcuni quartieri e luoghi tipici di Kiev.
Tuttavia, nella seconda strofa, soprattutto con il verso "che cosa stai facendo", privo tra l'altro del punto interrogativo, mi sembra si alluda alle relazioni dispersive, proprio come in After Dark, bestseller di Murakami (uno dei migliori romanzi che io abbia mai letto), ambientato in una grande città e di notte. Vi riporto le prime frasi: E' una metropoli quella che abbiamo sotto gli occhi. Nel nostro sconfinato campo visivo appare come un gigantesco animale. Un mare di luci al neon.
Gli ultimi due versi del componimento servono ad evidenziare il disorientamento di Ija: in borsa ha quattro mappe di Kiev, di cui una anteriore al secondo conflitto mondiale (la poesia è del 2014, quindi la guerra in Ucraina doveva ancora scoppiare).
L'assenza di punteggiatura, in questo componimento, rimanda alla frenesia della vita cittadina, ad una quotidianità fatta di traffico, smog, folle di persone, caos.
L'autrice si rivolge a se stessa con quel "credi di conoscere la città"... e qui penso ad una mia recente esperienza da veronese. Proprio nel tardo pomeriggio di giovedì scorso, prima di una cena in un ristorante di Verona centro con Matthias, mi sono accordata di incontrarmi con una nuova amica, conosciuta poco dopo Pasqua durante gli ultimi incontri al Centro Toniolo. E' stata lei a propormi un posto della nostra città che io non conoscevo affatto, e così ci siamo trovate al Parco Colombare, in zona Valdonega, immerse nel verde e con sottofondo costante di cicale.
Di Verona conosco molto bene soprattutto i quartieri di Borgo Milano, Borgonuovo, Borgo Trento, le zone del centro storico (che hanno fatto parte della mia formazione accademica) e Quartiere San Zeno. A Borgo Roma, da alcuni mesi a questa parte, me la cavo abbastanza bene con l'orientamento. Borgo Venezia non lo conosco affatto e della Valdonega, zona collinare appena sopra Borgo Trento, ho scoperto spazi veramente suggestivi dal punto di vista panoramico.
Quella sera stessa, tornando dalla città, mi sono detta: "Credevi di conoscere bene il tuo capoluogo di provincia e la città che, da quando hai 19 anni, ti ha dato numerose occasioni di formazione, di socialità e di cultura... E invece non è esattamente così".
B) TE NE STAI QUI IN QUESTA CITTA' STRANIERA (2019):
Te ne stai qui in questa città straniera
in mezzo a un suo famoso cimitero
leggi scritte in polacco
senti i turisti polacchi
tomba tomba tomba
che cercano qualche morte in polacco
tu cerchi qualche morte in ucraino
potrebbero esserci sepolti i tuoi
se non li avessero costretti a diventare eco
a vagare nel Donbas cercando morte in russo
perché proprio a quell'ora in quel punto di Ucraina
una ragazza con i capelli neri lunghi
muovesse le labbra traducendo la morte
e cercasse al cimitero il tuo cognome.
Anche in questa poesia senza strofe l'autrice si rivolge a se stessa ("te ne stai qui in questa città straniera"). Si sente ancora "trapiantata" a causa di una pesante situazione politico-militare e politico-sociale che, a partire dallo scorso anno, è degenerata in invasione dell'intera Ucraina e bombardamenti su tutto il paese, anche a 20 km dal confine con la Polonia.
Ad ogni modo, il cimitero in questa lirica è un'immagine centrale.
Si menzionano i turisti polacchi che visitano il cimitero di Kiev...
Anche i polacchi hanno subito soprusi terribili da parte dell'Unione Sovietica nel secolo scorso, al punto tale che, per loro, sarebbe assolutamente terrificante, anzi, impensabile, ritornare uno stato satellite della Russia.
I polacchi non sono il popolo più facile con cui avere a che fare... parlando molto in generale, anche se ce ne sono di buonissimi dal cuore d'oro, sono ritenuti molto "tosti", sono dei "duri", abbastanza spesso antisemiti e xenofobi. E' questa la loro fama europea. Insomma, non sono certo votati alla beatificazione, pur riconoscendo loro l'esperienza di un Novecento molto tragico e difficilissimo.
In Polonia, come d'altronde in Romania e in Moldavia (e nella stessa Ucraina), è più viva che mai l'immagine di una Russia violenta, oppressiva e minacciosa, è più viva che mai anche, nella memoria storica del Novecento, l'immagine di governi filo-sovietici non democratici e repressivi: si pensi ad esempio alla rivolta di Poznan del 1956, repressa nel sangue dall'esercito filo-sovietico, in cui gli operai polacchi protestavano contro l'Unione Sovietica a causa dell'aumento significativo dei beni di prima necessità.
Nonostante la Polonia sia all'interno della NATO dal luglio 1997 e quindi sia garantita dall'alleanza militare atlantica, è ancora forte, presso questa popolazione, il terrore di venire bombardati e attaccati dall'esercito russo.
I familiari di Ija sono, in questo contesto, "eco"... quasi dei fantasmi senza consistenza fisica.
Il termine "eco" è qui molto doloroso perché pone l'accento sul dolore e il dramma della perdita, sull'interiorità ferita dell'io, non sulle azioni militari o su immagini violente.
Quando Ija Kiva scrive questa poesia, la Russia ha già invaso una regione, il Donbass. E gli ucraini sperimentano la morte "per mano russa", ovvero, "per mano dei loro vicini di casa e dei loro vicini di geografia".
Anche nel IX° canto dell'Inferno di Dante il cimitero è un'immagine centrale. Dante e Virgilio entrano nella città di Dite, il cui "centro" è costituito da sepolcri aperti che emanano non soltanto fiamme ma anche lamenti da parte dei dannati. Si tratta degli atei, degli epicurei e dei monofisiti con i loro seguaci. Certo, è vero, nel componimento di Ija Kiva non ci sono punizioni, non ci sono eretici e si cercano in un cimitero i nomi dei propri cari morti. C'è soltanto una ragazza ucraina dai capelli neri che, muovendo le labbra, cerca al cimitero il cognome dell'amato perito in guerra.
Ad ogni modo, in questa poesia come nel canto IX° dell'Inferno, il fulcro è una città con un cimitero all'interno delle sue mura.
Dopo aver letto questa poesia mi sono chiesta: ma noi occidentali (europei dalla Slovenia alla Spagna) con gli Stati Uniti potevamo fare in modo, già nella scorsa decade di questo secolo, che questo conflitto tra Russia e Ucraina si potesse evitare? Potevamo applicare le sanzioni alla Russia già nel 2014, invece di aspettare che "l'operazione speciale" di Putin iniziasse a distruggere famiglie, storia, architettura e diritti fondamentali di un popolo dell'Europa dell'est che da alcuni anni era molto più vicino all'Occidente che non all'Oriente autocratico? Potevamo mediare già nel 2014?
Il conflitto russo-ucraino è una guerra tra fratelli che condividerebbero la stessa corrente di cristianesimo, le stesse lingue, identiche parti di storia in alcuni periodi, tralasciando il genocidio dell'Holodomor in cui hanno perso la vita, senza alcun giustificato motivo, 4 milioni di contadini ucraini. Perché, effettivamente, saranno anche simili, ma i russi hanno molto da farsi perdonare agli ucraini.
C) IL BOSCO NERO DEL FAR MALE (2022):
Il bosco nero del far male
è densamente popolato
di grida di dolore
la rugiada si aggira
tra le radici della sete
sulla nudità
il respiro si interrompe
contro rami di innocenza
quasi morti auspici
fili spinati d'alberi
ondeggiano incapaci
come lenzuola sporche.
Le città del Donbass sono paragonate ai "boschi neri", ovvero, sono teatri di violenza e di dolore.
Durante la lettura di questa poesia, inevitabilmente ho ricordato i contenuti del XIII° canto dell'Inferno di Dante. In questa parte della cantica l'attenzione è focalizzata sulla "selva dei suicidi": un bosco senza sentieri caratterizzato da rami nodosi e da spine. Le arpie svolazzano tra un albero e l'altro gridando e, a queste urla, si aggiungono i lamenti di coloro che si sono tolti la vita e che, nell'immaginario di Dante, sono stati trasformati in alberi.
A mio avviso la rugiada è riconducibile ad un debole attaccamento alla vita da parte dei sopravvissuti.
Le ultime due terzine contengono espressioni intense ma non troppo facili da decifrare.
Con quei "rami d'innocenza" sembra che la poetessa alluda non soltanto alla morte della natura, nel caso in cui questa lirica sia ambientata nell'autunno 2022, ma anche alla morte per la quale non c'è spiegazione razionale, non c'è senso: i civili ucraini, innocenti, soprattutto se donne e bambini, che assistono a una quotidianità dell'orrore e a cui è stato rubato il futuro.
Forse i "morti auspici" sono i probabili presagi di ulteriori battaglie e scontri.
Quanto ai "fili spinati d'alberi", credo siano riferiti al fatto che questo attuale conflitto accentui le divisioni tra le famiglie del Donbass, popolate, non dimentichiamolo mai, anche da una significativa minoranza russa.
Questa guerra fomenta l'odio e dovrebbe rendere consapevoli, come accennavo prima, del fatto che tra russi e ucraini ci sono dei nodi storici irrisolti: i governi dell'URSS e dell'attuale Federazione Russa non hanno dato e non danno tuttora importanza ai drammi che gli ucraini hanno vissuto. Oltre a Holodomor pensate che, quegli intellettuali ucraini del secolo scorso che promuovevano la lingua e la cultura ucraina senza fare compromessi con la coscienza e quindi senza piegarsi a scrivere poesie in elogio di Stalin, venivano arrestati e inviati nei gulag situati o in Siberia o vicino al Mar Caspio.
Per concludere: le "lenzuola sporche" richiamano ancora una volta alla violenza, al sangue innocente, al trauma dei civili.
D) TENERE IN BOCCA UN AGO DI SILENZIO (2022):
Tenere in bocca un ago di silenzio
cucire parole con fili bianchi
agghiacciarsi inghiottendo la saliva
sputare sangue invece che gridare
fermare gocce di lingua sulla lingua
bucata come un secchio arrugginito
rattoppare oggetti che dovrai usare
mettere una croce sui punti più rotti
come le bende sui feriti in ospedale
imparare a cercare le radici di una vita
che ancora non sa come si chiama.
Questa poesia per me è tutta una metafora: i fili bianchi sono i fogli bianchi, mentre quell'ago di silenzio è il silenzio verbale che non coincide con quello poetico.
Sembra che nella seconda strofa, con immagini forti ed espressive, la Kiva faccia riferimento al riversare dolore esistenziale e fatica letteraria e professionale, oltre che umana, nelle sue attività di volontaria di guerra.
Ecco il motivo per cui la lingua è "secchio arrugginito". Questa guerra sta mettendo in difficoltà la linguistica europea: a causa di stupri, massacri, bombe e altre violenze, una parte di ucraini si rifiuta di parlare in russo, pur essendo bilingui. Ma la lingua è "secchio arrugginito" anche per il fatto che la poetessa sembra chiedersi: esistono parole ed espressioni efficaci per esprimere la precarietà della vita, le angherie, la morte che sovrasta il cielo e verso la quale noi andiamo incontro pur di non tornare sotto la Russia autoritaria?
Vi invito a porre l'attenzione sulla terza strofa che ricopio qui sotto:
rattoppare oggetti che dovrai usare
mettere una croce sui punti più rotti
come le bende sui feriti in ospedale
L'autrice, nonostante si dichiari in difficoltà espressiva, ritiene ancora che con la poesia si possano "rattoppare", cioè curare, le ferite interiori attraverso l'introspezione, la capacità di sapersi ascoltare e di cercare ancora qualche motivo per vivere, come ad esempio l'impegno civile e il volontariato convinto e motivato.