A fine inverno io e Matthias abbiamo condiviso la lettura della raccolta Amore a prima vista.
Dopo una breve sintesi della biografia, vi proponiamo qui l'interpretazione di alcune liriche di questa poetessa polacca.
I contenuti delle sue poesie non sono così semplici, per cui è stato molto sfidante per noi cercare di attribuire valore e significato a diverse immagini.
WISLAWA SZYMBORSKA:
Nata nel luglio 1923 a Kòrnik, con la famiglia si è trasferita a Cracovia nel 1931 per iniziare il liceo.
Da giovane ha aderito alla corrente politico-culturale del realismo socialista, come dimostrano le prime due raccolte poetiche intitolate Per questo viviamo e Domande poste a me stessa.
La sua terza raccolta poetica, intitolata Appello allo Yeti, le conferisce un maggior successo letterario.
Dopo i 30 anni la poetessa si distacca nettamente dall'ideologia del Partito Comunista polacco, impegnandosi con il sindacato Solidarnòsc.
Nel 1993 ha ricevuto il Premio Goethe in Germania e, tre anni dopo, il Premio Nobel. E' deceduta a Cracovia nel 2012.
A) LA MUSA IN COLLERA:
Perché scrivo canti d’amore
così raramente?
Questa domanda già prima
me la potevi fare,
ma tu, come si comporta
ogni uomo indulgente,
aspettavi la scintilla
che in strofa s’accende.
È vero, taccio – ma taccio
solo per timore
che il mio canto in futuro
mi dia dolore,
che verrà giorno e d’un tratto
smentirà le parole,
resteranno ritmi e rime,
se ne andrà l’amore,
e sarà inafferrabile
come l’ombra di un ramo.
Oh, sì, un normale timore
mi lega la mano.
Questo mio silenzio
so però spiegare.
Come incidere su pietra
parole audaci,
se neppure oso toccare.
petalo di rosa?
Timore arciprudente,
tu mi fai paurosa…
Quando misi mano al foglio,
c’era un altro fra noi.
Non attese, corse fuori
sbattendo la porta.
Se era il vento che entrava
– poco importa, ma se
era la musa, la Musa
dei canti d’amore?
So che la mia prodezza
indignerà i vicini.
Ma dica pure la gente
ciò che le pare.
Correrò giù e griderò
ai quattro venti:
Erato, torna! Aspetta!
Erato, mi senti?
Quando misi mano al foglio,/c’era un altro fra noi./Non attese, corse fuori/sbattendo la porta.
Nulla due volte accade
né accadrà.
Per tal ragione si nasce senza esperienza,
si muore senza assuefazione.
Anche agli alunni più ottusi
della scuola del pianeta
di ripeter non è dato
le stagioni del passato.
Non c'è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
né due baci somiglianti,
né due sguardi tali e quali.
Ieri, quando il tuo nome
qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.
Ogg, che stiamo insieme,
ho rivolto gli occhi altrove.
Una rosa? Ma cos'è?
Forse pietra, o forse fiore?
Perché tu, malvagia ora,
dài paura e incertezza?
Ci sei — perciò devi passare.
Passerai — e qui sta la bellezza.
Cercheremo un'armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d'acqua.
Rimasero talmente soli,
così, senza parole
e degni di miracolo per tanto disamore –
di un fulmine dal cielo, d’esser mutati in pietra.
Milioni di copie di mitologia greca,
però non c’è salvezza per lui come per lei.
Se almeno ci fosse qualcuno sulla porta,
se qualcosa, per un attimo, apparisse, sparisse
lieto, triste, da ovunque venisse,
fonte di riso o timore, che importa.
Ma non accadrà nulla. Nessuna improvvisa
inverosimiglianza. Come in un dramma borghese,
questo sarà un lasciarsi del tutto regolare,
senza neanche un apriti cielo a solennizzare.
Sullo sfondo solido della parete,
l’un per l’altro dolente,
stanno di fronte allo specchio, e lì c’è
solo il riflesso conveniente.
Solo il riflesso di due persone.
La materia sta sull’attenti.
Per quanto è lunga e larga, e alta,
in terra, in cielo e ai lati
vigila i destini innati
– quasi che per una cerbiatta improvvisa nella stanza
dovesse crollare l’Universo.
Nessuno in famiglia è mai morto per amore. Nulla di quel passato potrebbe farsi mito. Romei tisici? Giuliette malate di cuore? C'e chi anzi è diventato vecchio e raggrinzito. Nessuna vittima d'una risposta non giunta a una lettera bagnata di pianto! In fondo appariva sempre un qualche vicino con pinze-nez e rose in mano. Nessun soffocamento in un armadio elegante per il ritorno del marito dell'amante! Questi corsetti, queste gale, la mantiglia non impedivano di entrare nella foto di famiglia. E mai nell'anima Bosch infernale! Morivano con una palla nel cranio e barelle da campo per guanciale. Perfino questa, con pudico decolletè e gli occhi cerchiati come dopo una soirèe, è defluita con una grande emorragia non verso di te, o cavaliere, e non per nostalgia. Prima della fotografia, forse qualcuno, ma di quelli dell'album, a quel che so, nessuno. Le pene volgevano al riso, giorni volavano, e loro, placati, per un'influenza se ne andavano.
Un amore felice
Un amore felice. È normale?
È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?
Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così – in premio di che? Di nulla;
la luce giunge da nessun luogo –perché proprio su questi
e non su altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi accumulati con cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.
Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono – è un insulto.
In che lingua parlano – comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano –
sembra un complotto contro l’umanità!
È difficile immaginare dove si finirebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?
Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.
Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.
Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.
La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l'amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.
Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l'amore non capisce,
perdono
ciò che l'amore mai perdonerebbe.
Da un incontro a una lettera
passa non un'eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.
E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.
È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.
Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.
«Non devo loro nulla» –
direbbe l'amore
sulla questione aperta.
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