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30 agosto 2024

L'Odissea di Omero e i paesaggi marittimi all'interno del poema:

Inizia da stasera un percorso tematico legato all'elemento del mare e dei paesaggi marittimi.

A me indubbiamente il mare come luogo di vacanze è sempre piaciuto. Però il mio ideale di ferie è un altro... Una meta molto interessante e suggestiva di vacanze, condivisa anche da Matthias in termini di gusti, è indubbiamente una località con lago alpino in piena estate: camminate la mattina e sunbathing per il resto della giornata (l'inglese ha questo termine che rende bene l'idea, meglio della lingua italiana una volta tanto).

Il massimo per me sarebbe: lago alpino in estate per una settimana e tre giorni alle terme o a ottobre oppure tra Natale e Capodanno.

Inizio la serie di post sui paesaggi marittimi con il secondo poema epico di Omero. Verso la fine del mese di settembre compariranno i contributi di Matthias sulla tematica marina a proposito di un film e di alcuni personaggi di un fumetto.

STRUTTURA E CONTENUTI:

L'Odissea è composta da 24 libri in versi esametri. 

A loro volta questi 24 libri possono essere suddivisi in tre blocchi: 

-la Telemachia, 

-I viaggi di Odisseo, 

-Il ritorno del protagonista ad Itaca e la sconfitta dei Proci.

Riassumo qui i contenuti fondamentali del poema: nei primi quattro libri Telemaco, figlio di Odisseo, desidera liberare la reggia dai Proci, i pretendenti della madre Penelope.

Il protagonista compare soltanto indirettamente, attraverso le narrazioni dei suoi vecchi compagni.

I primi quattro libri vengono denominati "Telemachia".

A partire dal quinto libro iniziano i viaggi dell'eroe: Odisseo è a Ogigia, isola in cui è trattenuto dalla ninfa Calipso. Ermes, inviato da Zeus, ordina a Calipso di lasciarlo andare. 

Alla fine di questa sezione avviene un naufragio a causa di una tempesta. Il protagonista approda all'Isola dei Feaci, incontra Nausicaa e viene ospitato nel palazzo reale del re Alcinoo. 

Durante un banchetto Odisseo narra le sue avventure. Questa seconda sezione si conclude con la partenza dell'eroe.

Nell'ultimo blocco, Odisseo sbarca ad Itaca e incontra la dea Atena che gli suggerisce che cosa fare: si finge dunque un mercante cretese e rivela la sua vera identità soltanto al figlio Telemaco. Padre e figlio escogitano poi un piano per liberarsi dei Proci: Odisseo entra nella reggia fingendosi un mendicante in modo tale da poter chiedere ospitalità. Viene riconosciuto dal cane Argo e dalla serva Euriclea ma non da Penelope. L'eroe mascherato da povero suggerisce alla regina di indire una gara tra i Proci con l'arco che soltanto lui riesce a tendere: tutti i Proci falliscono, tranne Odisseo che li uccide tutti con quest'arma. Avviene allora il riconoscimento di Penelope del marito. 

Il poema si conclude con la visita al vecchio Laerte, padre di Odisseo.

ODISSEO È  L'ORIGINE DELLA MITOLOGIA MARINARA?

Rispondo con una citazione tratta da Raccontare il mare, un saggio di Bjorn Larsson, critico letterario svedese, appassionato velista e docente di letterature comparate in varie università francesi:

Ulisse è condannato dagli dei ad errare di isola in isola, di avventura in avventura, di insuccesso in insuccesso perché, per quanto coraggioso, le sue competenze in fatto di navigazione lasciano piuttosto a desiderare. Ulisse in realtà non padroneggia la sua reputazione di marinaio. In primo luogo è un soldato che vuole tornare a casa. (...) Se anche non soffre il mal di mare, è affetto da una forma grave di nostalgia della sua isola e della moglie.

IL MARE IN ALCUNI PASSAGGI DELL'ODISSEA:

Ho selezionato e analizzato i passaggi più significativi a proposito del mare: in alcuni versi è un elemento naturale in cui è possibile ammirare il sorgere del sole, in altri invece è tempestoso, pericoloso. Infatti si tratta un luogo che, in alcune circostanze meteorologiche, può mettere in pericolo la vita degli uomini e degli eroi.

Oltretutto, in questa parte del post, mi soffermo sul lessico marino del greco omerico.

a) Libro III°, vv.1-3:

Siamo all'inizio del terzo libro, momento in cui Odisseo giunge a Pilo.

Il sole salì, lasciando il mare bellissimo,

nel cielo di bronzo, per brillare agli eterni

e ai mortali sopra la terra dono di biade.

Che bello, se chiudo gli occhi riesco a immaginarlo!

Per dare l'idea dell'inizio di un nuovo giorno qui si fa ricorso ad un verbo composto da ἀνά ("di nuovo") e da ὄρνυμι ("alzarsi"). Il sole sorge sulle fatiche degli uomini, sorge ogni giorno.

Il termine λίμνη indica il mare sia in epica sia nelle tragedie di Eschilo.

L'espressione "cielo di bronzo" allude alla compattezza della volta celeste.

Per ultimo segnalo il verbo φαείνω che dà l'idea di luce e di splendore.

b) Libro V°, vv.400-405:

Ma quando fu tanto lontano quanto si giunge con il grido,

ecco udì il rombo del mare contro gli scogli:

urlava l'onda gonfia contro le secche del lido,

sputando paurosamente: la schiuma del mare tutto copriva.

Non c'erano porti rifugio di navi, non baie,

erano punte sporgenti e scogli e roccioni.

δοῦπος è il termine per indicare il cupo suono di un rombo.

σπιλάς è lo scoglio e il suo sinonimo è πέτρα, rupe, identico al latino petra,e.

κῦμα è l'onda. Il medesimo termine è ricorrente nella tradizione letteraria dell'Antica Grecia, soprattutto in due espressioni: ῥιπὰς κυμάτων, ovvero, "correnti delle onde" e πντον κῦμα, cioè, "onde marine"presente nelle tragedie di Eschilo.

χνη indica la schiuma marina. Il corrispondente latino è "acus". 

Tuttavia, in alcuni passaggi delle opere di Eschilo, troviamo χνη πυρός, "fumo".

Libro V°, vv.v.425-435:

Ecco un'immane ondata lo trascinò contro l'aspra costiera;

e qui si lacerava la pelle, si rompeva le ossa,

se nell'animo non lo ispirava Atena occhio azzurro:

a due mani, d'un balzo, strinse la roccia,

stette accanto gemendo, finché passò l'onda enorme.

E così evitò l'onda; ma ancora il risucchio

lo attirò con violenza, lo gettò in mare lontano.

Come quando si strappa un polipo fuori dal covo,

mille piccoli sassi ai tentacoli stanno attaccati,

così delle mani gagliarde contro la roccia

si strappò la pelle: e lo sommerse l'enorme flutto.

Ispirato da Atena, Odisseo riesce ad aggrapparsi ad uno scoglio ma il risucchio lo rigetta in mare. La tempesta è talmente violenta che pezzi della sua pelle rimangono attaccati allo scoglio.

Interessante, in questo passaggio, è la similitudine del polipo: Teognide, poeta lirico, ha fatto del polipo un simbolo di versatilità che è debitore proprio dell'episodio del naufragio narrato in questo libro dell'Odissea.

πουλύποδος, "polipo", risulta molto simile a πολύτροπον, "versatile", aggettivo al quale si ricorre per definire Odisseo.

Libro IX°, vv.560-564:

Ma come, figlia di luce, brillò l'Aurora dalle dita rosate,

allora spronando i compagni ordinai

di salire sulla nave e di sciogliere la gomena.

Subito quelli salivano e sui banchi sedevano,

e in fila seduti battevano il mare schiumoso coi remi.

In questo passaggio Odisseo e i compagni stanno scappando dall'isola di Polifemo.

Aurora dalle dita rosate è un epiteto omerico che indica il colore del cielo durante l'alba. In effetti nel testo ho cerchiato la parola Ἠώς, "aurora". Questo termine pare sia figlio dalla radice proto-indoeuropea *h2ewsos. 

Da questa radice ricostruita deriva anche usra in antico indiano.

La lingua italiana ha ereditato identica la parola "aurora", mentre invece "alba" proviene da albus, "bianco", da cui il frequente ablativo assoluto albente caelo, "all'alba". Tra i supporti rigidi della scrittura, gli antichi Romani avevano anche le tavolette di legno che erano abbastanza spesso dealbatae, cioè imbiancate. Poi c'erano anche i supporti più flessibili come il papiro e la pergamena, ottenuta da pelli di animali raschiate e fatte essicare.

Sia Aurora che Alba sono anche nomi femminili.

C'è differenza tra l'aurora e l'alba: la prima richiama proprio al sole che sorge, la seconda invece si riferisce al periodo che intercorre tra la notte e il giorno e quindi ai primi chiarori del cielo. 



16 agosto 2024

"IL RICCIO": FILM SULL'IMPORTANZA DELLE RELAZIONI UMANE IN UN MONDO BORGHESE.

Cari lettori, dal momento che io stessa, diversi anni fa, ho qui proposto una mia recensione riguardo a questo film, oggi vi lascio leggere l'analisi di Matthias.

Tuttavia, nell'eventualità in cui aveste voglia di rileggere le mie opinioni su questo film meraviglioso e intenso, vi lascio un link di rimando, tanto le mie idee sul Riccio a distanza di anni non sono cambiate:

https://riflessionianna.blogspot.com/2016/10/il-riccio.html

Vi consiglio in realtà di cliccarci sopra per rispolverare la trama e per poi mettere a confronto le mie idee con quelle di Matthias. 

C'è una differenza fondamentale tra quello che penso io e quello che pensa lui: a me piace molto la figura di Palomà che tra l'altro nel romanzo viene molto più approfondita, a Matthias piace di più Renee mentre è molto critico nei confronti di Palomà. Per me Renee è "un'orsa", imbarazzante a volte nel look e nelle pettinature.

"IL RICCIO": RECENSIONE DI MATTHIAS


Il riccio è un film diverso rispetto al romanzo di Muriel Barbery, autrice che si è disinteressata degli sviluppi del film. 
Tra l'altro il titolo del libro è L'eleganza del riccio.

1) IL PERSONAGGIO DI PALOMA':

Sicuramente è una ragazzina molto intelligente, però è anche molto giudicante e critica verso gli altri. Per questo, nel corso del film, non mi è andata sempre a genio. 

Ecco alcuni esempi:

-Palomà bistratta la madre, figura fragile e sofferente trattata come imbecille dalla figlia che la filma mentre parla con le piante. Ho notato che la figura materna provava qualche volta a mostrare affetto verso Palomà che la disdegna.

-E' vero che Colombe, la sorella maggiore, è una figura negativa, però Palomà le uccide il pesce rosso a cui lei teneva molto e, dopo averlo fatto, non mostra rimorsi. Forse c'è anche una punta di cinismo nel suo modo di essere.

-Quando un giorno va a casa del nuovo inquilino del suo condominio, Palomà gioca con la nipotina del giapponese Kakuro Ozu e formula già un suo giudizio sul futuro della bambina: 

Lascerà gli studi per sposare il figlio di un finanziere. Dopo un periodo in un centro di disintossicazione, crescerà i suoi quattro figli in un ambiente asettico. Mako Ozu finirà la sua vita divorziata, alcolista, miliardaria e depressa.

Ma che ne sa lei?!!

Questa adolescente è un personaggio asettico, sempre una scienziata che guarda agli altri come se fossero cavie.

2) RENEE:

E' il personaggio che mi è piaciuto di più.

E' una donna sola, riservata, socialmente non integrata. Anche in questa figura, la più importante del film direi, c'è del pregiudizio nei confronti degli altri ma, al contrario di Palomà, Renee riesce a superarlo verso la fine. Il suo carattere è paragonabile ad un riccio.

Renee a volte non sa se fidarsi di Ozu, non sa se sia opportuno continuare a frequentarlo: questo signore è benestante, raffinato, elegante, colto mentre lei si considera solo una portiera che è sempre stata povera e che non ha potuto studiare.

Anche se le loro vite sono state diverse, anche se le loro condizioni economiche e sociali sono diverse, i due hanno dei punti in comune: entrambi vedovi, condividono l'interesse per i film giapponesi e per i romanzi russi.

Sono riuscito a provare molta più simpatia per Renee, molto umana come figura: quando improvvisamente scoppia a piangere mentre parla di se stessa di fronte alla telecamera di Palomà sono riuscito ad entrare in contatto con la sua sofferenza e con la sua marginalità.

3) KAKURO OZU:

E' l'angelo del film, non ha difetti. Potrebbe esistere nella realtà un uomo del genere? 

Quando Ozu arriva nel condominio la narrazione cambia, grazie a lui Palomà e Renee si conoscono, si avvicinano e si incontrano. Senza la figura di Kakuro questo non sarebbe stato possibile.

4) IL FINALE:

Il finale coglie di sorpresa gli spettatori perché capovolge le loro aspettative. Già a metà del film mi aspettavo una relazione tra Kakuro e Renee e Palomà che cambia idee a proposito del suicidio. Invece la morte inaspettata di Renee, investita da un'auto mentre cercava di aiutare un senzatetto, è uno shock.

Quando, alla fine del film, Palomà scoppia a piangere per la morte di Renee, forse recupera un po' di umanità e di sensibilità.

Il riccio è anche un film sul tema della morte:

Quello che conta non è morire ma ciò che si fa nel momento in cui si muore. Renee, lei che cosa faceva al momento di morire? Era pronta ad amare.

8 agosto 2024

"VICINO AL CUORE SELVAGGIO", C. LISPECTOR- L'INCOMUNICABILITA' NELLE FAMIGLIE BORGHESI

Vicino al cuore selvaggio è un romanzo di Clarice Lispector, ebrea ucraina immigrata in Brasile.

A me questo libro non è piaciuto né per lo stile adottato né per i contenuti. In qualità di lettrice, poche volte ho provato una vera e propria antipatia, come in questo caso, verso una protagonista femminile.

Ad ogni modo ritengo giusto che in questo post troviate due punti di vista un po' differenti, anche nell'eventualità in cui siate curiosi di leggerlo. Tuttavia, a mio avviso, ci sono romanzi e autori molto migliori.

A) LE MIE RIFLESSIONI:

La protagonista è Joana, una donna che ripercorre tappe ed episodi della sua vita (infanzia, adolescenza ed età adulta).

Rimasta orfana da bambina, viene affidata agli zii che la trovano fredda, insensibile e indifferente. 

Anche secondo me Joana è così, sin dalla più tenera età. Di se stessa ad un certo punto dice: "Non so mai cosa farmene delle persone o delle cose che mi piacciono, finiscono per pesarmi".

Secondo me Joana fa un'analisi esasperante dei suoi pensieri, la considero una persona che non vive per davvero, dal momento che ho interpretato la sua autoanalisi come una via di fuga dalle relazioni umane. 

C'è una frase che ha suscitato in me quest'idea:

"Otàvio era uscito presto e per questo lei lo benediceva come se le avesse concesso di proposito un po' di tempo per pensare, per osservarsi".

In questo romanzo, ad ogni modo, predomina l'incomunicabilità di coppia, di due coniugi borghesi totalmente privi di intelligenza inter-personale. Infatti nemmeno Otàvio, il marito di Joana, mi è piaciuto: è un coniuge che tradisce la moglie con Lidia e mette al mondo un figlio proprio con l'amante.

Otàvio e Joana non sanno nemmeno cosa sia il vero amore... si ama davvero l'altra persona se, oltre alla dimensione sessuale e affettiva, ci si ascolta per davvero e ci si confronta costantemente anche allo scopo di conoscersi sempre meglio, sempre più in profondità. Si ama davvero quando si stimola l'altro ad intraprendere strade importanti per il futuro di entrambi.

A distanza di diverse settimane dalla fine di questa lettura ancora mi chiedo: con questo libro quale era il vero scopo dell'autrice, diciannovenne al momento della stesura? Esprimere sfiducia nei rapporti umani e nelle relazioni di coppia? Scrivere un'opera che avesse come tema centrale l'incomunicabilità nei rapporti umani? 

DUE PASSAGGI CHE HO TROVATO SIGNIFICATIVI (Gli unici due!):

1) Persino soffrire era bello perché mentre la sofferenza più profonda si sviluppava, si continuava a esistere, come un fiume a parte.

Pensate che "esistere" deriva da  ἔξἵστημι, "spostarsi, evolversi", anche dopo un trauma o un dolore enorme.

2) Ho trovato abbastanza interessante il passaggio in cui a scuola Joana chiede ad una sua insegnante: "Dopo che si è felici, che cosa succede? Che cosa viene dopo? Essere felici, serve a raggiungere che cosa?".

La maestra le consiglia di scrivere queste domande su un pezzo di carta per conservarlo e nel frattempo vivere, in modo tale da poter trovare una risposta una volta diventata adulta.

A me questa domanda ha fatto ritornare in mente i contenuti di un canto di Leopardi, La quiete dopo la tempesta. Avevo svolto un tema in classe da 9 e 1/2 in quinta su questo componimento. La quiete è quel momento della vita in cui ci rendiamo conto che il piacere è "figlio d'affanno" e quindi che la felicità è effimera ed è un breve intervallo tra un dolore e un altro.

La felicità è soltanto una condizione momentanea? La felicità dipende soltanto dal raggiungimento dei propri obiettivi? Oppure scaturisce anche da piccoli attimi di relazioni e di incontri con gli altri?

B) RIFLESSIONI DI MATTHIAS:

Per la prima volta leggo un romanzo in cui lo stile consiste nel flusso di coscienza.

In effetti il libro viene introdotto da una citazione tratta da Joyce: "Era solo. Era abbandonato, felice, vicino al cuore selvaggio della vita."

L'autrice fa passare pensieri, interessanti ma slegati, come ordinari. Si avverte una certa incomunicabilità tra i personaggi che non riescono a comprendersi.

I punti di vista tra l'altro cambiano e si alternano. Ne ho individuati tre: quello di Joana, quello di Otàvio e quello di Lidia. Inoltre, prima e terza persona si alternano.

La protagonista mi sembra senza filtri, in un certo senso è "selvaggia" quando ammette di non amare le persone che la circondano e quando ammette di tendere al male. 

"Io tendo al male, questo è sicuro, pensava Joana. Se no, che altro sarebbe quella sensazione di forza repressa, pronta a scoppiare in violenza, quella sete di usarla ad occhi chiusi, tutta, con la sicurezza istintiva di una belva? Non era forse solo nel male che si poteva respirare senza paura, accettando l'aria e i polmoni? Neanche il piacere mi darebbe piacere quanto il male, pensava sorpresa. Sentiva dentro di sé un animale perfetto, pieno di contraddizioni, di egoismo, di vitalità".

Soltanto con il padre, quando era piccola, ha sperimentato un rapporto positivo:

"Nel corridoio, mentre il padre la portava in camera, lei aveva appoggiato la testa su di lui, aveva sentito l'odore forte che emanava dalle sue braccia".

Il passaggio: "Si volevano bene in un modo lontano e vecchio" mi ricorda la situazione di molte famiglie di adesso in cui i rapporti sono superficiali.

Per me è visibile la sofferenza interiore di Joana, stato d'animo particolarmente presente quando, nel suo flusso di pensieri e di sensazioni, vengono coinvolte le tematiche del tempo e del libero arbitrio. 

Ho apprezzato alcune immagini stupende, fatte a volte anche di ossimori, similitudini, metafore e sinestesie, che coinvolgono lo stato interiore della protagonista.

"La nave fluttuava lievemente sul mare come su mani aperte e remissive. Si chinò, sulla murata del ponte, e sentì la tenerezza salire lentamente, avvolgendola nella tristezza. Sul ponte i passeggeri andavano da una parte all’altra, sopportando impazienti l’arrivo della lancia, ansiosi di riunire il tempo al tempo”.

1 agosto 2024

"Marina", E. Albee:

Marina, il cui titolo originale inglese è Seascape, è una commedia molto strana  in due atti di Edward Albee, drammaturgo statunitense.

Per me sarebbe stato interessante aver avuto sottomano anche la versione in lingua originale, che tuttavia non sono riuscita a reperire.

Ad ogni modo, il titolo non corrisponde al nome della protagonista. Nessun personaggio femminile si chiama Marina.

A) CONTENUTI:

All'inizio della commedia, Nancy e Charlie, due coniugi in età matura, si trovano in riva al mare. Hanno appena terminato il loro picnic. Di tanto in tanto un jet della guardia costiera sorvola la spiaggia.

Tutto il primo atto è caratterizzato da una lunga conversazione tra moglie e marito nel corso della quale entrambi ripercorrono sensazioni e momenti della loro vita condivisa. Emergono rimpianti e nostalgie ma non mancano alcune note umoristiche. 

Ad ogni modo, sia Charlie che Nancy hanno la sensazione di non aver vissuto pienamente.

Ho trovato piuttosto significative queste frasi di Nancy:

...Può darsi che abbia svoltato un angolo un pomeriggio e dietro c'era una ragazza, neanche tanto carina, forse un po' sciapa, ma disponibile, o sola, o sperduta. Comincia così qualche volta. Senza colpi di fulmine su coppe di champagne, a un ballo elegante, e senza i fremiti del primo amore; ci sono solo nei romanzi, ma qualcosa... di diverso, forse perfino... meno di così. E il sollievo di questa semplicità. Non bello ma nella sua mediocrità ancora più carino.

L'amore vero non è una favola. E non consiste nemmeno in una sublimazione dell'amato/a, come avviene in alcune correnti poetiche quali lo Stilnovismo. Tuttavia non è esclusivamente un sentimento e non è nemmeno legato alla mediocrità. L'amore è anche famiglia, condivisione (dei reciproci vissuti e dei momenti complicati), sacrificio nel quotidiano. 

Nel secondo atto compaiono inaspettatamente in scena due lucertoloni con scaglie e coda. Si tratta di Sarah e Leslie. In questa seconda parte i lettori riescono ad individuare alcuni punti di contatto tra la coppia umana e la coppia anfibia, unite dalla possibilità di comunicazione e di confronto:

Nancy (a Sarah) Amore? L'amore è una delle emozioni. (I due guardano Nancy, aspettando). Una delle emozioni, Sarah.

Sarah (dopo una breve pausa) Ma che cosa sono?

Nancy (con impazienza) Ma anche voi dovete averne. Dovete sapere cosa sono le emozioni.

Leslie (con impazienza) Potremmo o non potremmo saperlo, ma non lo sapremo mai se lei non chiarisce i termini che usa. Lasciatemelo dire, quanta imprecisione! Siete così trascurati!

Nancy (a Sarah e Leslie) Paura. Odio. Timore. Perdita. Amore. (Pausa). Niente? (con l'aria di raccontare una favola) Li teniamo con noi perché hanno bisogno di noi. E noi ci sentiamo gelosi di loro, riconoscenti e orgogliosi.

Sarah e Leslie non conoscono propriamente il significato di parole come "amore", "paura" od "odio". Tuttavia provano questi sentimenti con la stessa intensità degli umani.

Durante il dialogo con Charlie e Nancy, le due mega-lucertole apprendono che esiste anche la morte.

B) DUE TEMI FONDAMENTALI DEL DRAMMA:

1) La piccola borghesia annoiata dal ritmo della quotidianità.

La noia emerge soprattutto dai discorsi del personaggio di Charlie. Tuttavia, per l'autore di questa commedia, il rimedio alla noia e alla mediocrità è la creazione di mondi originali o fantastici che possono esserci vicini e familiari... pensate ad esempio ai film di Miyazaki: i contenuti dei suoi lungometraggi animati come la città incantata, Ponyo sulla scogliera, L'Airone, Il castello errante di Howl rimandano a valori, tematiche attuali ma anche a situazioni di vita reale. 

Ci saranno occasioni per approfondire gli ultimi tre film citati nei prossimi mesi.

In altre parole, per Albee il rimedio al tedio del quotidiano è la capacità di "intus-legere" nella realtà.

2) Il razzismo.

Leslie prova disprezzo per i delfini e per i pesci, considerandoli nettamente inferiori ai lucertoloni. Charlie invece nutre un leggero senso di superiorità rispetto a Leslie.

Leslie  E va bene, eccettuati i delfini... sono stupidi (ci pensa su un poco)... e poi sono sporchi.

Charlie (a bocca spalancata con piacevole stupore) Lei è... lei è pieno di pregiudizi! Nancy è un... lei è un razzista. (Ride) E' proprio un dannato razzista!

(...)

Charlie (molto a suo agio) Un razzista è qualcuno che crede di essere migliore di qualcun altro perché quello è diverso.

Leslie (breve pausa) Ah benissimo allora; mi va molto bene. Io non sono quello che ha detto. Non è perché sono diversi, è perché sono stupidi, sono sporchi e te li ritrovi dappertutto.

C) GENERE AL QUALE APPARTIENE "MARINA":

Ho appreso, da fonti della critica, che Marina non fa parte del "teatro dell'assurdo" quanto piuttosto del "teatro allegorico degli anni '60".

Il teatro allegorico americano, sorto e sviluppatosi nella seconda metà del Novecento, prevede l'invenzione e la rappresentazione di situazioni inverosimili o assurde, proprio come questa: una coppia di umani che incontra e dialoga con due lucertoloni sulla spiaggia.

Scrive infatti Corrado Augias:

Nancy e Charlie sono molto consci, anche troppo, dell'eccezionalità del loro incontro. E' molto probabile anzi che l'incontro di per sé, indipendentemente dai suoi possibili sviluppi per la collaborazione inter-razziale, soddisfi, con la sua dichiarata eccezionalità, quel desiderio d'avventura e di ringiovanimento che Nancy aveva manifestato all'inizio. D'altronde l'incontro con la creatura straniera è un archetipo costante, dalla Bibbia ai nostri giorni, dal quale derivano in genere migliore conoscenza di sé, inattese rivelazioni e stimoli.

D) EDWARD ALBEE:

Edward Albee, nato a Washington nel marzo 1928, è considerato uno dei più importanti autori teatrali nel panorama americano. 

Abbandonato dalla madre a pochi mesi di vita, è stato adottato da Reed Albee, figlio di benestanti proprietari di teatri e dalla terza moglie di quest'ultimo che ha sempre manifestato freddezza e distacco da Edward.  

Studente ribelle e apertamente omosessuale, Albee è divenuto famoso a livello internazionale a seguito della realizzazione della commedia Chi ha paura di Virginia Woolf?  nel 1962, opera in tre atti nella quale emerge il tema dell'amarezza e della disillusione della vita umana. Infatti i protagonisti sono una coppia di mezza età, infelice e schiava dell'alcolismo, che deride una coppia giovane, a loro avviso destinata a finire in modo analogo.

A dire il vero il primo dramma, The Zoo story, è del 1958. 

Qui Edward Albee mette in evidenza le disparità sociali dell'America di fine anni Cinquanta facendo incontrare un borghese e un barbone al Central Park.