Vicino al cuore selvaggio è un romanzo di Clarice Lispector, ebrea ucraina immigrata in Brasile.
A me questo libro non è piaciuto né per lo stile adottato né per i contenuti. In qualità di lettrice, poche volte ho provato una vera e propria antipatia, come in questo caso, verso una protagonista femminile.
Ad ogni modo ritengo giusto che in questo post troviate due punti di vista un po' differenti, anche nell'eventualità in cui siate curiosi di leggerlo. Tuttavia, a mio avviso, ci sono romanzi e autori molto migliori.
A) LE MIE RIFLESSIONI:
La protagonista è Joana, una donna che ripercorre tappe ed episodi della sua vita (infanzia, adolescenza ed età adulta).
Rimasta orfana da bambina, viene affidata agli zii che la trovano fredda, insensibile e indifferente.
Anche secondo me Joana è così, sin dalla più tenera età. Di se stessa ad un certo punto dice: "Non so mai cosa farmene delle persone o delle cose che mi piacciono, finiscono per pesarmi".
Secondo me Joana fa un'analisi esasperante dei suoi pensieri, la considero una persona che non vive per davvero, dal momento che ho interpretato la sua autoanalisi come una via di fuga dalle relazioni umane.
C'è una frase che ha suscitato in me quest'idea:
"Otàvio era uscito presto e per questo lei lo benediceva come se le avesse concesso di proposito un po' di tempo per pensare, per osservarsi".
In questo romanzo, ad ogni modo, predomina l'incomunicabilità di coppia, di due coniugi borghesi totalmente privi di intelligenza inter-personale. Infatti nemmeno Otàvio, il marito di Joana, mi è piaciuto: è un coniuge che tradisce la moglie con Lidia e mette al mondo un figlio proprio con l'amante.
Otàvio e Joana non sanno nemmeno cosa sia il vero amore... si ama davvero l'altra persona se, oltre alla dimensione sessuale e affettiva, ci si ascolta per davvero e ci si confronta costantemente anche allo scopo di conoscersi sempre meglio, sempre più in profondità. Si ama davvero quando si stimola l'altro ad intraprendere strade importanti per il futuro di entrambi.
A distanza di diverse settimane dalla fine di questa lettura ancora mi chiedo: con questo libro quale era il vero scopo dell'autrice, diciannovenne al momento della stesura? Esprimere sfiducia nei rapporti umani e nelle relazioni di coppia? Scrivere un'opera che avesse come tema centrale l'incomunicabilità nei rapporti umani?
DUE PASSAGGI CHE HO TROVATO SIGNIFICATIVI (Gli unici due!):
1) Persino soffrire era bello perché mentre la sofferenza più profonda si sviluppava, si continuava a esistere, come un fiume a parte.
Pensate che "esistere" deriva da ἔξ+ ἵστημι, "spostarsi, evolversi", anche dopo un trauma o un dolore enorme.
2) Ho trovato abbastanza interessante il passaggio in cui a scuola Joana chiede ad una sua insegnante: "Dopo che si è felici, che cosa succede? Che cosa viene dopo? Essere felici, serve a raggiungere che cosa?".
La maestra le consiglia di scrivere queste domande su un pezzo di carta per conservarlo e nel frattempo vivere, in modo tale da poter trovare una risposta una volta diventata adulta.
A me questa domanda ha fatto ritornare in mente i contenuti di un canto di Leopardi, La quiete dopo la tempesta. Avevo svolto un tema in classe da 9 e 1/2 in quinta su questo componimento. La quiete è quel momento della vita in cui ci rendiamo conto che il piacere è "figlio d'affanno" e quindi che la felicità è effimera ed è un breve intervallo tra un dolore e un altro.
La felicità è soltanto una condizione momentanea? La felicità dipende soltanto dal raggiungimento dei propri obiettivi? Oppure scaturisce anche da piccoli attimi di relazioni e di incontri con gli altri?
B) RIFLESSIONI DI MATTHIAS:
Per la prima volta leggo un romanzo in cui lo stile consiste nel flusso di coscienza.
In effetti il libro viene introdotto da una citazione tratta da Joyce: "Era solo. Era abbandonato, felice, vicino al cuore selvaggio della vita."
L'autrice fa passare pensieri, interessanti ma slegati, come ordinari. Si avverte una certa incomunicabilità tra i personaggi che non riescono a comprendersi.
I punti di vista tra l'altro cambiano e si alternano. Ne ho individuati tre: quello di Joana, quello di Otàvio e quello di Lidia. Inoltre, prima e terza persona si alternano.
La protagonista mi sembra senza filtri, in un certo senso è "selvaggia" quando ammette di non amare le persone che la circondano e quando ammette di tendere al male.
"Io tendo al male, questo è sicuro, pensava Joana. Se no, che altro sarebbe quella sensazione di forza repressa, pronta a scoppiare in violenza, quella sete di usarla ad occhi chiusi, tutta, con la sicurezza istintiva di una belva? Non era forse solo nel male che si poteva respirare senza paura, accettando l'aria e i polmoni? Neanche il piacere mi darebbe piacere quanto il male, pensava sorpresa. Sentiva dentro di sé un animale perfetto, pieno di contraddizioni, di egoismo, di vitalità".
Soltanto con il padre, quando era piccola, ha sperimentato un rapporto positivo:
"Nel corridoio, mentre il padre la portava in camera, lei aveva appoggiato la testa su di lui, aveva sentito l'odore forte che emanava dalle sue braccia".
Il passaggio: "Si volevano bene in un modo lontano e vecchio" mi ricorda la situazione di molte famiglie di adesso in cui i rapporti sono superficiali.
Per me è visibile la sofferenza interiore di Joana, stato d'animo particolarmente presente quando, nel suo flusso di pensieri e di sensazioni, vengono coinvolte le tematiche del tempo e del libero arbitrio.
Ho apprezzato alcune immagini stupende, fatte a volte anche di ossimori, similitudini, metafore e sinestesie, che coinvolgono lo stato interiore della protagonista.
"La nave fluttuava lievemente sul mare come su mani aperte e remissive. Si chinò, sulla murata del ponte, e sentì la tenerezza salire lentamente, avvolgendola nella tristezza. Sul ponte i passeggeri andavano da una parte all’altra, sopportando impazienti l’arrivo della lancia, ansiosi di riunire il tempo al tempo”.
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