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27 gennaio 2014

Dov'era Dio mentre i nazisti sterminavano gli ebrei?

  
Negli ultimi giorni ho pensato molto spesso alla terribile tragedia dell'olocausto e mi sono fatta più volte questa domanda. Anzi, vi dirò di più: ho iniziato a pensarla quando avevo 15 anni ed ero a metà della seconda liceo.


Era il 27 gennaio 2011 e il preside aveva deciso di radunare tutte le classi seconde in aula magna al fine di farci riflettere sullo sconvolgente sterminio degli ebrei avvenuto in tutta l'Europa per mano dei nazisti. Era stato invitato uno storico molto colto e competente che ci aveva spiegato non solo l'evento del nazismo e i motivi per i quali Hitler aveva promulgato le leggi razziali, ma anche la struttura dei campi di concentramento e le modalità di sterminio.
Poi abbiamo visto un film intitolato:"Jona che visse nella balena". Ero rimasta molto impressionata da quel film che narrava la storia di un bambino ebreo deportato nel campo di Bergen-Belsen con i suoi genitori, costretto a vivere separato dal padre e costretto a subire fame, freddo, umiliazioni e ogni sorta di angherie. Mi aveva colpita molto la figura della madre di Jona, donna dolce, sensibile e saggia, che muore poi semidelirante in un ospedale sovietico. Prima di morire aveva detto al figlio: "Jona, guarda il cielo e non odiare mai". Se fossi stata da sola in aula magna, mi sarei messa a piangere, ma avevo trattenuto (sebbene a stento) qualche piccola lacrima: in effetti temevo che i miei coetanei, se mi avessero vista piangere, mi avrebbero giudicato fragile e piagnucolona. Da sempre ho paura che la mia sensibilità venga scambiata per debolezza e fragilità. Per questo, piuttosto spesso preferisco piangere da sola, cercando di non farmi vedere.
Comunque, quella frase aveva suscitato in me un sentimento di stupore, dal momento che ritengo ci voglia una straordinaria forza d'animo nel credere a ciò proprio mentre si sta vivendo in un mare di cattiverie. Se ricordate, esattamente tre anni fa avevo scritto un post relativo a questa frase. 
Poi, per tutta quella giornata mi sono chiesta: e Dio dov'era? Se Dio è il Sommo Bene come può permettere certi terribili eventi storici?

Ho letto molti libri sulla Shoah, ho visto alcuni documentari storici riguardanti la seconda guerra mondiale e il genocidio ebraico.
E la domanda che negli ultimi tre anni mi pongo è proprio questa: "Dov'era Dio mentre i nazisti sterminavano gli ebrei?"
Il romanzo "La notte", scritto da Ellie Wiesel, ebreo sopravvissuto all'olocausto, mi ha aiutata a trovare la risposta.
Un bambino, bello come un angelo, aveva tentato di scappare dal campo di concentramento e per questo era stato impiccato. La sua morte era stata preceduta da una lenta e penosa agonia: infatti, il peso del suo corpo non era sufficiente a rompergli il collo.
 Riporto le parole di Wiesel, che ha descritto benissimo la situazione:

"I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole.
— Viva la libertà! gridarono i due adulti.  Il piccolo taceva.
— Dov’è il Buon Dio? Dov’è? — domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava. (...) noi piangevamo. (... )I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora… Più di mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:  — Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: — Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…".

Alcuni sostengono che, dopo la tragedia di Auschwitz, non sia più possibile credere in Dio, o almeno, in un Dio buono e forte. "Dio ha permesso che avvenisse la Shoah, ha permesso l'impiccagione di un bambino! Se davvero esiste è un Dio malvagio. "- E' proprio a questo che pensano alcuni dei sopravvissuti alla tragedia.
Io sono giunta alla seguente conclusione (però io parlo da credente, sono nata circa 50 anni dopo la seconda guerra mondiale, quindi non ho vissuto in prima persona né l'esperienza della guerra, né quella dell'olocausto e sono molto giovane):
Dio in realtà è sempre esistito e non è un Dio debole o malvagio. Egli stesso infatti è il fondamento dell'Universo, il creatore del mondo e dell'uomo. Egli ama l'uomo, lo ha sempre amato perché Egli ha dato all'umanità il suo figlio Unigenito. Gesù ci ha amati così tanto che si è fatto uomo per noi. 
Egli è venuto tra noi ma, come dicono le prime righe del Vangelo di Giovanni, "i suoi non lo hanno accolto". La frase secondo me significa che molti non hanno creduto nella sua persona e nel suo messaggio. Non lo hanno accolto perché lo hanno inchiodato sulla croce. Dunque, significa che non hanno assimilato i suoi insegnamenti e che non hanno compreso i valori dell'amore, della pace, della speranza, del rispetto reciproco, della solidarietà, della tolleranza!!
Come giustamente asseriva Hegel, Gesù nella sua vita, ha predicato la legge dell'amore. E io dico che gli uomini, certi uomini, invece di sviluppare buoni sentimenti dentro il loro animo, hanno pensato, pervasi dall'arroganza, di coltivare sentimenti di odio profondo e ingiustificato, di astio, di avversione e di discriminazione nei confronti di popoli e di culture diverse dalla propria.
Questi sentimenti sono poi stati portati alle estreme conseguenze; ovvero, hanno portato all'olocausto. Ribadisco quindi che l'olocausto è una conseguenza del sentimento di odio feroce che i nazisti provavano nei confronti degli ebrei.
DIO NON E' MAI MORTO, DIO E' SEMPRE ESISTITO, E' SEMPRE STATO VICINO ALL'UOMO. MA L'UOMO E' ANCHE DOTATO DI LIBERO ARBITRIO.

Quindi alcuni uomini non hanno aderito agli insegnamenti di Dio, intraprendendo così la via del male.
Certi uomini si dimostrano disinteressati al bene dell'umanità e al valore del rispetto reciproco.

E questi uomini sono esistiti, esistono e continueranno ad esistere.











22 gennaio 2014

Schopenhauer: la sofferenza universale, il piacere effimero. Le mie critiche alla sua concezione dell'uomo


Arthur Schopenhauer
In questo periodo sto studiando importanti pensatori tedeschi del XIX secolo e tra questi, anche Schopenhauer, del quale non condivido alcuni aspetti della concezione dell'uomo. In questo post vorrei tralasciare le notizie biografiche, la teoria del velo di Maya e il rifiuto dell'ottimismo da parte di questo filosofo per focalizzarmi invece sulla questione della sofferenza universale e sulle mie obiezioni riguardo al pessimismo schopenhaueriano.

Schopenhauer riteneva che l'essere umano, in quanto"animale metafisico", fosse capace di stupirsi della propria esistenza e quindi, al contrario degli altri animali, fosse portato ad interrogarsi su di essa.
Secondo Schopenhauer, noi non siamo soltanto conoscenza e non ci limitiamo a "vederci" dal di fuori. 
In effetti, siccome siamo anche corpo, ci viviamo anche "dal di dentro"; dunque godiamo e soffriamo.
Ripiegandoci su noi stessi ci accorgiamo che siamo caratterizzati da un'insopprimibile voglia di vivere (conatus essendi) che ci spinge ad agire. Noi siamo volontà di vivere e il nostro corpo è la manifestazione esteriore dell'insieme delle nostre brame interiori.
La volontà di vivere è il fondamento della Natura, l'essenza di tutte le cose. Inoltre, pervade ogni essere della natura.
Ne consegue quindi che il Principio Assoluto del mondo non è Dio ma la volontà. Per Schopenhauer Dio non esiste.
Egli nutriva infatti questa convinzione: tutti gli esseri viventi vivono per continuare a vivere e Dio rappresenta, per alcuni di loro, il fine della vita e il senso della vita stessa. Ma Dio è solo un'illusione.

L'essere è la manifestazione di una volontà infinita, quindi la vita è dolore per essenza. Volere significa desiderare e, quando un essere umano desidera, entra in uno stato di tensione e di angoscia e anela a ciò che non ha ma che vorrebbe avere.
Il desiderio è quindi assenza, insoddisfazione e dolore. Nell'uomo, la volontà è più cosciente ed egli risulta quindi il più bisognoso e il più mancante degli esseri, destinato a non trovare mai un definitivo appagamento.
Nel saggio "Il mondo come volontà e rappresentazione", Schopenhauer scrive:
" Ogni volere scaturisce da un bisogno, da una mancanza, ossia da sofferenza (... ); tuttavia, per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno altri dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto(=subito) luogo ad un desiderio nuovo." 
Quindi, ciò che gli uomini chiamano godimento fisico è in realtà soltanto una momentanea cessazione del dolore, dal momento che il piacere è effimero e momentaneo. 
E qui mi sento in dovere di fare un breve accenno a Leopardi, il quale, nella seconda strofa della poesia intitolata " La quiete dopo la tempesta", riflette sulla condizione dell'uomo ponendo a se stesso e al lettore alcune domande retoriche che suscitano l'impressione che tutte le piacevoli immagini descritte poco prima siano soltanto delle illusioni. Effettivamente, per Leopardi il piacere è figlio del dolore ed è una gioia illusoria che deriva da una sofferenza passata. La tempesta del primo verso simboleggia la condizione angosciante di un passato travagliato e doloroso; mentre il sereno dopo un violento temporale allude al desiderio dell'uomo di provare una sensazione di piacere e di gioia. 
Affinché comprendiate meglio la mia spiegazione, riporto le prime due strofe del componimento:

"Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento."


La vita umana, dice Schopenhauer, è "un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso il breve intervallo del piacere".
Affinché vi sia piacere bisogna che in precedenza vi sia stata una sensazione dolorosa. (il godimento del bere presuppone la sete, che è uno stato di sofferenza).  Il dolore dell'esistenza investe ogni creatura; riguarda il bambino che nasce, l'anziano che muore, il fiore che appassisce. 
Secondo Schopenhauer, l'amore è uno dei più forti stimoli dell'esistenza, ma anch'esso è un'illusione: alla natura interessa soltanto la sopravvivenza della specie.
Il fine dell'amore è solo l'accoppiamento. Dietro il fascino di un bel volto c'è in realtà il desiderio di procreare. L'amore ingannerebbe quindi gli umani con lusinghe e dolcezze, facendoli diventare "zimbelli" della Natura. Il filosofo afferma:"Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell'istinto sessuale". L'amore è "due felicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano e la terza infelicità che si prepara".
L'amore commetterebbe quindi un grave errore: la procreazione di altri individui destinati a soffrire.

Secondo il mio umile parere, ho dei seri dubbi sul fatto che, sia la teoria della "volontà di vivere" sia la teoria dell'illusione dell'amore siano esatte. Ma a Schopenhauer era ben chiara la distinzione tra animale e uomo? Non credo proprio!
Io mi sto chiedendo:
A) Se afferma che l'uomo si distingue dagli altri animali per il fatto che si stupisce della propria esistenza ed è in grado di interrogarsi su di essa, come è possibile che l'unico scopo dell'amore sia l'accoppiamento, ovvero la sopravvivenza della specie? Possibile che l'amore non possa essere anche e soprattutto un sentimento profondo tra due persone, affascinate l'uno dall'altra, che condividono ideali e opinioni?!! Mi sembra sbagliato affermare prima che l'uomo è un essere che si interroga e che quindi è in grado di pensare e poi asserire che l'amore è finalizzato solo ed esclusivamente a riprodursi. L'uomo è molto diverso da un animale. L'uomo, se utilizza la propria intelligenza nel modo giusto, arriva a capire i tre veri motivi della propria esistenza: egli esiste per credere fermamente in alcuni valori che lo aiutano a realizzare i suoi progetti di vita, per riflettere su se stesso attraverso le esperienze di vita e per instaurare relazioni con gli altri (l'uomo desidera infatti amare ed essere amato, con tutta la pienezza del suo essere. Amare non solo per generare figli, ai quali insegnare la bellezza della vita ma anche per condividere con l'essere amato dei valori importanti).

B) Concludo questa lunghissima riflessione con un'altra mia teoria, in contrasto con Schopenhauer: ma siamo proprio sicuri che "Volontà di vivere" e "schiavitù dei propri istinti" siano sinonimi?!! La prima credo rappresenti sia il nostro desiderio di godere di ciò che la vita ci offre ogni giorno sia l'entusiasmo nel progettare l'avvenire; la seconda  è invece un elemento negativo che rende l'uomo insensibile, egoista e schiavo appunto delle proprie passioni, di se stesso.



17 gennaio 2014

Le organizzazioni internazionali: storia e struttura dell'ONU

Il primo tentativo di riunire gli stati in un organismo che si proponesse la pace e la collaborazione internazionale era stato compiuto nel 1919, subito dopo la Grande Guerra, da parte del presidente degli Stati Uniti Wilson. Egli aveva infatti ideato e fondato la Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, una città che si trova all'estremità sud-occidentale della Svizzera.

Ma, sin dal principio, questa società si era dimostrata un organismo molto debole dal momento che era paralizzata sia dalle rivalità tra uno stato e l'altro, sia dalle critiche alle idee pacifiste di Wilson.
Nel 1920, il Senato Statunitense aveva commesso un grave errore: subito dopo la morte di Wilson non aveva ratificato il proprio ingresso nella Società e così era venuto a mancare proprio il paese che l'aveva voluta più di tutti gli altri.
Sede dell'ONU a New York
Di fronte al preoccupante sviluppo dei regimi totalitari (nazismo, fascismo e comunismo staliniano) e di fronte alla grave crisi economica degli anni '30, la Società delle Nazioni si era dimostrata impotente e poi, agli albori della Seconda Guerra Mondiale, era stata pressoché ignorata.
Tuttavia, il desiderio di istituire un'autorità sovranazionale al fine di promuovere la pace e la solidarietà tra le varie nazioni non era stato cancellato: già durante la Seconda Guerra Mondiale, il presidente americano Roosevelt, con la Carta dall'Atlantico, stava prospettando un nuovo ordine internazionale destinato a salvaguardare la concordia fra i diversi stati.
Nel 1945 nasceva l'ONU, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, siglata con con la Carta di San Francisco. I suoi promotori erano tutti gli stati antinazisti che avevano vinto la guerra e quindi Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica.
La sede dell'ONU era stata fissata permanentemente a New York.
I primi paesi aderenti erano 51 e molti altri si aggiungevano con il passare del tempo. Uno degli ultimi stati che è entrato a farne parte è la Svizzera (2002).
Oggi comprende 192 stati indipendenti.

STRUTTURA DELL'ONU:

L'Onu ha alla base un' Assemblea Generale, ovvero, una sorta di "parlamento mondiale" in cui ogni stato ha diritto di voto. Essa però non ha il diritto di forzare il governo di uno Stato affinché esso applichi le sue decisioni, ma ha comunque la facoltà di consigliare i governi e di avanzare raccomandazioni.
Poi c'è anche un Consiglio di Sicurezza, composto da cinque membri permanenti, è dotato dei caschi blu, forza pacifista. Ad ogni modo, è un Consiglio caratterizzato dal diritto di veto di ciascuno dei suoi membri permanenti.
Mentre il Segretario Generale, figura molto illustre e importante, svolge funzioni di mediazione in caso di conflittio di tensioni internazionali, la Corte Internazionale di Giustizia delll'Aia, composta da alcuni magistrati, pronuncia pareri consultivi sulle contese internazionali.
E' presente anche il Consiglio Economico e Sociale, composto da 54 membri.

Molti organismi internazionali sono collegati all'ONU.
La FAO per esempio, si trova a Roma e si occupa dell'aiuto alimentare e agricolo ai paesi in via di sviluppo. Esistono anche il Fondo Monetario Internazionale, che si trova a Washington e che tratta i rapporti monetari internazionali, e la Banca Mondiale, anch'essa a Washington, che si occupa di finanziare i paesi in via di sviluppo.
Sono collegati all'Onu anche altri organismi con finalità culturali e sociali, come l'UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) che si trova a Parigi e si occupa di promuovere l' alfabetizzazione e di tutelare il patrimonio culturale mondiale e come l'Organizzazione Mondiale della Sanità, impegnata nell'assistenza medica e nelle campagne di vaccinazione e di prevenzione.
Importante anche L'UNICEF, fondo internazionale per il soccorso all'infanzia.

L'ONU AI NOSTRI GIORNI:

Attualmente, le truppe dell'ONU sono presenti in 27 paesi. Circa 250 caschi blu continuano a controllare la tregua tra Israele e i paesi arabi, 40 militari controllano invece la linea che separa nel Kashmir indiani e pakistani. I militati impegnati in vari paesi per volere dell'ONU sono attualmente più di 50.000.

Ma è sempre così efficace l'ONU?! E soprattutto, vi sono dei problemi al suo interno?!
Ritengo giusto menzionare gli insuccessi dell'ONU, come l'intervento in Somalia, e del suo mancato intervento per impedire il genocidio di Srebrenica (evento che ho descritto sul blog recentemente).
Secondo l'opinione di molti, l'ONU sta ora attraversando un periodo di crisi; innanzitutto perché le richieste di intervento superano di gran lunga gli interventi che poi vengono messi in atto. 
Si vorrebbe aumentare la forza e l'efficacia dell'ONU e attribuirle il ruolo di una sorta di "polizia mondiale" capace di intervenire dovunque i diritti umani siano minacciati.
Prevalgono le reciproche diffidenze non soltanto tra paesi ricchi e paesi poveri ma anche tra le maggiori potenze.
C'è anche chi lamenta un'eccessiva dipendenza dell'ONU dagli Stati Uniti, accentuatasi negli anni '90 ma c'è anche chi, al contrario, sostiene che gli Stati Uniti esercitino un ruolo di superpotenza mondiale anche al di fuori dell'egida dell'ONU. 
Molti paesi del Terzo Mondo, spesso troppo deboli per far sentire la loro influenza, tendono a vedere nell'ONU un organismo dell'Occidente. Questi stati vorrebbero che l'ONU si impegnasse maggiormente nella regolamentazione dei rapporti economici internazionali.
D'altro canto, gli Stati Uniti faticano ad accettare che, nell'Assemblea Generale, il voto di una grande potenza mondiale valga come il voto di un piccolo stato.
L'organismo inoltre non ha certo acquisito prestigio a causa degli episodi di corruzione che hanno riguardato alcuni suoi dirigenti all'epoca delle sanzioni economiche all'Iraq.
Ultimamente, l'ONU è sempre più priva di mezzi finanziari; molti stati infatti (soprattutto gli Stati Uniti), le fanno mancare le proprie quote e così il suo bilancio è altamente deficitario.

Tutti questi problemi, se non vengono seriamente considerati dai governi, comportano il rischio di portare l'ONU ad una paralisi progressiva... analoga a quella che, tempo fa, aveva fatto morire la società delle Nazioni.
Comunque, nonostante le critiche e le difficoltà, essa resta una costruzione importante e anche un simbolo di speranza e di pace.









11 gennaio 2014

La dissoluzione della Jugoslavia: le grandi stragi degli anni novanta; eventi accaduti, riflessioni e considerazioni

 Stamattina le classi quinte sono state convocate in Aula Magna per un progetto relativo alle guerre Jugoslave e al tema dei diritti umani.
E' stata una mattinata molto interessante e proficua, innanzitutto per il fatto che il Professor Rama ha spiegato in modo molto esauriente le cause delle guerre iugoslave e ha enunciato i principali eventi avvenuti circa vent' anni fa nei territori balcanici, poi anche perché ritengo giusto e doveroso che anche la scuola informi noi giovani diciottenni su argomenti di storia molto recente, dal momento che stiamo vivendo il delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta e siamo il futuro oramai prossimo del mondo.


Con l'espressione "Guerre Jugoslave" si intende indicare una serie di conflitti armati che hanno coinvolto le regioni inglobate nello stato della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, provocando la dissoluzione di quest'ultima.
La ex Jugoslavia era formata da sei regioni: la Slovenia, vicina all'Austria e in buoni rapporti con essa, dal punto di vista etnico era la più omogenea delle sei. In Croazia invece era presente una minoranza serba piuttosto consistente. E' doveroso ricordare che la Croazia ha la coscienza sporca dal punto di vista storico: durante la seconda guerra mondiale aveva collaborato con il regime nazista e aveva anch'essa promulgato leggi razziali. In Bosnia-Erzegovina vivevano invece molte etnie: Serbi ortodossi, Croati cattolici e Bosniaci. Nella Serbia ortodossa governava un leader comunista (il famigerato Slobodan Milosevic), il quale, di fronte al crollo del comunismo, aveva ritenuto necessario mantenere uno spirito nazionalista. Il Kosovo era una provincia autonoma della Serbia, zona considerata dai Serbi stessi la culla della loro civiltà. E infine anche il piccolo stato del Montenegro.
La principale causa della guerra è stata lo spirito di nazionalismo che si stava diffondendo nelle sei Repubbliche già negli anni ottanta, dopo la morte di Tito, che lascia il mega stato della Jugoslavia in una situazione economica disastrosa.
In Serbia, nel settembre del 1986 si istituiva da parte di alcuni intellettuali il  
"Memorandum dell'Accademia Serba delle Scienze" che affermava:
"Il popolo serbo si è sempre sacrificato per gli altri popoli ma è sempre stato derubato dei frutti delle vittorie. I Serbi sanno vincere le guerre ma perdono la pace." Il loro progetto era dunque quello di istituire la "Grande Serbia", nazione compatta sotto il dominio serbo. Milosevic si era servito di questa ondata nazionalistica per affermare che "la Serbia è là dove c'è un serbo" ed aveva eliminato l'autonomia del Kosovo nell' '89.
Alla fine del 1990, la Slovenia dichiara la sua indipendenza dalla Jugoslavia e nel 1991, l'esercito Jugoslavo era intervenuto in Slovenia per riprendere il controllo delle frontiere. Ma gli Sloveni, aiutati da Italia e Austria, ripresero il controllo delle basi militari federali del paese appena costituito e delle frontiere. Quindi finiva una guerra molto breve (la Guerra dei dieci giorni) e non particolarmente sanguinosa.
Ma quando, nel 1991, anche la Croazia chiedeva la secessione dalla Iugoslavia, quest'ultima non aveva esitato ad attaccare numerose città croate. Infatti, i Serbi non volevano permettere che i territori abitati anche dai Serbi fossero smembrati dalla Federazione Iugoslava. La guerra tra Serbia e Croazia è durata dal 1991 al 1995.
La Bosnia-Erzegovina viveva intanto un periodo di pace instabile.
Nel settembre del 1991 l'Armata Popolare Iugoslava aveva distrutto Ravno, un piccolo villaggio abitato dai Croati all'interno del territorio bosniaco. Pochi mesi dopo, nel febbraio del 1992, si teneva un referendum sulla secessione della Bosnia-Erzegovina e il 65 % della popolazione bosniaca si era espresso a favore dell'indipendenza. I Serbi allora avevano deciso di bloccare Sarajevo con barricate. Il Presidente della Repubblica aveva chiesto l'intervento dell'esercito, affinché le tensioni etniche si affievolissero ma, il partito Democratico Serbo, all'interno del quale vi erano i Serbi di Bosnia, si opponeva all'indipendenza della Bosnia. Era iniziata così una guerra molto sanguinosa durata dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996.
Inizialmente, i Croati erano accorsi in aiuto dei bosniaci contro i Serbi, appoggiati però da importanti stati europei quali la Francia e il Regno Unito.
Mostar prima dei bombardamenti
La situazione era poi peggiorata ulteriormente nel 1993 quando, dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione della Jugoslavia in tre parti etnicamente pure, era scoppiato un conflitto armato tra Bosniaci e Croati che riguardava la spartizione del territorio nazionale.
Nel 1993 i Serbi ponevano sotto assedio Sarajevo e bruciavano i due milioni di libri della biblioteca della città. Sempre nel 1993, da parte dei bombardamenti Croati veniva distrutto il ponte di Mostar, città costretta alla resa dalle forze croato-bosniache.




L'EVENTO PIU' SCONVOLGENTE: LA STRAGE DI SREBRENICA.

Il prezzo più alto di queste guerre è stato pagato dai Bosniaci... in particolare, da circa 8000 componenti della popolazione maschile di età compresa tra i 14 e i 60 anni...

Srebrenica era una città in cui vivevano i bosniaci musulmani dichiarata protetta dall'ONU ma di fatto circondata da soldati serbi.
Dopo la caduta della città, avvenuta l'11 luglio del 1995, Ratko Mladic, comandante delle truppe serbe, godendo dell'appoggio dei gruppi paramilitari, inizialmente rassicura la popolazione ma poi, ordina di separare la popolazione maschile da quella femminile.
Poi ordina di deportare e di fucilare invece i ragazzi e gli uomini, che verranno poi sepolti nelle fosse comuni.
Sono rimasta sconvolta da un breve ma terribile video relativo alle fucilazioni di giovani uomini, ... e, a giudicare da quello che l'ora successiva ci ha detto Carlo Saletti, attore, in quel genocidio di Srebrenica sono morti moltissimi ragazzi poco più grandi di me.
Mentre quelle sconvolgenti immagini scorrevano sotto i miei occhi, un forte sentimento di indignazione mi pervadeva l'animo e me lo pervade anche ora: io... credo che difficilmente dimenticherò quelle fucilazioni. Non crediate che stia piangendo o cose simili. Però ho una gran voglia di urlare. Di urlare la mia rabbia contro quei delinquenti che hanno stroncato giovani vite e che si sono permessi non solo di filmare gli orrori che commettevano ma addirittura di insultare con epiteti infamanti quei giovani corpi che tremavano come foglie di fronte al fucile puntato.

Vi dico quello che ho pensato durante il video: 

A) L'odio feroce rende ciechi di fronte alle sofferenze altrui. I bosniaci musulmani erano nemici dei serbi ma comunque uomini come loro.  Gli uomini bosniaci musulmani hanno provato angoscia e paura di fronte alla violenza che stavano subendo, gli uomini serbi non comprendevano affatto questi sentimenti a causa dell'odio.

B) Poi mi sono chiesta: ma se io fossi stata la moglie, o la madre, o la ragazza, o la sorella, o la cugina o semplicemente l'amica di uno di quegli uomini? Sarei stata capace di sopravvivere al dolore di una perdita così ingiusta?

C) E per quanto riguarda gli stupri di massa organizzati dai militari e subiti dalle donne bosniache: se io fossi una di quelle donne violentate, dopo questa terribile esperienza, crederei ancora in Dio e nei valori dell'amore e della speranza?!


Grandi domande, le mie. Proprio tipiche di una che riflette.
Concludo affermando: Piangere o urlare non serve a nulla di fronte a una tragedia così grande.
TUTTAVIA, E' ASSOLUTAMENTE NECESSARIO RICORDARE IL PASSATO PER RIFLETTERE SUL PRESENTE E PER RENDERE MIGLIORE IL FUTURO.














8 gennaio 2014

L' "Adelchi": tragedia manzoniana di grande efficacia


Adelchi è una tragedia scritta nel 1820 da Alessandro Manzoni e pubblicata per la prima volta nell'ottobre del 1822.
Quest'opera, ambientata nel periodo dell'Alto Medioevo, narra le vicende di Adelchi, protagonista della vicenda e figlio di Desiderio, ultimo re dei Longobardi.



Nell'atto I, Ermengarda, sorella di Adelchi e figlia di Desiderio, ritorna in patria dopo essere stata ripudiata da Carlo Magno. Il ripudio suscita l'indignazione di Desiderio, che vorrebbe vendicarsi costringendo il papa a incoronare re i figli di Carlomanno, fratello di Carlo. Adelchi tenta invano di dissuaderlo. Quest'ultimo infatti, vorrebbe cercare di stabilire un accordo con il papa.
Poco tempo dopo, giunge un messaggero di Carlo Magno alla corte di Desiderio che invita il re longobardo a restituire al pontefice alcune terre che gli erano state sottratte in precedenza.
Ma Desiderio rifiuta e Carlo gli dichiara guerra.
Nel II atto, il papa invita Carlo Magno a valicare le Alpi per muovere guerra ai Longobardi. Ad un tratto, il diacono Martino, un inviato del vescovo di Ravenna, scopre un valico che consente all'esercito franco di oltrepassare le Alpi e di colpire i nemici alle spalle. Il diacono è uno strumento della Provvidenza.
Nel III atto, i Franchi assalgono il campo del territorio longobardo e Adelchi confida all'amico Anfrido i propri tormenti: elogia le truppe che lo sostengono in questa impresa contro Carlo ma al contempo prova un forte senso di amarezza nei confronti di quei nobili che si comportano in modo sleale e ipocrita con Desiderio; nutre un sincero affetto nei confronti della sorella e per amore di essa vorrebbe realizzare i suoi desideri di vendetta contro Carlo ma è anche trattenuto da un sentimento di pietà nei confronti dei Franchi; sente inoltre politicamente ingiusta la guerra contro il papa, odia la guerra fine a se stessa, aspira alla gloria ma sa di non poterla ottenere dal momento che fa parte infatti di una stirpe di oppressori ostili sia al papa che a Dio. Infatti egli, per dovere filiale e per necessità storica deve recitare il ruolo di oppressore malvolentieri.
Riporto alcune frasi significative pronunciate da Adelchi: "La gloria? il mio destino è di agognarla e di morire senza averla gustata"/ "Il mio cor m'ange, Anfrido; ei mi comanda alte e nobili cosee la fortuna mi condanna ad inique"/ "Qual guerra e qual nemico! Ancor ruine sopra ruine ammucchierem: l'antica nostr'arte è questa."
E' possibile considerare Adelchi un eroe romantico che comprende la dura legge della violenza secondo la quale non c'è alternativa tra il far un torto o subirlo e che, tormentato da profonde contraddizioni interiori, tende a una meta irraggiungibile (raggiungere la gloria terrena in modo onorevole).
L'atto IV, ambientato nel convento di Brescia, è concentrato sulla figura di Ermengarda. 
Ermengarda, quando viene informata dell'intenzione di Carlo Magno di risposarsi, inizia a delirare e il delirio la porterà alla morte.
L'atto IV è stupendo, il mio preferito!  Non intendo affermare che leggere una parte relativa al delirio e alla morte di un personaggio sia esaltante... mi riferisco al mio impatto emotivo, nel senso che ho quasi pianto. 
A volte Manzoni sa essere molto efficace e coinvolgente. Ermengarda è descritta come una donna passionale, romantica, disperata, dolce e fragile.
 Il coro dell'atto quarto inizia così:

 « Sparsa le trecce morbide                                  
su l’affannoso petto,
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo

sguardo cercando il ciel.

Cessa il compianto: unanime
s'innalza una preghiera:
calata in su la gelida 
fronte una man leggiera
su la pupilla cerula
stende l'estremo vel.

Sgombra, o gentil, dall'ansia
mente i terrestri ardori;
leva all'Eterno un candido
pensier d'offerta, e muori:
fuor della vita e il termine
del lungo tuo martir.»

La pia Ermengarda giace con le morbide trecce sparse sul petto affannato, con le mani abbandonate e il volto pallido, madido di sudore. Cerca il cielo con sguardo vagante. Si interrompe il pianto delle suore e si innalza una preghiera collettiva. 
Bellissimo il verso dodici; fa pensare a più di una interpretazione: la "man leggiera" potrebbe essere o la mano di una suora che chiude gli occhi ad Ermengarda, appena deceduta, oppure forse anche la mano invisibile di Dio che stende un velo di oscurità sui suoi occhi azzurri. L'affannato animo di Ermengarda poi è purificato dalle passioni terrene. Nella morte, la giovane donna trova la fine delle sue sofferenze.

Nel coro dell'atto IV vengono poi menzionati e descritti gli "irrevocati dì" , ovvero i giorni felici e destinati a non tornare mai più, ricordati da Ermengarda durante il periodo di reclusione nel monastero. Il passato, per Ermengarda, era caratterizzato dall'amore per Carlo, dalle osservazioni delle battute di caccia compiute dall'alto di un balcone del palazzo reale, dal dolcissimo ricordo delle acque termali presso la reggia di Aquisgrana.

Nel coro dell'Atto IV è importante il tema del ricordo

Nell'atto V infine, ambientato a Verona, Adelchi, dopo aver saputo della caduta di Pavia, si mostra incerto se morire affrontando i Franchi o se recarsi a Bisanzio per una controffensiva.
Intanto nel campo nemico, Desiderio, fatto prigioniero, chiede a Carlo di risparmiare la vita del figlio Adelchi. Intanto giunge la notizia che le truppe longobarde sono state sconfitte e che Adelchi è gravemente ferito. Adelchi, poco prima di morire, affida la propria anima a Dio. 

"O re dei re, tradito da un tuo fedel, dagli altri abbandonato, vengo alla pace tua, l'anima stanca accogli."












1 gennaio 2014

Addio 2013!! Ora mi aspetta un 2014 molto intenso e pieno di novità...


Felice anno nuovo a tutti voi!! Incredibile, siamo nel 2014!

Quanti auguri di felice anno nuovo ho ricevuto in questi ultimi giorni! E a quante persone io ho augurato di vivere con gioia il nuovo anno!
Sono ancora un po' assonnata; ieri sera ho invitato a cena alcune ragazze che sono rimaste a casa mia fino alle due e mezza di questa mattina e io sono andata a letto alle tre. Mi sono divertita parecchio, io e le mie amiche abbiamo parlato molto, di svariati argomenti...
Comunque, è vero che sono un po' stanca ma vi assicuro che adesso cercherò da fare del mio meglio per proporvi una mia piccola riflessione, per dire addio al 2013 e per dare il benvenuto al 2014:

 Immagino di trovarmi vicino a un fiume e accanto a me si trova un albero pressoché spoglio. Come la corrente di questo fiume trasporta le ultime foglie dai colori vivaci, cadute nell'acqua limpida, il tempo scorre inesorabilmente e porta via con sè le esperienze che ho vissuto negli ultimi dodici mesi.
Il 2013 se ne va. Per sempre.
Ma io lo ricorderò sempre con molto piacere, dal momento che mi ha regalato meravigliose opportunità e notevoli soddisfazioni. Ho vissuto soltanto qualche piccola delusione ma, escludendo i pochi eventi negativi, devo ammettere che il 2013 è iniziato bene ed è finito benissimo.
Mi sono capitate molte cose belle. Ma in questo post non voglio elencare tutti gli avvenimenti positivi che ho vissuto, innanzitutto perché l'elenco è molto lungo, talmente lungo che impiegherei un'innumerevole quantità di tempo per menzionare e per descrivere tutte le esperienze piacevoli e poi perché probabilmente vi annoierei.
Io voglio guardare avanti e sperare che il 2014, appena arrivato, sia un anno molto positivo, come lo è stato il 2013.
Fra sei mesi dovrò affrontare l'esame di maturità. In effetti mi sto preparando seriamente e spero di ottenere un risultato degno dei miei sforzi. Ho ottenuto buoni risultati in questi cinque anni di liceo, quindi confido nelle mie risorse.
Poi a ottobre inizio l'università... un ambiente che sicuramente mi aiuterà a coltivare maggiormente i miei interessi. Tanto ve l'ho già detto nel post intitolato "Fantastici 18 anni" che sono convinta di iscrivermi a Lettere. Per farmi mancare l'aria toglietemi la letteratura italiana e la cultura dell'antichità.
Il 2014 sarà molto intenso e mi offrirà nuove prospettive... In questo anno appena iniziato, mi impegnerò a mantenere buoni rapporti con i miei cari e cercherò di essere meno critica verso gli altri.
Io sono formata da due parti: la parte migliore di me, che è un'Anna sensibile e gentile, e la parte peggiore, costituita da un'Anna permalosa, ipercritica e dura con se stessa. Non devo permettere alla parte peggiore di prevaricare su quella migliore perché altrimenti rischio di diventare stizzosa e forse anche superba e presuntuosa... Se permetto alla parte peggiore di emergere, rischio di diventare un'infelice e un' insoddisfatta. Ha ragione Gramellini quando, nel suo ultimo romanzo "Fai bei sogni", afferma che "tutti abbiamo una prova da affrontare in questa vita." La mia consiste nel cercare di divenire meno dura con me stessa per poi migliorare il mio rapporto con gli altri.
Consiglio mio: pensate alla vostra personalità, a ciò che vi riesce difficile realizzare, pensate alla prova che la vita vi chiama ad affrontare (e a superare) e promettete a voi stessi di impiegare le vostre forze per migliorarvi.
 Buon anno!!! :-)