Ho visto questo film al cinema qualche mese fa. Mi è piaciuto molto e sono rimasta affascinata dalla personalità della protagonista.
Il film è ambientato inizialmente negli Stati Uniti, dove Philomena Lee, donna anziana di origini irlandesi, confida alla figlia di essere rimasta incinta da adolescente a causa di una relazione avvenuta con un giovane che conosceva appena. Per questo motivo, la famiglia l'aveva cacciata di casa. Philomena allora si era rifugiata in un convento di suore, dove aveva partorito il figlio con parto podalico e senza antidolorifici. Il bambino era stato chiamato Anthony. Nel convento, Philomena era stata costretta, come molte altre ragazze madri, a svolgere lavori pesanti.
Pochi anni dopo, il figlio le viene sottratto dalla madre superiora (la suora direttrice del convento), che decide di darlo in adozione senza consultare Philomena.
Ricordo molto bene quella scena straziante in cui due signori ben vestiti fanno salire il povero bambino (piccolo piccolo, avrà avuto al massimo 4 anni al momento dell'adozione) su una carrozza, mentre Philomena urla disperata aggrappandosi alle sbarre del cancello del convento per non svenire dal dolore. Tutte le volte che ci penso mi vengono i brividi...
Nonostante siano passati molti anni, Philomena non vuole rinunciare all'idea di ritrovare Anthony e sua figlia le promette di aiutarla. Quest'ultima incontra casualmente in un bar il giornalista Martin e gli propone di aiutare la madre nella ricerca.
Martin incontra dunque la donna e inizia a farle molte domande sul suo passato e sul tipo di vita condotto dalle ragazze madri nel convento. Proprio su questo punto, emergono dalle memorie di Philomena particolari sconvolgenti e sconcertanti che fanno indignare il giornalista.
Martin è coltissimo dal punto di vista storico, pessimista riguardo alla vita umana, dichiaratamente ateo e Philomena invece dispone soltanto di un'istruzione elementare e coltiva un forte e sincero sentimento di fede religiosa.
Mi ha molto sorpresa il fatto che due persone così diverse tra loro sapessero instaurare un profondo dialogo improntato sul rispetto reciproco, sulla solidarietà e sulla benevolenza.
E' importante rilevare che Philomena, pur non essendo colta, si dimostra davvero equilibrata e intelligente dal momento che riesce, pur vivendo un dolore lacerante, a non confondere Dio con coloro che credono di praticare i suoi precetti e di rappresentarlo manifestando in realtà comportamenti autoritari e indelicati.
E qui mi permetto di aprire un' importante parentesi: non mi piace il fatto che molta gente critichi troppo duramente i religiosi e i sacerdoti. Certo, soprattutto nelle epoche passate sono esistiti esponenti della Chiesa che, oltre a mancare di pietà cristiana, hanno manifestato un carattere duro e intollerante; ma non è giusto generalizzare.
Nel nostro presente i religiosi non sono tutti rigidi, incoerenti e inflessibili. Non proprio tutti. Affermo questo per esperienza personale: conosco ormai bene Don Giorgio Costa, parroco di Bussolengo, un paese vicino al mio. Don Giorgio è un'anima grande: è molto gentile, sensibile, sempre sorridente, aperto al dialogo. Tra l'altro, padroneggia bene la letteratura (pensate solo al fatto che di tanto in tanto cita Foscolo!). E' un sacerdote che sa trasmettere gli insegnamenti di Gesù con molto entusiasmo e con convinzione. Con me è sempre stato buonissimo: in effetti, per tutte le volte che gli chiedevo un colloquio, si è sempre dimostrato disponibile e non ha soltanto chiarito molti miei dubbi ma mi ha dato anche alcuni preziosi consigli. Gli devo davvero molto!!
Citerei anche Padre Ermes Ronchi, teologo di grande intelligenza, progressista (e in effetti vorrebbe che anche alle donne venisse concesso il sacramento del sacerdozio). Dagli occhi di Padre Ermes traspaiono dolcezza, serenità, amore sincero verso il prossimo.
E comunque anche mio zio Don Attilio è un bravo parroco perché sa instaurare un buon rapporto con i giovani e inoltre non ha mai mancato di rispetto a nessuno dei suoi parrocchiani.
Dunque, dapprima Martin e Philomena si recano nel convento irlandese in cui la donna aveva dimorato per qualche tempo. Però, le religiose sostengono di non disporre di informazioni utili riguardo alle adozioni avvenute in passato dal momento che, secondo quanto riferiscono, i registri sarebbero stati incendiati casualmente molti anni prima.
Ma, con il passare dei giorni, i due protagonisti apprendono da altre fonti che l'incendio non sarebbe stato affatto casuale e che in realtà i bambini, più che essere stati dati in adozione, erano stati venduti a famiglie benestanti.
Martin allora, grazie alla sua dimestichezza con i mezzi informatici, riesce a scoprire non soltanto che Anthony era stato adottato da due coniugi borghesi con il nome di Michael ma anche che era diventato un avvocato di successo, che era di orientamento omosessuale e che nel 1995, era morto di AIDS. Quest'ultima notizia crea una grande afflizione nell'animo di Philomena, la quale però, anziché prendere l'aereo per ritornare negli Stati Uniti, desidera cercare e incontrare tutte le persone che conoscevano suo figlio: tra queste, Mary, sorella di Michael che riferisce a Philomena quanto i loro genitori amassero Michael e quanto incoraggiassero la sua brillante intelligenza e il compagno di Michael, che riferisce il desiderio di quest'ultimo di conoscere le sue vere origini familiari.
Martin decide allora di ritornare al convento con Philomena e lì, i due protagonisti litigano con una suora molto anziana, convinta del fatto che Philomena meritasse di "pagare per il suo peccato" con la perdita del figlio. Martin si agita, arrossisce, urla contro la suora; ma Philomena riesce, con una pazienza e una mitezza ammirevoli, a calmarlo e poi dichiara il suo perdono alla religiosa.
Ho trovato molto commovente la scena finale: Philomena trova la tomba del figlio nel giardino del convento e, tra amare lacrime, legge
l'iscrizione riportata sulla lapide.