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24 dicembre 2014

Il Santo Natale: il valore della solidarietà


"Cammino su un silenzioso sentiero di campagna, mentre delicati fiocchi di neve scendono dal cielo e si posano sui rami spogli e sulle foglie accartocciate e appassite. I fiocchi di neve accarezzano le mie palpebre che si aprono e si chiudono di fronte al loro silenzioso cadere. Cammino tranquilla. I miei passi lasciano le loro effimere impronte nel candore della neve. Giungo dinanzi ad un fiume dalle acque gelide e immobili. Osservo la mia immagine riflessa.
Ad un tratto però, sento un timido singhiozzo alle mie spalle. Mi volto e vedo un ragazzo seduto accanto ad un abete. Mi avvicino lentamente. I battiti del mio cuore si fanno sempre più veloci, sempre più forti. Continuo ad avvicinarmi. Mi accorgo che le guance del ragazzo sono rigate di lacrime. Mi siedo accanto a lui. Freno l'impulso di abbracciarlo e mi limito a sussurrargli un tenero "Ciao". I suoi occhi disperati mi fissano con intensità mentre mormora: "Sono solo. Non ho più nessuno al mondo. Sono solo". Il mio cuore batte sempre più forte... il mio respiro si fa affannoso. La mia mano tremante afferra la sua e la stringe. E con una voce che tradisce la mia voglia di piangere, gli dico: "Ma se vuoi ci sono io!".  "Grazie". La sua voce è dolce e triste allo stesso tempo. ... e io gli sorrido con le lacrime agli occhi..."


Praticamente vi ho appena raccontato un sogno che negli ultimi anni mi capita di fare poco prima del 25 dicembre. Davvero, è sempre la stessa scena: la neve che cade, io che cammino fino alle rive del ruscello, il ragazzo che piange, io che gli stringo la mano... Credo che questo sogno esprima il mio  forte desiderio di accogliere gli altri, di ascoltarli, di prestare loro solidarietà e vicinanza nei momenti più bui della vita. Il Natale è una festività che ci invita a divenire più solidali verso chi soffre, ci stimola a rinnovare la parte migliore di noi stessi.
Anche quest'anno è già Natale... Sono seduta accanto al presepe che io e mia mamma abbiamo accuratamente allestito circa due settimane fa. Avvicino il mio sguardo alla Madonna che tiene tra le braccia Suo Figlio. Incredibile! Noi cristiani abbiamo fede in un Dio che si fa bambino, in un Dio che diviene uomo e che condivide le sofferenze dell'umanità! Mi sorprende sempre il fatto che il Salvatore del mondo sia nato in un'umile capanna e non nelle stanze di un palazzo reale! Il Figlio Unigenito di Dio, venuto ad abitare in mezzo a noi per insegnarci la carità fraterna, giace in una mangiatoia!! Il protagonista del Natale è un umile bambino visitato dai pastori!
Un brano di San Paolo dice così: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce (...)".
Chiudo gli occhi, per cercare di immaginare il cammino dei pastori verso la stalla: vedo una stella più luminosa del sole che percorre velocemente le vie del cielo per posarsi poi sul tetto della capanna, mentre miriadi di angeli volano e cantano: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli! E pace sulla Terra".
Da bambina avrei voluto essere uno dei pastori; avrei voluto raggiungere la capanna saltellando e cantando gioiosamente lungo il tragitto per poter dare una carezza a Gesù bambino e per poter regalare un sorriso a Maria e Giuseppe.  " Purtroppo sono nata duemila anni dopo!", dicevo sconsolata. Davvero, anni fa mi sarebbe piaciuto vivere nell'epoca della nascita di Cristo.

Ora invece, riapro gli occhi e seguo il flusso dei miei pensieri.

"Natività", Gherardo delle Notti, 1620, olio su tela
Vorrei che questo Natale portasse il caldo vento della solidarietà per sciogliere il gelido ghiaccio presente nei cuori egoisti.
Vorrei che questo Natale facesse brillare nel cielo la parola "Pace" .
Vorrei che questo Natale spegnesse le dannose fiamme dell'odio e della violenza.
Vorrei che questo Natale spargesse semi di speranza nei cuori lacerati dal dolore, dalla solitudine, dalla malinconia.
Vorrei che questo Natale regalasse la forza di sorridere alle persone ammalate, provate da sofferenze fisiche e piscologiche.

Io... in questi giorni vorrei poter stare vicina alle persone che soffrono, vorrei poter donare loro la forza di credere in se stessi e in un futuro migliore.
Ogni volta che arriva il Natale, si rinnova dentro di me la voglia di compiere del bene per l'umanità.



BUON NATALE A TUTTI VOI!





20 dicembre 2014

Il quarto re magio: il riflesso della grazia di Dio in una stella


Oggi sono triste... E' appena morta un'anziana signora che mi voleva molto bene e alla quale anch'io volevo molto bene. Era un'amica di famiglia, era molto buona, generosa e profondamente credente...
 A lei dedico questo racconto di Natale, intitolato: "Il quarto re magio":

"Tanto tempo fa, in una terra lontana, svettava un'altissima torre. Un giorno, mentre il sole stava scendendo sull'orizzonte e le mura della torre risplendevano dorate nella calda luce del tramonto, i magi presero a correre su per le scale. Una volta giunti in cima, sul terrazzo della torre, l'oscurità ormai li avvolgeva. Si guardarono intorno e sopra di loro, nella volta celeste, videro brillare migliaia di stelle. "Ah!", sospirò uno, "Sono così belle!".  "Ziba!", lo rimproverò un altro, "Non siamo venuti qui per ammirare le stelle, siamo qui per studiarle... Per comprendere la loro nascita e la loro struttura, per comprenderne schemi e spostamenti, per indagarne i misteri e scoprire i loro significati nascosti." "Certo che sì, Baldassarre", rispose Ziba, cercando di risultare più coscienzioso di quanto non fosse. Ziba si rivolse poi a Melchiorre, dicendo:"quella stella ad est è davvero luminosa... Non ricordo di averne mai vista una così luminosa in quella parte del cielo...". 
"Melchiorre, penso che sia un primo avvistamento," disse il terzo, il cui nome era Gaspare, "E' una stella davvero insolita e credo che si stia muovendo. Riesci a vedere la sua coda luminosa?" I quattro uomini si misero ad osservare il cielo. Si trattava certamente di una nuova stella, non avevano dubbi. Ma perché era apparsa? Qual era il suo significato?
Fu solo quando il cielo fu rischiarato dalle luci dell'alba che gli uomini trovarono la loro risposta.
"E' il segno della nascita di un nuovo re", disse Baldassarre dopo aver consultato le sue preziose scritture. "Un re per la nazione dei Giudei".
"Un re per cui Dio stesso ha posto una stella in cielo", sospirò Ziba, "E' davvero sorprendente!! So che dobbiamo fare le nostre analisi con cautela, ma ogni tanto non vi viene da esclamare "ooooh" per la meraviglia?". Baldassarre inclinò il capo: "Non credo di aver mai avuto una reazione simile."
Mentre i magi discutevano della stella e del nuovo re, decisero di intraprendere un viaggio.
"Dobbiamo seguire la stella dovunque ci porti", dissero. "Dobbiamo trovare il nuovo re e portargli dei doni che gli rendano omaggio". Partirono più in fretta che poterono. Viaggiare di notte veniva loro naturale, poiché erano abituati a orientarsi osservando le stelle. Sembrava che la stella che stavano seguendo li volesse condurre da qualche parte a ovest.
Sulla strada, Ziba affiancò Baldassarre.
"Che regalo hai scelto per il nuovo re?" gli chiese.
"Uno scrigno d'oro.", rispose Baldassare, "L'oro è l'emblema del potere regale, e all'occorrenza può essere mutuato in monete."
I due cavalcarono affiancati in silenzio per un po'.
"E tu hai trovato il tuo 'sbalorditivo' regalo?", chiese Baldassarre.
Ziba percepì il sarcasmo della domanda.
"Non ancora", disse poi, "anche se l'oro è una scelta a dir poco abbagliante, devo dire."
La sera seguente Ziba parlò con Melchiorre. "Qual'è il tuo omaggio per il re?", chiese Ziba.
"Sapevo fin da subito cosa portare," rispose Melchiorre, "La mia città natale è famosa per la produzione di incenso. Gli Ebrei utilizzano spesso questo eccezionale prodotto. Lo bruciano, come saprai, all'interno del loro tempio. Mentre i sacerdoti parlano, il fumo dell'incenso si alza come le preghiere s'innalzano fino al cielo. Il re dei Giudei sarà sicuramente il loro sacerdote più sommo. "
"Davvero appropriato", disse Ziba. "Significativo, e poi che bella idea quella di pensare ad un prodotto locale". La terza sera del viaggio, Ziba andò da Gaspare per domandare anche a lui che cosa avesse scelto come regalo. Gaspare sorrise. "Se questo re realizzerà i sogni di questa gente, allora dovrà essere un guaritore", disse. "Gli porterò della mirra, nota per avere dei poteri curativi. Inoltre la metterò in un vaso di alabastro... So che è soltanto la confezione, ma sai com'è... dà un tocco in più!" Poi continuò:"Temevo che tu potessi avere la mia stessa idea, conoscendo la tua passione per certe cose. Sono sollevato che non sia così. Perciò dimmi, che regalo hai scelto?". Ziba si morse il labbro inferiore. "Io... ci sto ancora pensando", disse, "temevo di poter scegliere il tuo stesso regalo ma sono certo che l'ispirazione arriverà". Ma anche se il viaggio durò parecchi giorni, Ziba non riuscì a pensare a nessun regalo che fosse all'altezza. Dopo parecchi kilometri, gli uomini raggiunsero Betlemme. La stella che avevano visto ad Est brillava su una piccola casa a poche centinaia di metri di distanza. Quando si avvicinarono, sentirono l'inconfondibile pianto di un neonato. "E' lì", disse Baldassarre, "Devo portargli l'oro". Smontò dal cammello e cominciò ad aprire una delle sue bisacce. "L'incenso è arrivato integro."disse Melchiorre.
"Presenterò questo bel vaso con la mirra avvolto in un panno di raffinato lino. Credo proprio che sia grazie alla cura con cui si impacchettano i doni che si dimostra il proprio interesse." disse Gaspare.
"E tu, Ziba?" "Sono desolato" disse il quarto re magio. "Non ho ancora un dono. Lasciatemi qui fuori, andrò a prendere l'acqua per i cammelli."
Ziba osservò i suoi tre compagni di viaggio entrare in casa. Poi trovò un secchio e lo calò nel pozzo. Quando lo sollevò vide il riflesso della stella che avevano seguito fin lì.
"Ooooh!" sospirò. "Riflessa nell'acqua è ancora più bella, più luminosa, più scintillante! E pensare che una stella così grande possa entrare in questo secchio arrugginito."
Poi, senza pensare, corse dentro la casa, portando con sé il secchio. "Ho pensato che il bambino volesse vedere la stella che Dio ha posto in cielo per lui," disse. Poi si fermò. "Ma non è che un riflesso, che sciocco che sono." La madre del bambino sorrise. Portò il bambino davanti al secchio. Poi Ziba assisté ad un miracolo: la stella era ancora lì, e portava al bambino lo scintillio del cielo."


Addio, Gemma! Ora sei una stella che brilla nel cielo. Per favore, pensami anche da lassù e proteggi i tuoi cari! Ricordati di tutti noi quando canterai con gli angeli!


 ...ricordate il post che ho scritto il giorno del mio diciannovesimo compleanno, ormai tre mesi fa?...
Ad un certo punto, menzionavo l'esperienza di una veglia pre-natalizia e dicevo che i catechisti, durante quell'incontro, avevano insegnato a noi ragazzi una canzone stupenda, "della quale ricordo ancora a memoria ogni parola". Ogni singola parola.
Qui sotto la riporto:

17 dicembre 2014

Kierkegaard: l'esistenza come possibilità e fede


 Devo ammettere che finora la mia vita da giovane universitaria procede abbastanza bene... La mia mente è già piena di nozioni e memorizza piuttosto facilmente gli argomenti che studia.
 ...Quando mi sono iscritta a Lettere, ero consapevole del fatto che avrei dovuto affrontare soprattutto discipline come letteratura, linguistica, storia, storia dell'arte e geografia ma... a volte sento la mancanza dei filosofi, o, più in generale, della filosofia... (Scienze Filosofiche sarebbe stata comunque la mia seconda scelta accademica!). E' vero che i letterati e gli artisti sono in grado di esprimere una "filosofia di vita" attraverso le loro opere, ma io non potrò mai dimenticare le teorie particolarmente profonde e interessanti di alcuni filosofi che ho studiato al liceo. Ricordo molto bene Kierkegaard, per esempio. In questo post cercherò di descrivere alcuni aspetti del suo pensiero come meglio potrò.


NOTE BIOGRAFICHE:

 Soren Kierkegaard, figlio di un pastore protestante, era nato in Danimarca nei primi anni del XIX secolo. Era cresciuto in un clima di austera religiosità e viveva un rapporto conflittuale con il padre, il quale si era macchiato di una colpa terribile: in passato aveva instaurato una relazione con la domestica, divenuta poi la sua seconda moglie, proprio mentre la prima moglie era in punto di morte.
Questo grave errore del padre aveva influenzato gran parte delle scelte di vita di Soren, pervaso, sin da ragazzo, da un'angoscia soffocante, da un dolore lacerante e da una forte insoddisfazione (aveva interrotto il fidanzamento con Regina Olsen, perché pensava che la colpa del padre potesse gravare anche sul destino di lei).
Nonostante la sua laurea in Teologia all'Università di Copenhagen, aveva deciso di non intraprendere la carriera religiosa in modo tale da poter dedicare la propria esistenza alla scrittura, pubblicando i suoi libri sotto diversi pseudonimi (motivo per cui, fino agli anni Venti del Novecento, le sue opere erano sconosciute). Anno di morte: 1855.


ANGOSCIA E POSSIBILITA':

Innanzitutto, è utile considerare il fatto che Kierkegaard riconduce la comprensione dell'intera esistenza umana alla categoria delle possibilità, mettendo in luce l'aspetto negativo e doloroso di ogni possibilità.
L'angoscia in Kierkegaard è paura del nulla, dal momento che ogni possibilità implica la minaccia del nulla. L'essere umano è dunque privo di certezze. Nel suo saggio "Il concetto dell'angoscia", egli afferma che se l'uomo fosse un angelo o una bestia, non conoscerebbe l'angoscia, dal momento che questa è strettamente legata alla condizione umana e quindi assente negli stadi prossimi alla bestialità e all'a-spiritualità. Se l'uomo fosse un angelo, sarebbe troppo felice per provare angoscia e disperazione; se invece fosse una bestia, sarebbe troppo corrotto per poter provare dei sensi di colpa. Kierkegaard si accorge con dolore di non poter attuare se stesso in un'unica possibilità, in un'unica scelta. Dunque l'essere umano è continuamente chiamato a scegliere, senza validi punti di riferimento.
Ultimamente, quando penso a questa interessante intuizione e al fatto che tutti noi umani dobbiamo compiere quotidianamente delle scelte, mi viene sempre in mente un'opera artistica creata dal pittore svizzero Paul Klee, attivo negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, intitolata "Strada maestra e
Klee, "Strada maestra e strade secondarie", olio su tela, 1929.
strade secondarie". Questo dipinto è costituito da vivaci tessere cromatiche che si estendono lungo la superficie. Alcuni credono che queste toppe cromatiche formino una sorta di strato geologico; ma a me fanno pensare più che altro a delle tessere di un mosaico. Lo so, è un parallelismo molto strano con le ideologie di Kierkegaard, ma d'altra parte, io ritengo che dichiarare in campo filosofico che la nostra vita è fatta di scelte, significhi in qualche modo paragonare l'esistenza a un mosaico costituito da tessere di vario colore e di varie dimensioni. 
 Le tessere naturalmente, rappresenterebbero le scelte compiute nel cammino della vita, diverse l'una dall'altra.


L'"AUT-AUT" E GLI STADI DELL'ESISTENZA:

"Aut-aut", in danese "Enten-Eller", è un saggio che rappresenta tre stadi di vita: estetico, morale e religioso.

Lo stadio estetico è uno stile di vita proprio di chi "esiste nell'attimo", di chi odia la monotonia e ricerca costantemente il piacere, come il personaggio del Don Giovanni di Mozart. Il godimento di Don Giovanni sta nell'appagamento intenso del piacere (soprattutto di quello sessuale). Però, questo stato di vita conduce alla noia e all'infelicità: la giovinezza passa in fretta e nessuno ha il potere di fermare il presente, che sfugge di continuo ai nostri occhi.

Lo stadio etico, invece, è rappresentato dalla figura di Guglielmo, marito, padre e impiegato. Egli vive in maniera sobria, coltivando la sua tenera dedizione alla moglie e ai figli. Il matrimonio dunque, è la tipica espressione dell'eticità. Tuttavia la persona etica è soggetta al pentimento e al senso di colpa, dal momento che non può rinunciare a nessun evento che fa parte della sua storia personale, nemmeno agli avvenimenti più dolorosi, che comportano angoscia e peccato (talvolta la persona etica compie il male che non vorrebbe compiere).

Lo stadio religioso riguarda invece la relazione tra l'uomo e Dio. Anzi, precisamente, lo stadio religioso è la relazione con Dio, che è altro da sé.
Nel rapporto con Dio, l'uomo dà voce alla propria angoscia, coltivando la speranza di potersi riscattare moralmente. Nella vita di fede si torna a gustare pienamente l’attimo fuggente della realtà, perché solidamente ancorata al suo Creatore, e l’essere umano diviene capace di compiere azioni morali, perché sostenuto dalla grazia di Cristo.





Per concludere, vorrei riportare un pensiero del filosofo che mi incuriosisce molto e che mia ha anche un po' spiazzata: egli infatti sostiene che la frase rivelatrice più di ogni altra dell'umanità di Cristo è "Ciò che tu fai, affrettalo!", indirizzata a Giuda, il discepolo traditore, e non, come pensiamo noi cattolici "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". 

9 dicembre 2014

Petrarca e Alfieri: l'inquietudine che pervade l'animo umano


 Nel mese di ottobre, mi è capitata una cosa che non avrei mai potuto prevedere: mi sono trasferita dall'Università di Brescia all'Ateneo di Verona... per diversi motivi che non ritengo opportuno elencare... 

Finora sono molto soddisfatta di questo cambio repentino, dal momento che l'Università veronese mi ha offerto, mediante un'interessante conferenza tenuta da un amico del mio docente di letteratura italiana, l'opportunità di riflettere sulla tematica del dissidio interiore e del tedio in letteratura. Sono dunque riuscita a stabilire un'analogia tra Francesco Petrarca e Vittorio Alfieri, due grandi letterati italiani vissuti in epoche diverse (il primo nel Trecento, il secondo nel Settecento). 

Francesco Petrarca


"Pace non trovo, et non ò da far guerra;
et temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.

Tal m'a' in pregion, che non m'apre nè serra,
nè per suo mi riten nè scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
nè mi vuol vivo, nè mi trae d'impaccio.

Veggio senza occhi, et non ò lingua, et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi."

(F. Petrarca, Canzoniere, sonetto CXXXIV)




In questo celebre sonetto viene affrontata la tematica della sofferenza d'amore che non fa trovare pace al poeta. Il componimento presenta innanzitutto una disposizione equilibrata e armonica delle parole all'interno dei versi: già nel primo verso infatti, è possibile rilevare l'antitesi "pace/guerra", i cui termini vengono posti agli estremi del verso. E' possibile rilevare la regolarità della disposizione delle parole anche in versi come:"et volo sopra il cielo, et giaccio in terra", "et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio", "et non m'ancide (uccide) Amore, et non mi sferra (non mi libera dalle catene)". Si contano circa quindici antitesi all'interno del sonetto, nella maggior parte dei casi, formate da due termini coordinati ma concettualmente opposti "et temo et spero".
Certamente questa poesia è famosa per i suoi numerosi artifici linguistici, ma, nonostante ciò, riesce a esprimere con chiarezza l'angoscia del poeta, tormentato da un folle sentimento di passione amorosa per Laura. D'altra parte, la frequenza della congiunzione "et" conferisce al testo una sorta di "pathos", di tensione febbrile che prefigura alla condizione di un forte conflitto interiore.

Vittorio Alfieri

Ed è proprio dal punto di vista tematico che il presente componimento di Petrarca è abbastanza simile ad una poesia scritta da Alfieri negli ultimi anni della sua vita:

 
"Sperar, temere, rimembrar, dolersi;
sempre bramar, non appagarsi mai;
dietro al ben falso sospirare assai,
né il ver (che ognun ha in sè) giammai godersi;
Spesso da più, talor da men tenersi;
ne appien conoscer sè che in braccio a' guai ;
e, giunto all'orlo del sepolcro omai,
della mal spesa vita ravvedersi;
Tal, credo, è l'uomo, o tale almen son io:
Benché il core in ricchezze o in vili onori
non ponga, e Gloria e Amore a me sien Dio.
L'un mi fa di me stesso viver fuori:
dell' altra in me ritrammi il bel desio:
Nulla ho d'ambi finor che i lor furori.


(Vittorio Alfieri, "Rime"- dalla parte prima)


 Il sonetto presenta tre elementi autobiografici: l'irrequietezza, l'Amore inappagabile e un desiderio frustrato di gloria. Anche Alfieri desiderava raggiungere la gloria letteraria e soffriva per non essere compreso dai suoi contemporanei. Il primo verso presenta quattro verbi che esprimono azioni e sentimenti completamente diversi l'uno dall'altro. Infatti, la struttura del sonetto è organizzata secondo uno schema di contrapposizioni. 
 Alfieri qui vuole evidenziare la contraddittorietà dell'uomo, che vive in uno stato di perpetua inquietudine "sempre bramar, non appagarsi mai"/ "spesso da più, talor da men tenersi" (stimarsi spesso un uomo dalle virtù superiori, talvolta credersi mediocre), che vuole tutto e contemporaneamente anche il suo contrario.
Nella prima terzina il poeta sembra cercare un riscatto per la propria dignità, affermando di adorare soltanto gli ideali della gloria e dell'amore, ma, nonostante questa orgogliosa dichiarazione, negli ultimi due versi egli sostiene di essere in preda ad un'esistenza fatta di furore, di angoscia, di tormento.

Dunque, il tormento di Petrarca deriva da una furente passione per Laura, il conflitto interiore di Alfieri scaturisce non soltanto dalle delusioni inerenti all'ambito della sua carriera letteraria ma anche dalla convinzione che la vita (perlomeno la sua) sia inquietudine e che l'animo umano presenti molti aspetti incongrui e contraddittori.


2 dicembre 2014

"Mai senza mia figlia": la tenacia di una donna che riesce a fuggire da uno stato oppressivo e da un marito violento


"Mai senza mia figlia" è un film che racconta la storia di Betty, una giovane americana moglie di Moody, un medico di origini iraniane che vive negli Stati Uniti da diversi anni. La loro figlia Mathob, una tenera bambina di cinque anni, cresce felice e serena con loro.

Un giorno però, la sorella di Moody esige, con una telefonata, di conoscere Betty e Mathob e invita la famiglia in Iran per due settimane. Betty, molto spaventata dal clima di rivoluzione che vige in Iran con la salita al potere di Khomeini e dalla forte ostilità nei confronti degli americani, manifesta le sue perplessità al marito e gli confida i suoi timori relativi anche alle tradizioni iraniane, che lei considera arretrate. Per rassicurarla, Moody giura sul Corano di proteggerla dai pericoli.

La famiglia viene accolta calorosamente dai numerosi parenti di Moody.
Tuttavia, la preoccupazione di Betty si accentua, non soltanto per il fatto che riesce con molta difficoltà a comunicare con la famiglia, ma anche perché la obbligano a portare il chador (velo indossato dalle donne iraniane) sebbene sia un'americana e la costringono a passare accanto ad un agnello ucciso in segno di buon auspicio. La donna si accorge molto presto che la famiglia di origine del marito è fervidamente musulmana, caratterizzata da una mentalità molto rigida e piena di astio verso le ideologie americane.
Giorno dopo giorno infatti, Moody viene sempre più coinvolto nel seguire il loro stile di vita e così riacquisisce vecchie abitudini. Per di più, inizia a cambiare atteggiamento verso Betty: da marito dolce e premuroso diviene un coniuge duro, autoritario, irascibile; al punto tale da imporre alla moglie e alla figlia la sua decisione di rimanere in Iran per sempre.
Betty cerca di ribellarsi e di uscire da sola di casa per poter contattare qualcuno che l'aiuti a fuggire dall'Iran con la figlia, ma quando i cognati la scoprono aprire la porta di ingresso o alzare la cornetta del telefono, riferiscono tutto a Moody, suscitando litigi violenti tra i due.
...Nel corso del film, non mancano le occasioni in cui Moody picchia la moglie di fronte alla figlia...
 La protagonista subisce violenze, angherie, umiliazioni, minacce di morte da parte del marito; ogni sua mossa viene continuamente controllata dalle cognate. Tutti esigono che lei si adatti alla vita di moglie sottomessa al volere del marito.
Moody inoltre iscrive la figlia ad una scuola islamica, ovviamente senza consultare la moglie. Ma la bambina frequenta la scuola malvolentieri, reagisce con urla e crisi di pianto, motivi per cui Moody diviene violento anche con lei.
Inoltre, più di una volta egli sottrae a Betty la figlia, impedendole di vederla per alcuni periodi.


Betty e Mathob continuano a condurre questa vita oppressiva per molti mesi, fino al giorno in cui la giovane americana riceve una telefonata da parte della madre, rimasta sola negli Stati Uniti, con un marito malato di tumore.
Betty informa il marito delle pessime condizioni di salute in cui versa suo padre. Egli allora le chiede di partire per gli Stati Uniti, ma la obbliga a lasciare Mathob in Iran e a liquidare tutti i loro beni in America. Naturalmente, Betty non vuole lasciare sua figlia nelle mani di un uomo manesco anche perché teme di non rivederla più.

Pochi giorni prima della partenza, Betty riesce a contattare una donna iraniana che le indica i modi più convenienti per poter raggiungere l'Ambasciata Americana. Con lei infatti progetta un piano per fuggire di nascosto con la figlia.
Aiutate anche da alcuni uomini, Betty e la figlia partono dall'Iran e iniziano un viaggio molto lungo, travagliato, contrassegnato dalla costante paura di venire scoperte: percorrono stretti sentieri di montagna a cavallo, attraversano una grande pianura del Kurdistan sotto una tempesta di sabbia, riescono ad evitare i controlli militari alle frontiere...
...fino al punto in cui giungono in Turchia, ad Ankara, dove scorgono la bandiera degli Stati Uniti.

Questo film racconta una storia vera, accaduta a metà degli anni Ottanta.

Betty e Mathob sono ritornate a casa sane e salve e ora vivono negli Stati Uniti.
Betty ha scritto un libro intitolato proprio come il film "Mai senza mia figlia" ed è divenuta presidente dell'associazione "One World For Children", un'organizzazione che si impegna ad offrire sicurezza e protezione ai bambini nati da genitori di nazionalità differente.

Il film mette in evidenza la grande tenacia di una donna che si è rifiutata di condurre una vita da moglie-schiava ed è riuscita a mettere in atto i suoi progetti di fuga, pur correndo il rischio di venire giustiziata, se scoperta.
E' una storia che, dopo innumerevoli travagli, finisce bene. E' un dramma che permette allo spettatore di riflettere sulle notevoli differenze che intercorrono tra due culture profondamente diverse: quella occidentale e quella islamica.
Inoltre, bisogna anche mettere in evidenza che la società iraniana di quel tempo, con le sue rigide norme e le sue profonde disuguaglianze, esercita una forte influenza verso Moody, il quale sembra cambiare personalità nel giro di pochissime settimane.

Concludo la riflessione sul film aggiungendo un altro mio pensiero, triste ma realistico.

"Certamente, in molti paesi del mondo  viene calpestata la dignità delle donne, considerate e trattate come "esseri inferiori". In particolare, in alcuni paesi,esse sono oppresse dalla mentalità perversa dei fondamentalisti. Conviene non dimenticare però che, anche nei paesi occidentali, 
la figura della donna non è sempre rispettata, dal momento che sia gli spot pubblicitari, sia 
certi demenziali show televisivi, la presentano soltanto come "una stimolatrice di desideri sessuali maschili".
Intendo affermare che spesso i mezzi di comunicazione (la televisione per prima) non valorizzano le risorse morali e intellettuali femminili... Non penso di essere una "moralista bacchettona"; sono soltanto una ragazza infastidita e arrabbiata con una società che valorizza troppo "l'immagine", che dunque è fatta di molta apparenza e di poca sostanza. Le ragazze, le donne (e anche i ragazzi e gli uomini, perché negli ultimi anni la televisione sfrutta in modo grossolano anche la loro fisicità) non dovrebbero essere considerati "oggetti", non dovrebbero essere amati soltanto per le loro forme fisiche... in effetti l'essere umano è anche dotato di cuore e cervello, dunque, di talenti e di qualità interiori che dovrebbero emergere. 
Sinceramente, quanto vorrei che sui canali televisivi comparissero programmi atti a stimolare i talenti artistici, letterari e scientifici dei ragazzi e delle ragazze italiane!
 Anziché proporre troppo spesso manifesti pubblicitari e programmi dissacranti nei confronti della corporeità, la televisione dovrebbe organizzare, (molto più frequentemente) interviste ai giovani che dimostrano notevoli talenti intellettuali..."
(Lo so, quello che ho scritto in questo paragrafo era parzialmente pertinente con la recensione del film; ma ho comunque colto una discreta occasione per aggiungere un'opinione che coltivo da molto tempo).