Esultate e gioite con me! Perché, dopo molte ricerche online, sono riuscita a trovare un'intervista che è stata fatta poche settimane fa a quest'uomo meraviglioso! Yoram Fridman, la tenacia fatta persona.
Per chi non lo conoscesse: su questo blog, in data 12 ottobre 2015, ho svolto una recensione sul film "Corri, ragazzo, corri!" (http://riflessionianna.blogspot.it/2015/10/corri-ragazzo-corri-pepe-danquart.html), opera cinematografica che racconta la dolorosa, travagliata e angosciante infanzia di un ragazzino ebreo che deve sopravvivere alla guerra e che si trova costretto a cambiare identità per non farsi scoprire dai nazisti. Il nome del ragazzino-attore è Srulik, ma è Yoram che ha realmente vissuto tutte quelle numerose e terribili peripezie.
Dunque, è dalla metà di dicembre che pensavo di pubblicare qui, in occasione del 27 gennaio 2016, un'intervista a Yoram. Ero proprio determinata a farlo! E insomma, la mia indole testarda e determinata mi ha portata pochi giorni fa su un sito gestito da alcuni docenti universitari attivi a Gerusalemme e dediti non soltanto all'insegnamento e alla ricerca ma anche a mantenere viva la memoria dell'Olocausto. Proprio qui, tra le pubblicazioni più recenti, sono incappata in un video in cui un giornalista poneva delle domande al signor Fridman. Yoram è di madrelingua ebraica, ha dimenticato il polacco e non parla inglese. Anche se, per mia somma gioia, i sottotitoli erano in inglese. Non ho fatto altro che tradurli per poterveli proporre per iscritto in questo post!
Naturalmente riporto le parti più significative del dialogo tra il giornalista e il matematico ebreo. Tra un discorso e l'altro, inserisco alcuni miei commenti e impressioni evidenziati in blu.
INTERVISTA DEL 12 GENNAIO 2016:
1) Signor Fridman, quando ha iniziato a raccontare la sua storia?
Alla fine della guerra del Kippur e alcuni anni prima di divenire docente universitario. Nel 1974 insegnavo matematica e fisica in un liceo molto grande, di circa 1300 studenti. In quell'anno, durante un'assemblea di istituto, venne in questo liceo un ex-soldato con le protesi alle gambe, per raccontare ai ragazzi la sua storia. Io ero seduto in un angolo e vidi al mio fianco un collega che non era interessato ad ascoltare. Allora alla fine di quella mattinata di scuola mi venne un'idea: andai dal Preside della scuola e gli dissi che l'anno successivo io avrei raccontato la mia storia ai ragazzi.
E così ho iniziato. Pian piano. -e a questo punto, con l'unica mano che ha gesticola, quasi come se volesse appiattire e placare una tempesta che è da tempo dimora nel suo cuore, colmo di ricordi tragici. Quasi come se volesse bilanciare due forti emozioni: il dolore verso il passato e il desiderio di raccontare per tramandare. -
2) Ha mai avuto l'occasione di recarsi in Polonia molti anni dopo la fine della guerra?
Sì. Ci andai con mia figlia più di vent'anni fa. A Varsavia incontrai un mio amico di infanzia, che mi disse:"Ci conosciamo da sempre, ma non sappiamo l'uno dell'altro. Scriviamo un libro sulle nostre storie". Io gli risposi: "Scrivo solo in ebraico". Ma mi assicurò che avrebbe pensato lui stesso alla stesura. Questo mio amico pubblicò un libro intitolato :"I bambini della Shoah", che raccontava le storie di 150 bambini sopravvissuti. Tra queste storie c'era anche la mia. Il libro arrivò qui in Israele. E un giorno, un dirigente scolastico mi invitò nella sua scuola perché voleva conoscermi. Io non avevo molta voglia di essere intervistato. Ma sa... -e qui sorride con fare un po' ironico e un po' bonario- dietro il successo di un uomo c'è sempre una donna! Mia moglie. Mia moglie Sonja mi disse: "Quando sarai morto qualcosa resterà". E allora ho pensato ai miei figli e ai miei sei nipoti. -sorseggia tranquillamente il suo caffè, per poi riprendere il discorso- Hanno tradotto il libro del mio amico in 17 lingue. E poi, con questo film di Danquart sono praticamente diventato un uomo di fama mondiale- e a questo punto sorride con umiltà, arrossendo un po' e sistemandosi il colletto della camicia- Lo scorso anno c'è stata una proiezione del film addirittura in Thailandia. Non avrei mai pensato.
3) Prima di cominciare a raccontare la sua storia, Lei pensava che fosse così d'impatto che tutti avrebbero voluto sentirla e parlarne?
No, no, no. Assolutamente no. -qui sorge sulle sue labbra una smorfia di dolore- Almeno non all'inizio. Dopo che iniziai a parlare capii. Quando incontro i giovani studenti, loro restano senza parole alla fine del mio racconto. Vado nelle scuole a parlare del mio passato e vedo dei ragazzi che piangono mentre racconto. Ricevo molte lettere di ringraziamento dai Presidi delle scuole. -e qui, anche lui con gli occhi lucidi, si accarezza la spalla e il moncone e sospira profondamente. Poi, con una voce un po' tremula che tradisce la sua emozione, dice anche- penso che per noi ebrei sopravvissuti sia molto importante parlare delle nostre storie, perché tra alcuni anni non ci saremo più. Siamo rimasti in pochi, io quest'estate compio 84 anni. Non mi rimane moltissimo tempo da vivere. Naturalmente possiamo leggere libri, consultare archivi storici ma io ritengo che chi ha memoria, chi ha realmente vissuto l'inferno, deve condividere i ricordi. Deve esprimersi. -socchiude gli occhi per qualche istante e sorseggia di nuovo il suo caffè.- La capacità di coinvolgere le altre persone quando racconto, mi viene dall'anima.
4) Se la sente di parlarmi di come era il regime di vita dei bambini nel ghetto?
Sono stato quasi due anni nel ghetto. Eravamo molto poveri, non c'era niente da mangiare. C'erano molti furti per strada. C'erano molte malattie, colera, tifo. Facevamo di tutto per sopravvivere: rovistavamo nella spazzatura, rubavamo dai negozi... i bambini erano bande dedite al furto. E' così che persi mia madre: andammo un giorno a cercare da mangiare, entrai in un bidone e quando uscii non la trovai più. Non l'ho più vista.
Ho più di ottant'anni, ma ho una grande nostalgia di lei e una gran voglia di abbracciarla e di baciarla. -solleva lo sguardo un po' in alto, come per cercare comprensione da parte di Dio-
Sa cos'era una minestra all'epoca? Acqua calda con una patata e un pezzo di pane dentro!
5) Pensa che la sua storia sia un esempio per quella degli altri?
Ogni buon film basato su una storia vera, se è un buon film, lascia il segno. Sa anche Lei che cosa è accaduto nella ex-Jugoslavia nel '95. La storia si ripete se si perde la memoria.
Il film è davvero ben riuscito, soprattutto è stato reso bene un aspetto molto realistico: infatti pur dovendo prendere delle decisioni da adulto istantaneamente, sono rimasto un bambino che cercava altri bambini per giocare. Vede, io avevo un motto: "Vivere". Vivere. Ho fatto di tutto per rimanere vivo. Se mia moglie fosse qui potrebbe spiegarglielo meglio di me, perché è una psicoterapeuta in pensione. Lei mi ha detto che c'è qualcosa di molto primitivo nei bambini. Sono mossi dall'istinto di sopravvivenza. Io volevo solo sopravvivere e questo avevo promesso a me stesso e a mio padre. Mi ricordo che non mi preoccupavo se l'acqua era fredda e profonda, semplicemente entravo.
Non sono andato a vedere la proiezione a Berlino, perché lo scorso inverno non sono stato bene.
Però sono andato con mia moglie a vedere quella trasmessa in Polonia. C'erano molti giornalisti che volevano intervistarmi. I giornalisti, che categoria particolare! Si avvicinano dicendo: "Signor Fridman, permette una piccola domanda?" Poi in realtà dura almeno mezz'ora! -e l'intervista si interrompe qui, con la risatina bonaria di Yoram.-
Devo dirvi la verità, il film sulla sua storia è stato come una pugnalata nello stomaco; ma quest'intervista... molto di più. La prima volta che l'ho ascoltata mi veniva proprio da piangere. Vedere un anziano che, nel ricordare, continua ad accarezzarsi la spalla e il moncone come se volesse dire anche: "La guerra e l'antisemitismo mi hanno tolto una parte di me" è davvero struggente.
Però Yoram è da ammirare. Bisognerebbe inchinarsi di fronte a una persona che, dopo aver vissuto vicende del genere, non è caduta in depressione e ha trovato la forza per andare avanti.
Questo è tremendamente straordinario!
Se Yoram conoscesse l'italiano e gli capitasse di incontrarmi, probabilmente mi direbbe: "Esagerata! Non sono un uomo straordinario; é da una vita che cerco di farmi forza".
Ma per diventare così forte, chissà quanti fiumi di lacrime avrà versato nel corso dei suoi quasi 84 anni...