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20 ottobre 2018

La conversione dell'Innominato (II):


Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo. 
Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. 
Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti 
e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.
(Ezechiele 36, 26-27)


Alcuni giorni fa ero arrivata alla fine del ventesimo capitolo. 
Ora riassumo la prima parte del ventunesimo, oggetto della trattazione di questo post.
La vecchia, obbedendo all'Innominato, conduce una Lucia impaurita e atterrita all'interno del castello, nella propria stanza. 
Poco dopo, il Nibbio si confida con l'Innominato a proposito dell'esito della spedizione. 
Stranamente parla di compassione, cosa che stupisce il suo padrone.

"(...) è una storia la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo".
 (dal discorso del Nibbio, capitolo 21)

L'Innominato, profondamente scosso da questo discorso, va a visitare Lucia, dopo aver ordinato il riposo al Nibbio. 

"Voglio vederla.... Eh! no.... Sì, voglio vederla."
E d’una stanza in un’altra, trovò una scaletta, e su a tastone, andò alla camera della vecchia, e picchiò all’uscio con un calcio.
“ Chi è? ”
“ Apri. ”
A quella voce, la vecchia fece tre salti; e subito si sentì scorrere il paletto negli anelli, e l’uscio si spalancò. L’Innominato, dalla soglia, diede un’occhiata in giro; e, al lume d’una lucerna che ardeva sur un tavolino, vide Lucia rannicchiata in terra, nel canto il più lontano dall’uscio.
“ Chi t’ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci, sciagurata? ” disse alla vecchia, con un cipiglio iracondo.
“ S’è messa dove le è piaciuto, ” rispose umilmente colei: “ io ho fatto di tutto per farle coraggio: lo può dire anche lei; ma non c’è stato verso. ”
“ Alzatevi, ” disse l’Innominato a Lucia, andandole vicino. Ma Lucia, a cui il picchiare, l’aprire, il comparir di quell’uomo, le sue parole, avevan messo un nuovo spavento nell’animo spaventato, stava più che mai raggomitolata nel cantuccio, col viso nascosto tra le mani, e non movendosi, se non che tremava tutta.
“ Alzatevi, chè non voglio farvi del male.... e posso farvi del bene, ” ripeté il signore.... “ Alzatevi! ” tonò poi quella voce, sdegnata d’aver due volte comandato invano. 
(Promessi Sposi, capitolo 21)

E' vero, l'Innominato picchia la porta della stanza con un calcio, e questo dimostra tutta la sua selvatichezza, ma un pochino traspare, in quel cipiglio iracondo, uno sprazzo di rispetto e di pietà per la vittima Lucia. 
Egli infatti si arrabbia con la vecchia: Chi t’ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci, sciagurata?
Sacco di cenci. Oggetto che compare in similitudine. 
Nel capitolo secondo, Don Abbondio è bianco e floscio come un cencio che esce dal bucato, quando Renzo gli chiede: Chi è quel prepotente che non vuole che io sposi Lucia?
Anche qui, il cencio compare in similitudine, quindi non è un oggetto realmente presente nella narrazione.
In questo passo vi farei notare soltanto un altro aspetto: i tre imperativi alzatevi
Il primo, pronunciato dal signore nel momento in cui si avvicina a Lucia, ha un qualcosa di imbarazzato. E' l'imbarazzo che pervade solitamente un animo che da troppo tempo non prova più tenerezza né compassione e che probabilmente non ha ricordi di averle mai sentite in vita propria.
Il secondo alzatevi è accompagnato da un'intenzione non voglio farvi del male e anche da una promessa: e posso farvi del bene.
Il terzo alzatevi, pronunciato a voce decisamente più alta, è come un tuono che risuona in una notte buia, nuvolosa e senza vento. E' un alzatevi pronunciato da una persona che si sta pian piano avviando verso il bene e che si adira quando vede che gli altri non gli riconoscono questo sforzo.
 
Come rinvigorita dallo spavento, l’infelicissima si rizzò subito in ginocchioni; e giungendo le mani, come avrebbe fatto davanti a un’immagine, alzò gli occhi in viso all’innominato, e riabbassandoli subito, disse: “ son qui: m’ammazzi. ”
“ V’ho detto che non voglio farvi del male, ” rispose, con voce mitigata, l’innominato, fissando quel viso turbato dall’accoramento e dal terrore.
“ Coraggio, coraggio, ” diceva la vecchia: “ se ve lo dice lui, che non vuol farvi del male.... ”
“ E perché, ” riprese Lucia con una voce, in cui, col tremito della paura, si sentiva una certa sicurezza dell’indegnazione disperata, “ perché mi fa patire le pene dell’inferno? Cosa le ho fatto io?.... ”
“ V’hanno forse maltrattata? Parlate. ”
“ Oh maltrattata! M’hanno presa a tradimento, per forza! perché?
perché m’hanno presa? perché son qui? dove sono? Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In nome di Dio.... ”
“ Dio, Dio, ” interruppe l’innominato: “ sempre Dio: coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi....? ” e lasciò la frase a mezzo.
“ Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! Mi lasci andare; per carità mi lasci andare! Non torna conto a uno che un giorno deve morire di far patir tanto una povera creatura. Oh! lei che può comandare, dica che mi lascino andare! M’hanno portata qui per forza. Mi mandi con questa donna a ***, dov’è mia madre. Oh Vergine santissima! mia madre! mia madre, per carità, mia madre! Forse non è lontana di qui.... ho veduto i miei monti! Perché lei mi fa patire? Mi faccia condurre in una chiesa. Pregherò per lei, tutta la mia vita. Cosa le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si move a compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! ”
(Promessi Sposi, capitolo 21)

Lucia appare del tutto disarmata: son qui: m’ammazzi, dice al suo tiranno. 
L'Innominato ripete la sua intenzione: v’ho detto che non voglio farvi del male. 
Alessandro però scrive una precisazione: con voce mitigata. Vale a dire che, a partire da questo preciso istante, i ruoli, almeno dal punto di vista psicologico-morale, si invertono: l'Innominato diviene più debole, più fragile, sempre più sconcertato dinanzi alle parole della sua vittima, umile, semplice, piangente eppure dotata di una gran forza interiore, proveniente da una salda fede in Dio.
Quel mi fa patire le pene dell’inferno è passato nel nostro linguaggio quotidiano senza un particolare riflesso religioso. Ma, in quell'attimo, le pene dell'inferno si trovano nell'animo dell'Innominato, che urla, non tanto a Lucia, quanto piuttosto a se stesso: Dio, Dio, sempre Dio: coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato.
Per di più, egli lascia l'ultima frase a metà, per non pronunciare il termine compassione
L'ho già scritto altre volte: compassione deriva da "cum"+ "patior": soffrire con, sentire con l'altro.
E' sostanzialmente un sentimento di partecipazione ai dolori e alle angoscie altrui.

 “ Non iscacci una buona ispirazione! ” proseguiva fervidamente Lucia, rianimata dal vedere una cert’aria d’esitazione nel viso e nel contegno del suo tiranno. “ Se lei non mi fa questa carità, me la farà il Signore: mi farà morire, e per me sarà finita; ma lei!.... Forse un giorno anche lei.... Ma no, no; pregherò sempre io il Signore che la preservi da ogni male. Cosa le costa dire una parola? Se provasse lei a patir queste pene....! ”
(Promessi Sposi, capitolo 21)

Vedete che Lucia parla di buona ispirazione? Ha intuito un certo intenerimento nel suo interlocutore.

Vado avanti di alcune pagine, perché quello che interessa è anche e soprattutto il travaglio interiore dell'Innominato.
Successivamente, l'Innominato lascia la stanza. 
Lucia, con grande semplicismo religioso, prima di addormentarsi sfinita, recita il rosario e promette alla Madonna la castità permanente. Ma il suo sbaglio è quello di offrire a Maria la volontà di un altro, al quale era già stata promessa, come dirà poi Fra Cristoforo al capitolo 36.
L'Innominato trascorre una notte insonne, in preda a miriadi stati d'animo.
E' l'unico individuo sveglio all'interno del castello.

— Che sciocca curiosità da donnicciola, — pensava, — m’è venuta di vederla? Ha ragione quel bestione del Nibbio; uno non è più uomo; è vero, non è più uomo!... Io?... io non son più uomo, io? Cos’è stato? che diavolo m’è venuto addosso? che c’è di nuovo? Non lo sapevo io prima d’ora, che le donne strillano? Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si possono rivoltare. Che diavolo! non ho mai sentito belar donne?
E qui, senza che s’affaticasse molto a rintracciare nella memoria, la memoria da sé gli rappresentò più d’un caso in cui né preghi né lamenti non l’avevano punto smosso dal compire le sue risoluzioni. Ma la rimembranza di tali imprese, non che gli ridonasse la fermezza, che già gli mancava, di compir questa; non che spegnesse nell’animo quella molesta pietà; vi destava invece una specie di terrore, una non so qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un sollievo il tornare a quella prima immagine di Lucia, contro la quale aveva cercato di rinfrancare il suo coraggio. — È viva costei, — pensava, — è qui; sono a tempo; le posso dire: andate, rallegratevi; posso veder quel viso cambiarsi, le posso anche dire: perdonatemi.... Perdonatemi? io domandar perdono? a una donna? io...! Ah, eppure! se una parola, una parola tale mi potesse far bene, levarmi d’addosso un po’ di questa diavoleria, la direi; eh! sento che la direi. A che cosa son ridotto! Non son più uomo, non son più uomo!... Via! — disse, poi, rivoltandosi arrabbiatamente nel letto divenuto duro duro, sotto le coperte divenute pesanti pesanti: — via! sono sciocchezze che mi son passate per la testa altre volte. Passerà anche questa. —
(Promessi Sposi, capitolo 21)

Inizialmente, l'Innominato rimprovera se stesso e anche gli altri: la sua è stata una pura curiosità da donnette, il Nibbio è un bestione, uomini e donne strillano, le donne belano... a leggere i suoi pensieri sembrano pecore.
Sapete che le pecore sono animali che nelle favole, almeno in quelle che leggevo io, vengono spesso sopraffatte e sacrificate. 
L'Innominato brontola tra sé e sé, brontola a causa di un fortissimo sgomento interiore, causato anche dal disagio di aver intuito il proprio animo che va ammorbidendosi.
Già pensa di chiedere perdono a Lucia, già pensa di liberarla... ma prima di fare tutto ciò che egli effettivamente farà al 24° capitolo, è assolutamente necessario e prioritario svolgere un doloroso esame di coscienza, è assolutamente necessario e prioritario quindi mettere in discussione ogni cattiva azione compiuta.

Scrive Luigi Russo a questo proposito: Qui Manzoni non descrive soltanto la crisi di uno scellerato che si converte al bene, ma la crisi di un uomo in universale, quando egli si distacca dal suo passato, da una passione che riempiva tutta la sua vita, mentre ora tutti i miti di una volta si disabbelliscono, si scolorano, impallidiscono, diventano gelo e morte.
 
Il tempo gli s’affacciò davanti voto d’ogni intento, d’ogni occupazione, d’ogni volere, pieno soltanto di memorie intollerabili; tutte l’ore somiglianti a quella che gli passava così lenta, così pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti i suoi malandrini, e non trovava da comandare a nessuno di loro una cosa che gl’importasse; anzi l’idea di rivederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un’idea di schifo e d’impiccio. E se volle trovare un’occupazione per l’indomani, un’opera fattibile, dovette pensare che all’indomani poteva lasciare in libertà quella poverina.
— La libererò, sì; appena spunta il giorno, correrò da lei, e le dirò: andate, andate. La farò accompagnare... E la promessa? e l’impegno? e don Rodrigo?... Chi è don Rodrigo? — 
(Promessi Sposi, capitolo 21)

Eh bravo: ma chi è Don Rodrigo? Il pascià delle Indie orientali per caso?! 
Per l'Innominato, ormai convertito al bene, il signorotto che esercita la propria prepotenza a Pescarenico è sempre più un elemento di fastidio.
Al di là delle mie scherzose allusioni all'Oriente: Alessandro, quando fa menzione della dimora di Don Rodrigo, dice spesso palazzotto. E' l'accrescitivo di palazzo.  
Don Rodrigo è un irresponsabile, un capriccioso, un viziato, un immaturo, un egoista, un delegante.
E' un nobile ma è decisamente un uomo mediocre, di poca intelligenza.
Poi è vero che fa anche pena quando si pensa al modo in cui è morto: appestato e solo, abbandonato da tutti.
Ma ricordatevi che senza il suo stuolo di bravi obbedienti e fedeli ai quali viene delegato e affidato ogni compito, senza le insistenze e le provocazioni del Conte Attilio, Don Rodrigo non sarebbe nessuno. Il palazzotto è l'abitazione di un tiranno certamente prepotente, ma debole... un debole che si impressiona alla minaccia di un frate: verrà un giorno.

A guisa di chi è colto da una interrogazione inaspettata e imbarazzante d’un superiore, l’Innominato pensò subito a rispondere a questa che s’era fatta lui stesso, o piuttosto quel nuovo lui, che cresciuto terribilmente a un tratto, sorgeva come a giudicare l’antico.
(Promessi Sposi, capitolo 21)

Capite adesso il motivo per cui ho inserito, come introduzione al post, la citazione di Ezechiele? 
L'ho tratta dal mio breviario, da un cantico che conosco bene a memoria.
Nella mente del personaggio corrono, come masse di nubi vaporose e scure, i ricordi di ogni omicidio, di ogni scelleratezza.
Coscienza e memoria si risvegliano entrambe nello spirito dell'Innominato, che per un istante non sopporta quei ricordi che in passato erano motivo di gloria e di vanto, ma che ora sono come una terribile vergogna, una macchia nera.

Indietro, indietro, d’anno in anno, d’impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva all’animo consapevole e nuovo, separata da’ sentimenti che l’avevan fatta volere e commettere; ricompariva con una mostruosità che que’ sentimenti non avevano allora lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui: l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quell’immagini, attaccato a tutte, crebbe fino alla disperazione. S’alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la staccò, e... al momento di finire una vita divenuta insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore, da un’inquietudine, per dir così, superstite, si slanciò nel tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo la sua fine. S’immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformato, immobile, in balìa del più vile sopravvissuto; la sorpresa, la confusione nel castello, il giorno dopo: ogni cosa sottosopra; lui, senza forza, senza voce, buttato chi sa dove. Immaginava i discorsi che se ne sarebber fatti lì, d’intorno, lontano; la gioia de’ suoi nemici. Anche le tenebre, anche il silenzio, gli facevan veder nella morte qualcosa di più tristo, di spaventevole; gli pareva che non avrebbe esitato, se fosse stato di giorno, all’aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiume e sparire.
(Promessi Sposi, capitolo 21)

... Subito però riaffiora il desiderio dell'Eterno... 
Eccolo qui:

... gli balenò in mente un altro pensiero. — Se quell’altra vita di cui m’hanno parlato quand’ero ragazzo, di cui parlano sempre, come se fosse cosa sicura; se quella vita non c’è; se è un’invenzione de’ preti; che fo io? perché morire? cos’importa quello che ho fatto? cos’importa? è una pazzia la mia... E se c’è quest’altra vita...! — A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione più nera, più grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader l’arme, e stava con le mani ne’ capelli, battendo i denti, tremando. Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: — Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! — E non gli tornavan già con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza.
(Promessi Sposi, capitolo 21)

 ...e se ci fosse davvero l'altra vita, cioè la vita eterna? 
E' proprio questo che gli fa cadere la pistola dalle mani.
Vi rivolgo due domande significative: che cos'è la misericordia?! 
Può essere sinonimo di compassione?
Non sono sicura di averla nemmeno io, questa risposta. So l'etimologia però: da miserere + cor, cordis.
E tengo presente bene anche la formula, riferita al sacrificio di Cristo: Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

...Termino il resoconto e l'analisi di questo suggestivo capitolo dicendo che ormai è giunta l'alba...
L'Innominato si affaccia ad una delle finestre del castello. Vede molta gente che passa e che si avvia tutta quanta nella stessa direzione, tutti vestiti a festa.
Il signore si chiede che cosa stia succedendo: Che diavolo hanno costoro? che c’è d’allegro in questo maledetto paese? dove va tutta quella canaglia?

L'Innominato è pervaso da rimorso, pentimento, disgusto di sé... non sta affatto bene interiormente. Il suo animo non è predisposto alla festa e alla gioia. Ma questo è il suo ultimo discorso brusco all'interno del romanzo.
E intanto continua a osservare le persone che camminano, e si incuriosisce. 
Desidera soltanto sapere che cosa le spinge ad andare con tanto entusiasmo tutti quanti dalla stessa parte.
Un bravo gli riferisce che gli abitanti dei paesi vicini al castello accorrevano tutti quanti dal cardinale Federigo Borromeo. 




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