Visualizzazioni totali

28 settembre 2016

Tagore e la letteratura italiana:


Ritorna Tagore!
Con altri due componimenti che io trovo davvero stupendi.
Ho svolto l'analisi di questi canti e sono riuscita a trovare dei significativi parallelismi con alcuni poeti italiani. Eccoli qui:


 TAGORE, CANTO 10:

Oh, rendi nitida la mia anima nella cascata della luce mattutina,
detergi la polvere che mi copre e mi nasconde,
impigliata nella rete del sonno.
Tocca dolcemente con la verga d'oro la fronte della prima aurora.
Il vento soffia dal cuore dell'Universo,
il pazzo vento della vita, carico di canto.
Fa' che il mio cuore risuoni al suo tocco delicato.


E' una sorta di preghiera che nasce dal cuore del poeta nel momento in cui egli contempla la natura illuminata dal sole appena sorto.
A mio avviso, nella prima parte del canto, è possibile pensare a una contrapposizione semantica tra due concetti completamente diversi: mentre infatti la "luce mattutina" e "il vento della vita" starebbero ad indicare la voglia di vivere intensamente ogni giorno, la "polvere" e il "sonno" costituirebbero invece elementi di passività e forse anche di apatia. 
L'ho scritto più volte nei post precedenti: ritengo che gli esseri umani non possano mai provare un completo e duraturo stato di felicità e di pace interiore. Tra l'altro, sono propensa a credere anche che nessun uomo nel corso di un'intera giornata riesca a provare soltanto sensazioni positive.
I sentimenti attraversano la nostra mente, come le nuvole attraversano il cielo. 
I diversi stati d'animo sono causati dalle situazioni che la vita ci mette davanti, giorno dopo giorno.
Quando ricordo i giorni più felici della mia vita mi tornano alla mente anche le emozioni meno piacevoli che in quei giorni ho provato. 
Penso per esempio al giorno della mia Cresima (febbraio 2009): ero molto contenta, molto eccitata, impaziente di entrare in chiesa. Però allo stesso tempo ero agitata e nervosa, principalmente per due motivi: dovevo leggere le preghiere dei fedeli davanti a una folla di persone e poi... e poi volevo che la festa con i miei parenti fosse perfetta e impeccabile.
Anche il giorno del mio orale di maturità: ero tesa prima che mi interrogassero. Quando ero uscita, ho provato un sincero sollievo. Ero riuscita a concludere un lungo quinquennio che mi aveva fatta crescere, in tutti i sensi: fisico, culturale e psicologico. Però provavo anche una leggera apprensione verso l'ambiente universitario.
Tutti questi ragionamenti per affermare che l'animo del saggio e profondo Tagore è stato attraversato anche da stati d'animo negativi.
Tagore si rivolge alla Somma Divinità creatrice e custode dell'Universo per chiederle di alleviare il sonno e la pigrizia. Probabilmente è la polvere l'elemento che potrebbe far pensare all'apatia dovuta anche ad un senso di sfiducia nella vita. 
Ogni volta che da ragazzina ero giù di corda pensavo: "Ho la nebbia negli occhi".
Nebbia. Nebbia e polvere. In ogni caso, due elementi che non consentono una visione nitida della realtà.
Ed è vero. Nei periodi e nei momenti in cui si è molto tristi e avviliti non si riesce a scorgere con occhi limpidi ciò che ci circonda. Questo lo si comprende solo successivamente, quando si recupera sia la stima nelle proprie capacità sia la voglia di continuare a coltivare degli interessi e dei progetti.
Ad ogni modo, Tagore qui augura a se stesso di venire inondato dal vento della vita.
Quel vento che "soffia dal cuore dell'Universo" e che instilla in lui il desiderio di ricercare l'armonia, una profonda e significativa armonia con il creato. L'Universo è un'entità che emana l'energia vitale.

Avete presente la poesia "Fiumi" di Ungaretti, scritta nel periodo in cui egli stava combattendo la Prima Guerra Mondiale? Vi cito i versi 29-30: "Mi sono riconosciuto/ una docile fibra dell'Universo" e, poco dopo: "Il mio supplizio/è quando/ non mi credo/ in armonia".
In questo caso l'aggettivo docile si riferisce alla precarietà della sua condizione di uomo e di soldato; mentre il sostantivo fibra esprime un sentimento di comunione con l'Immensità che lo rende vivo.
In questo modo sono riuscita a spiegarmi meglio anche le prime parole del primo verso: "rendi nitida la mia anima", ovvero, rendila limpida, gioiosa e solare. L'alba allora potrebbe rappresentare una sorta di purificazione interiore mentre la Natura tutta, rivelando la sua bellezza e la sua varietà alla luce del sole, risveglia il desiderio del poeta di appassionarsi alla vita.



TAGORE, CANTO 13:

"Il giorno è compiuto.
Sottrai ai miei occhi
il velo di luce del sole calante.
Nel cuore delle Tenebre vivono le sorgenti
dell'eterna Luce.
Versale liberamente in me.
Alla fine, fa che tutte le parole
fondano e diventino una.
Dentro il cuore della Voce Silenziosa
gioca l'eterna melodia... 
                                                 Quella melodia sussurra alle mie orecchie."

E' tramonto. Il sole, nell'atto di scomparire dietro l'orizzonte, lascia una scia (un velo) di luce flebile.
L'imperativo "sottrai" è dovuto ad uno stato d'animo di lieve angoscia: nel contemplare il tramonto, Tagore ricorda a se stesso che la morte si sta avvicinando.
D'altra parte, non dimentichiamo che Tagore scrisse molti canti nell'ultima fase della sua vita.
Il buio delle "Tenebre" rimanda ad un concetto fatale e certo: il poeta è consapevole del fatto che, quando chiuderà gli occhi per sempre, non potrà più vedere nè la luce del giorno nè (tantomeno!) gli oggetti illuminati e animati da essa.
Però egli crede anche che nel buio della morte vi siano le sorgenti della luce Eterna, ovvero, della luce Divina. E così anche questo componimento diviene una preghiera rivolta al Creatore: sembra quasi che Tagore lo esorti a infondergli nell'animo la speranza di una vita ultraterrena in cui sarà possibile godere della visione di Dio per l'eternità.
Gli ultimi cinque versi del canto sono incentrati sulle modalità con cui il poeta entra in comunicazione con la Divinità: "l'eterna melodia" altro non è che l'emblema di un dialogo profondo fra Tagore e Dio, un dialogo che non ha bisogno di parole, un dialogo emozionante come può esserlo soltanto una soave melodia.

Dal punto di vista delle tematiche enunciate nella prima parte, questo canto mi ha ricordato la prima strofa de "l'Assiuolo" di Pascoli:

"Dov'era la luna? ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
 veniva una voce dai campi:
chiù...

(...) "

Vi sono immagini molto suggestive: ci immaginiamo infatti il cielo immerso in una biancastra luce lunare che fa presagire l'alba.
Tuttavia, anche qui non mancano certo gli elementi oscuri: i barlumi dei lampi, un ammasso nero di nubi e il verso lugubre dell'uccello che si diffonde nell'aria.
Il verso dell'uccello si ripete alla fine di ogni strofa, fino al punto in cui il poeta conclude: "e c'era quel pianto di morte... / chiù".

Come nel canto di Tagore la luce del sole è flebile perché sta per essere sopraffatta dall'oscurità della notte, così in questa poesia di Pascoli la luce della luna è pallida perché rischia di venire celata dal nero spaventoso delle nubi.
In ogni caso, entrambe le immagini alludono sia alla fragilità dell'esistenza umana sia alla morte che incombe. Tagore ambienta la sua poesia all'imbrunire, mentre Pascoli all'aurora.

La differenza sta nel fatto che Tagore credeva fermamente in un luminoso aldilà, mentre Pascoli, come magari sapete o ricordate, era ateo, malinconico ed estremamente pessimista.


Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.