In questo romanzo, largo spazio è stato dato all'infanzia dell'autore e ai suoi primi approcci (a dire il vero troppo precoci!) con i grandi romanzi della letteratura francese.
* Sì, so che è un post decisamente lungo ma arrivate fino in fondo, ve lo consiglio
Jean-Paul Sartre, conosciuto da molti come il più valido rappresentante dell'esistenzialismo, era nato nel 1905 da Jean-Baptiste Sartre, giovane arruolato nella marina militare e morto prematuramente; e da Anne-Marie Schweitzer, figlia del docente universitario Charles Schweitzer.
In questo libro, la figura del nonno materno, caratterizzata da una personalità molto forte, assume una grande importanza, dal momento che è la prima persona a dare a Jean-Paul un'educazione letteraria.
2. L'ALSAZIA:
Avrete sicuramente notato che il cognome della mamma e del nonno di Sartre non erano propriamente francesi. In effetti, Schweitzer ha origini alsaziane. L'Alsazia è una regione di confine tra Francia e Germania. E' in territorio francese e gli abitanti, anche ora, parlano due lingue: il francese e l'alsaziano, che è un dialetto tedesco (discende dal tedesco alemanno).
In casa Schweitzer entravano amici, conoscenti e colleghi del nonno che si esprimevano più facilmente in alsaziano. L'Alsazia non ha avuto un periodo facile da attraversare né in età moderna né nel XIX° secolo. Durante la guerra dei 30 anni (1618-1648), periodo in cui si era diffuso il Luteranesimo, l'Alsazia era stata soggetta sempre più all'influenza francese. Nel 1648, con la pace di Westfalia, questa regione era stata ceduta alla Francia, ma i sovrani tedeschi mantenevano ancora i loro feudi imperiali (territori soggetti al Sacro Romano Impero, fino alla salita al potere di Robespierre). Ma, nonostante ciò, re Luigi XIV° considerava l'Alsazia accorpata al resto della Francia.
Nel 1792 erano stati aboliti tutti i feudi imperiali. E infine, nel 1870, l'Alsazia, dopo la guerra franco-prussiana, era stata annessa alla Lorena con il Trattato di Francoforte.
Fino alla prima guerra mondiale, questa regione era compresa fra i territori tedeschi ma, con i Trattati di Versailles, era stata restituita alla Francia (la Germania aveva perso il Primo Conflitto mondiale, la Francia lo aveva vinto).
3. L'INFANZIA DI JEAN-PAUL TRA I LIBRI:
Ho cominciato la mia vita come senza dubbio la terminerò: tra i libri.
Questo libro è stato pubblicato nel '64, anno in cui Jean-Paul andava ormai verso i 60 anni. Era un uomo adulto, maturo, colui che scriveva questa frase. Era un uomo che, dopo essere stato un filosofo esistenzialista e un attivista politico, stava rievocando la propria infanzia, alla ricerca di quei ricordi, ormai lontani, nei quali però avevano avuto origine sia l'interesse per i libri che la propensione all'immaginazione.
Se mai vi capiterà di leggere questo romanzo, vi accorgerete che, in un'età (l'età scolare) in cui i bambini hanno un gran bisogno di interagire non soltanto con la famiglia ma anche con dei loro coetanei, Jean-Paul si ritrova privato di questi contatti. Il nonno gli ha fatto cambiare una serie di precettori privati, convinto che questi non insegnassero nulla al nipote oppure che non fossero proprio capaci di trasmettere le materie.
Comunque, lasciatemi dire che questo nonno sbaglia. Sbaglia non soltanto a dare delle colpe agli insegnanti perché il nipotino non ottiene valutazioni e risultati così eccellenti, ma anche a considerare Jean-Paul come un adulto in miniatura. A mio avviso, l'approccio ad autori come Corneille, Flaubert e Hugo all'età di sei anni è troppo precoce. Sartre stesso, ad un certo punto, lo ammette:
Vivevo in modo superiore alla mia età, come si vive in modo superiore ai propri mezzi: con zelo, con fatica, dispendiosamente, per le apparenze. Avevo appena spinto la porta della biblioteca, che mi ritrovavo nel ventre di un vecchio inerte: la grande scrivania, il sottomano, le macchie di inchiostro, rosse e nere, sulla carta assorbente rosa, la riga, il vasetto della colla, il putrido sentore del tabacco e, d'inverno, il rosseggiare della salamandra, tutto questo era Carl in persona, reificato: non ci voleva altro per mettermi in stato di grazia, correvo verso il libri. (...)
Vi sembra il caso di far leggere ad un bambino in età da scuole elementari qualcosa come Madame Bovary? Come se io facessi leggere a dei ragazzi delle medie Il padrone di Parise. Come se io facessi leggere e analizzare, senza nessuna previa indicazione, a dei ragazzi delle superiori i sonetti del Galateo in Bosco di Zanzotto (sono già molto difficili per gli specializzandi, figurarsi per degli adolescenti!)... In entrambi i casi: cosa capirebbero?!
Bisogna affrontare la bellezza dei classici letterari in proporzione all'età. E questo Anne-Marie l'aveva capito. Aveva capito che certe letture impegnative potevano intristire il bambino.
C'è un punto in cui tra madre e nonno scoppia un conflitto, quando Charles scopre che la figlia ha regalato a Jean-Paul un libro di favole di La-Fontaine.
Io ricordo di aver iniziato proprio da fiabe e favole per poi passare, intorno ai 10 anni, a qualche romanzo delle letteratura anglo-americana. Fra la quinta elementare e la terza media ho letto Oliver Twist, Il principe e il povero, David Copperfield, Piccole donne, Il giardino segreto, La piccola Lady Jane e... Le stelle stanno a guardare di James-Archibald Cronin... Questo è stato uno dei romanzi più drammatici e più pessimisti che abbia mai letto. Tutti i tentativi frustrati di David Fenwick per emanciparsi ed uscire dalla condizione di minatori... Martha Fenwick, donna indurita dalle disgrazie della vita, che partorisce una bambina morta...
Sartre era nato ed aveva trascorso i suoi primi anni di vita in un periodo in cui il cinema era proprio agli esordi. Ci sono alcune pagine dedicate a delle mezze giornate in cui, con la madre, si recava al cinema.
Nella narrazione, Sartre ricorda la musica del pianoforte o a volte anche dell'orchestra che accompagnava immagini mute in bianco e nero.
Altro aspetto che emerge frequentemente nel romanzo: al Sartre bambino piaceva piacere. Gli sembrava che il miglior modo per entrare in sintonia con gli adulti fosse quello di trascorrere anche delle intere giornate chiuso nella biblioteca di casa a leggere e a sfogliare le opere degli autori francesi.
Ero un falso bambino, scrive anche. Non del tutto libro di essere se stesso, ritengo io.
4. L'IMMAGINAZIONE DI SARTRE:
Presto, Jean-Paul Sartre scopre la sua propensione per l'immaginazione.
Tutto avvenne nella mia testa; bambino immaginario, mi difesi con l'immaginazione. Quando rivedo la mia vita dai sei ai nove anni, sono stupito dalla continuità dei miei esercizi spirituali. (...) Le mie prime favole non furono altro che la ripetizione dell'Uccellino Azzurro, del Gatto con gli Stivali, dei racconti di Maurice Bouchor. (...) PIù tardi mi arrischiai a ritoccarle, ad attribuirmi una parte. (...) Inventai un universo difficile e mortale. (...) Certo di abitare il migliore dei mondi, mi diedi per ufficio il purgarlo dai suoi mostri; poliziotto e linciatore, ogni sera offrivo in sacrificio una banda di malfattori. Non feci mai guerre preventive o spedizioni punitive, uccidevo senza ira né piacere, per strappare alla morte delle fanciulle. Queste fragili creature mi erano indispensabili: erano loro ad invocarmi. (...). Quando i giannizzeri brandivano le scimitarre ricurve, un gemito percorreva il deserto, e le rocce dicevano alla sabbia: "C'è qualcuno che manca qui; è Sartre." Sull'istante, scostavo il paravento, facevo volare le teste a colpi di sciabola, nascevo in un fiume di sangue. (...) Nascevo per morire: ormai salva, la fanciulla si gettava tra le braccia del margravio, suo padre; mi allontanavo, bisognava ridiventare superfluo o cercare nuovi assassini.
Poco dopo, Sartre prosegue il suo racconto:
Tutti i bambini hanno un genio, tranne Minou Drouet, ha detto Cocteau nel 1955. Nel 1912, ne avevano tutti, tranne me: scrivevo per scimmiottatura, per cerimonia, per fare la persona grande: scrivevo soprattutto perché ero il nipotino di Charles Schweitzer.
Jean-Paul prova un altro esperimento poetico: trasformare in versi alessandrini le favole di La Fontaine.
L'impresa era superiore alle mie forze e credetti di notare che essa faceva sorridere: fu la mia ultima esperienza poetica. Ma ero lanciato, dai versi passai alla prosa. (...)
A lungo andare, il nonno si rende conto che Jean-Paul, nell'inventare e nel riportare su piccoli quaderni alcune favole e alcuni racconti inventati, ha (testuali parole) il bernoccolo della letteratura.
I miei primissimi approcci con la scrittura sono avvenuti un po' prima dei 7 anni. Io ho da sempre saputo di essere decisamente più portata per grammatica, lingua, narrativa e storia. Lo sapevo già anche in prima elementare, quando non potevo frequentare regolarmente la scuola e dovevo fare la spola tra lo studio pediatrico del mio paese e l'ospedale di Padova.
Già sui 6 anni e 1/2 mi erano stati regalati dei quadernini. Non è che scrivessi dei veri e propri racconti...
Mi spiego. Io ero la bambina "animista", convintissima che piante, prati, montagne, fiori, onde del mare, oggetti e rocce avessero un'anima. Ho iniziato a scrivere di loro: immaginavo quali potessero essere i pensieri di una margherita durante un acquazzone primaverile, oppure pensavo a delle rocce, una vicina all'altra, che potevano dialogare fra loro e che vedevano le loro immagini riflesse nel lago. Una volta ho pensato anche ad un vento autunnale freddo, invidioso di una pianta alta e ricca di foglie, che, con soffi forti e decisi, le strappava non soltanto tutte quante le foglie ma anche alcuni rametti.
Le mie prime scritture/immaginazioni riguardavano anche degli animali pensanti.
Immaginavo che una rondine volasse nei paesi poveri, in Africa, in India, e che vedesse la miseria della gente e vedesse soprattutto dei bambini come me morire di fame.
Quando ero così (e questa sotto è una foto che risale al giugno 1998), cioè, a due anni e 1/2, mi dicevano e mi dicono ogni tanto tuttora, che sapevo recitare a memoria delle lunghe filastrocche... Io però non ricordo nulla prima dei 4 anni.
All'Università, tra i 22 e i 23 anni, oltre a mantenere ben volentieri questa consuetudine con i post, ho creato il mio primo romanzo, abbastanza autobiografico. Per un certo verso l'ho pagata cara, perché questo è stato, per la gente della mia età che vive nel mio stesso paese, un motivo in più per emarginarmi, per deridermi e per criticarmi, a bassa voce e alle spalle. E anche per squadrarmi in modo decisamente maleducato e imbarazzante, come a considerarmi una specie di marziana.
Ma l'ho fatto stampare e pubblicare. Nonostante il virus, il lockdown, le mascherine, le distanze sociali, la tragedia di tutti questi morti, ho finora venduto qualche centinaio di copie. Non è per niente male come risultato, con i tempi che corrono.
6. L'ADOLESCENZA TRA LETTURE E COMPAGNI DI SCUOLA:
Le ultime pagine venti pagine del romanzo sono state dedicate alle amicizie del periodo del liceo, probabilmente uno dei periodi più sereni e più tranquilli della vita di Jean-Paul. Sono pagine bellissime, di sentimento, dove si raccontano rapporti genuini tra studenti tutti bravi e volonterosi ma senza rivalità o invidie.
Commovente è il ricordo di Bernard. Bernard non era soltanto il più bravo della classe ma anche il più mite, il più umile, il più sensibile. Aiutava i compagni nei compiti, condivideva con loro interessi letterari e storici, faceva da leader positivo al gruppo. Ed è morto a 18 anni a causa di una tubercolosi.
Sartre apparteneva ad una famiglia alto-borghese, quindi, era vissuto negli agi economici; Bernard invece era il figlio di una sarta vedova. Che differenza!
Il liceo che frequentavano era effettivamente una scuola pubblica interclassista.
Ancora con una grande ammirazione mescolata ad un'intensa malinconia, l'autore rievoca questo ragazzo con molto affetto, riconoscendo, senza difficoltà e senza alcuna rabbia, la sua superiorità nel rendimento scolastico e nei comportamenti.
... quella povera sarta, quella vedova, aveva perduto tutto. (...) Ho intravisto il Male, l'assenza di Dio, un mondo inabitabile? Credo di sì: perché altrimenti, l'immagine di Bernard avrebbe conservato una nettezza così dolorosa?
7. SARTRE, DIO E WILLY:
Alcuni di voi già lo sanno: Sartre era un esistenzialista ateo. Io non sono atea, ma in questo momento mi trovo in una situazione contraddittoria.
In materia di fede mi sento (ed effettivamente lo sono!) come destrutturata. Penso che Dio esista ma credo che sia un dio debole, troppo permissivo, forse a volte anche indifferente.
Gesù Cristo è un fallito. Non ha salvato l'umanità perché il male c'è stato e c'è ancora, dopo la Sua Risurrezione. Ha predicato la condivisione fraterna, la pace, la solidarietà, la vita ma non è mai stato compreso veramente, mai! Nemmeno nel Medioevo. Il Medioevo... che epoca di divisioni!! Con tutte quelle discussioni e dispute fra eretici (ariani, monofisiti, nestoriani) e fra diverse correnti del Cristianesimo (ortodossi e cattolici). Il Medioevo è stato anche un' epoca di ostentazione religiosa e di corruzione, anche clericale!
Da anni, la mia domanda è sempre più o meno la stessa:
Se Dio è il Bene perché allora il male è presente e sembra, soprattutto in certi momenti storici, schiacciare l'umanità?
La soluzione del libero arbitrio non mi basta più. Io mi indigno di fronte al male e alla violenza; Papa Francesco dice che abbiamo perso, oggigiorno, la capacità di indignarci. Beh, io no, non l'ho mai persa e mai la perderò!
Dio non voleva le guerra, non voleva i genocidi, non ha mai voluto la violenza... Perché però li permette? Ha permesso che un ragazzo di 21 anni morisse in quel modo assurdo, atroce, disumano, pestato da 20 minuti da esseri abietti. Cosa deve aver passato in quei 20 minuti... Forse a Dio importa poco della vita di un ragazzo. Forse gli importa poco anche della mia, di vita. Forse non gli interessano più di tanto le nostre vite. La libertà di comportamento ultimamente non mi basta più come spiegazione...
A 21 anni si deve vivere, perché si è da poco capito chi si è e cosa si vuole esattamente nella vita. Willy sapeva cosa voleva. E quei quattro hanno infranto il suo sogno, in 20 minuti, con della violenza cieca, rabbiosa, immotivata, che ricorda l'episodio del delitto Carew nel romanzo di Stevenson (Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde) e che rimanda anche alla tragica e oltremodo sanguinosa fine di Simon in The lord of the flies di Golding.
Un mio conoscente piuttosto avanti con gli anni sostiene che in Paradiso le persone che abbiamo amato vivano in un'altra dimensione, in una dimensione felice che non rende loro né necessario né importante pensare a noi che continuiamo la nostra vita sulla Terra. E se anche Dio fosse disinteressato a noi?
Allora perché un salmista scrive: Signore tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri... la mia parola non è ancora sulla lingua e tu già la conosci tutta?
Poi però nella Bibbia, nel Nuovo Testamento, c'è l'esclamazione di dolore con una puntina di risentimento di Marta e Maria pochi giorni dopo che Lazzaro è morto:
Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!
Ma chi è veramente Dio?!
Perché lascia che certi uomini e certe donne affrontino difficoltà e tragedie grandi nel corso della loro esistenza? Mi dite come fa a credere una coppia di sposi che ha generato quattro figli distrofici, morti tutti e quattro molto prima di loro? In effetti, si sono allontanati dalla Chiesa. E io li capisco, non mi permetto di giudicare.
E' da quest'autunno che la mia fede si è indebolita... Non prego quasi più, che senso ha pregare un Dio debole che sembra abbandonare a se stessi gli uomini, almeno, gli uomini onesti e altruisti. Diversi mesi fa, nell'autunno scorso, addirittura pensavo di non andare più a messa... Ma non riesco a interrompere del tutto i contatti con la religione. Non posso farne a meno, di andarci. Ma non è questione di mantenere formalmente un'abitudine... Io ci vado, ogni domenica, perché ho bisogno di sentire le parole edificanti di San Paolo, per ascoltare anche delle pagine di Antico Testamento, per sentire, in un brano del Vangelo o in un'epistola di San Paolo, un'eco di quel comandamento che sto cercando di fare mio: Ama il prossimo tuo come te stesso. Ovvero: sforzati di immedesimarti nella sua situazione, abbi compassione del vissuto degli altri, sii sensibile, sii empatico, non condannare, non odiare, cerca di aiutare sempre, condividi non solo pasti, cibo e oggetti ma anche un po' di te, di quello che sei, con gli altri. E sì, lo ammetto: a messa vado, non nella mia parrocchia, anche apposta per sentire le omelie incisive di Don Andrea. Il problema non sono Don Andrea, Don Marco e Don Gaetano però... Il problema sono io con i miei dubbi e le mie idee contorte che persistono, che mi lasciano in pace solo nel momento in cui incontro questi tre sacerdoti, ma che poi, con prepotenza, tornano.
Non è neanche così facile la mia situazione familiare, ora come ora, al di là di mio zio Attilio che sta guarendo.
Nella Messa, il momento della Comunione mi ricorda soprattutto l'impegno che non soltanto io, ma anche molti altri uomini e donne che hanno avuto momenti difficili e ognuno di loro un proprio vissuto personale, offrono per cercare di rendere questo mondo un posto un po' migliore.
Cerco di essere il più serena possibile, cerco di vedere il bello e il positivo in ogni giornata.
Non riesco a capire Dio ma sento di non poter fare a meno della Messa, che per me non è soltanto un'abitudine o l'occasione di rivedere i miei nuovi amici, dico davvero.
Io spero che si possa, fra un mese o due, avere la possibilità di seguire alcuni giorni di esercizi spirituali con Don Giampaolo. Penso che mi aiuterebbero molto.
Ho tutti questi pensieri, eppure li ho fatti quest'estate, li ho fatti eccome "i 4 passi" proposti sul sito, attività "a distanza" che implicava la lettura di un brano e dei collegamenti con altri versetti biblici citati al di sotto del brano stesso. E mi è anche piaciuto.
Non ho perso l'interesse. Il mio grosso problema è quello di non riuscire in modo chiaro a rapportare Dio con il male. Questo aspetto mi manca molto.
Gli aggressori di Willy hanno la mia età, o comunque, sono vicini alla mia età più di Willy.
Per l'età che aveva, Willy sarebbe potuto essere mio fratello. Magari avessi avuto un fratello di età simile alla mia, del '97, o del '98 o del '99... A volte avremmo litigato, a volte non non avrei condiviso le sue scelte e le sue opinioni e a volte glielo avrei detto in maniera piuttosto forte. Però, se mio fratello fosse veramente esistito, ora sarei diventata la sua più grande alleata nella quotidianità. Ora lui sarebbe l'altra metà di me. E ora io, con tutta me stessa, vorrei il meglio per lui.
Ah sì... e infine, da sorella maggiore, gli avrei raccomandato vivamente di non stare fuori di casa fino alle 2 inoltrate... State a casa a letto quando è notte fonda, porco il ca*** ! Quella è l'ora dei teppisti, dei ladri, dei criminali! Si può essere giovani senza per forza dover "vivere di notte", io lo so bene.
Questo per gli adulti: vi prego, la gente intorno ai 25 anni non è tutta uguale, non siamo tutti dei fascistoni violenti criminali! Non generalizzate mai e distinguete sempre.
Non siamo tutti così!!
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