Visualizzazioni totali

24 dicembre 2024

L'epifania secondo l'apostolo Matteo:

Questo è l'ultimo post dell'anno 2024, non ce ne saranno altri prima del 9 gennaio del nuovo anno. 

Mi prendo una pausa di alcune settimane prima di tutto perché ho bisogno di tempo da dedicare alle persone con le quali ho rapporti significativi e profondi e poi perché devo proprio proseguire la stesura di quel che sarà il mio terzo libro... sotto qualche aspetto sono una persona incredibile: ho appena appena avuto il tempo di diffondere e di far apprezzare il secondo libro ed ora sento forte l'impulso di ascoltare le mie ispirazioni per una narrazione totalmente diversa dalla prima e dalla seconda. Sarà una storia di bullismo e di disagio sociale, ispirata all'esperienza lavorativa vissuta in stazione nell'ultimo anno. Nei prossimi giorni avrò molto più tempo da dedicare alla mia inclinazione per la scrittura.

Nei giorni scorsi ho riflettuto molto... è meglio proporvi, anzi, ri-proporvi Mt. 2, 1-12 oppure no? Lo stesso brano c'è già all'interno del blog, inserito in un post all'inizio del 2020, ma con un commento diverso rispetto a quelli che vi fornisco ora e accompagnato da dipinti di gotico internazionale sull'epifania, preceduto da etimologie greche sulla parola e seguito dalla spiegazione della tradizione della befana.

Alla fine l'ho ritenuto opportuno, indipendentemente dal rapporto con la Fede e con la Religione che potete avere o non avere. In ogni caso, sempre cultura è: i quattro Vangeli rappresentano le radici della cultura occidentale.

Non ho scelto la versione di Matteo per caso... sono in debito con l'evangelista Matteo a causa di un mio errore di valutazione!

Soltanto negli ultimi anni sto rivalutando e apprezzando questo evangelista. 

Tempo prima, nell'adolescenza e nei primissimi anni di università, nutrivo un forte pregiudizio astioso nei suoi confronti, lo ammetto. 

Ogni volta che sentivo la formula: "dal Vangelo secondo Matteo" pensavo: "Oddio... ecco il legalista moralista che, nel suo Vangelo, ha ridotto la fede ad una serie di norme e ad un mero codice etico! Dev'essere stato prima un disonesto e poi dev'essere diventato un uomo rigido che ha passato la vita a condannare chi gli stava intorno. Chissà come stava male una persona del genere".

Dopo un po' di anni era arrivato per me il momento di preparare uno dei molti moduli di Letteratura Italiana con particolare approfondimento su Pasolini. Nella sua produzione cinematografica vi ricordo che c'è anche Il Vangelo secondo Matteo, film del 1964. 

Dal momento che la figura di Pier Paolo Pasolini mi appassionava, avevo deciso di approfondire da sola il contenuto di quest'opera, anche se il docente ci aveva caldamente consigliato di reperirla. 

Si tratta di un film ben fatto e, a detta dei miei zii, molto fedele e molto rispettoso dei contenuti proposti dall'evangelista. Dopo la visione del Vangelo secondo Matteo, opera che è passata alla storia del cinema italiano, ho iniziato a capire qualcosa di più e ad avere qualche intuizione. 

Innanzitutto, sulla base di quello che avevo studiato, ero colpita dal fatto che un intellettuale ateo stimasse il Vangelo di Matteo come uno scritto "di altissimo livello stilistico" e ritenesse di "dover seguire punto per punto il Vangelo secondo San Matteo senza farne una sceneggiatura o una riduzione, perché nessuna immagine o nessuna parola aggiunta o inserita potrà mai essere all'altezza poetica di questo testo". 

Proprio nel 1964 Pier Paolo Pasolini è stato premiato per questa sua opera cinematografica alla Mostra del Cinema di Venezia proprio dall'Ufficio Cattolico Internazionale del Cinema ("Ocic" è la sigla francese).

Dopo la visione del Vangelo secondo Matteo di Pasolini mi sono chiesta: "E se questo apostolo avesse voluto prima di tutto mettere in luce che il Figlio di Dio non è stato accolto né creduto da scribi e farisei?! Avrebbe avuto le sue buone ragioni in questo suo intento... E se avesse avuto soprattutto l'intenzione di rappresentare Gesù come un autentico interprete della legge divina, liberandola da tradizioni sterili e da regole soffocanti? Altroché moralista! Cioè: un evangelista severo, senza ombra di dubbio, ma veramente interessante."

Poi è arrivata la primavera 2022 e ho sentito l'esigenza di leggere e di riflettere sull'intera Passione di Gesù secondo Matteo. A partire da qui ho cominciato anch'io ad apprezzare molto questo evangelista e a volerlo approfondire, di tanto in tanto, attraverso la ricerca di commenti di persone molto più competenti di me e più vicini di me alla Fede.

MATTEO E GLI ALTRI VANGELI:

Il nome di Matteo era in realtà Levi; questo lo chiarisce bene l'evangelista Marco. Non conosciamo molto a proposito della sua vita.

Forse è nato a Cafarnao intorno al 4 a.C. 

In ebraico "Matteo" ha lo stesso significato di "Mattia", il discepolo che ha sostituito Giuda Isacriota: "dono di Dio". In latino medievale sono diventati rispettivamente Mattheus e Matthias. A mio avviso entrambi i nomi hanno un significato edificante ma una brutta fonetica.

Matteo-Levi era un pubblicano, un esattore delle tasse per conto dell'Impero Romano che si è fatto conquistare da una semplice parola di Gesù: "Seguimi". 

Chissà che cosa Gesù ha intuito di bello e di significativo in Matteo-Levi in quegli istanti in cui l'ha notato dietro un bancone delle imposte.

Forse l'apostolo Matteo è morto in Etiopia, forse è stato trafitto da colpi di spada durante una celebrazione liturgica.

Il Vangelo di Matteo è rivolto principalmente ai giudei e agli ebrei convertiti al Cristianesimo. Il simbolo del Vangelo di Matteo è l'angelo perché inizia con la genealogia, ovvero, con l'elenco degli antenati di Gesù.

Scritto in aramaico intorno alla metà del I° sec. a.C., il messaggio fondamentale che i teologi riconoscono all'unanimità in questo Vangelo è il seguente: Gesù è il Messia ingiustamente rifiutato da Israele.

Questo spiega moltissimi dei suoi contenuti: 

1) Prima di tutto, il fatto che venga sottolineata più volte l'ipocrisia di scribi e farisei.

2) Se Matteo ritiene il Messia un incompreso dai giudei del suo tempo (perlomeno da molti di loro, non proprio da tutti) è comprensibile anche la sua insistenza sulle similitudini che riguardano il Regno dei Cieli: "simile ad un tesoro nascosto nel campo", "simile ad un uomo che ha seminato del buon seme nel campo", "simile ad un granello di senape"...

3) Inoltre si riesce a comprendere bene anche il motivo per cui il racconto della Passione di Matteo sia crudo, tremendo, finalizzato a risaltare la solitudine di Gesù a partire dall'orazione del Getsemani fino alla crocifissione. Oltretutto, solo in questo Vangelo Gesù viene offeso e incompreso anche la mattina del sabato santo, anche se è morto.

4) Per Matteo inoltre, in Gesù si realizzano le parole dei profeti dell'Antico Testamento, dei quali il suo Vangelo è ricco di riferimenti: Gesù non cancella il Dio dei patriarchi vetero-testamentari, ma offre un accesso definitivo ad esso. 

E GLI ALTRI TRE VANGELI?

A questo punto è doveroso da parte mia riassumere i temi fondamentali anche per Marco, Luca e Giovanni.

MARCO:

Il Vangelo di Marco è il più antico. 

Scritto in lingua greca, è rivolto agli strati sociali più bassi della Roma imperiale, in particolar modo, agli schiavi. 

L'evangelista si è fatto comprendere attraverso il ricorso ad un limitato numero di vocaboli che rimandano a esperienze comuni per ogni cultura: impiega ad esempio i termini che indicano i quattro elementi della terra con descrizioni molto semplici di paesaggi e anche parti del corpo umano. I verbi all'interno di questo Vangelo fanno riferimento alle azioni fondamentali del corpo umano e ai sentimenti più conosciuti: camminare, vedere, parlare, ascoltare, essere muto, amare, odiare. 

L'insegnamento principale di Marco è questo: Gesù è con noi. Un intento di Marco è infatti quello di sottolineare la bontà di Gesù, la sua sensibilità, la sua capacità in qualche episodio di provare compassione e tristezza. 

Questo evangelista ritrae un Gesù molto umano senza però tralasciare la sua natura divina.

Il Vangelo di Marco inizia con le azioni e l'operato della figura di Giovanni il Battista, non con la nascita di Gesù.

LUCA:

Il Vangelo di Luca sorge dal desiderio dello stesso evangelista di ascoltare la Parola, un annuncio che dovrebbe attecchire profondamente nel cuore dei cristiani.

Il suo tema centrale è il seguente: Gesù Cristo è gloria per Dio Padre e salvezza per l'uomo. 

San Luca, medico e pittore per la tradizione, ha avuto un grande interesse anche per la disciplina della storia: per lui infatti, la chiave di lettura della storia del mondo è Gesù, considerato al centro del tempo.

Tuttavia questo evangelista, oltre a riconoscere la misericordia del Figlio di Dio e la sua vicinanza ai malfattori, ai malati, ai poveri, ai lebbrosi, alle donne e ai bambini, si chiede anche: "Se il Figlio di Dio è portatore di salvezza, perché il male continua ad esistere? Qual'è il senso della storia dell'umanità?".  

L'evangelista arriva alla seguente risposta: "il cristiano è chiamato ad una vita responsabile per contrastare la mentalità egoistica del mondo: fondamentale diventano dunque gli atti di solidarietà, necessari per abitare questo pianeta. Conoscere un Padre che ha sacrificato il Figlio per noi deve motivare i cristiani a non estraniarsi dal mondo, anzi, a considerare ogni uomo come fratello."

Il Vangelo di Luca, scritto in greco, si rivolge principalmente ai pagani convertiti al cristianesimo e inizia con l'annunciazione dell'angelo a Maria.

GIOVANNI:

Si tratta del Vangelo più recente ed è rivolto ai credenti e alla nascente Chiesa, con l'obiettivo di fornire una visione più profonda della vita terrena, prestando attenzione al modo in cui viviamo l'impatto della Parola. 

Il nucleo centrale di Giovanni è il seguente: coloro che vivono secondo gli insegnamenti di Cristo riceveranno la vita eterna.

Il Vangelo di Giovanni, scritto in una lingua greca contaminata da ebraismi e qualche latinismo, inizia con un prologo a mio avviso molto suggestivo il cui intento è quello di affermare la natura divina di Gesù, identificato come "Il Verbo" che si è fatto uomo. Segue poi la testimonianza di Giovanni il Battista e la chiamata dei primi discepoli.

Dice lo studioso Silvano Fausti: "Il Vangelo di Giovanni è diverso dagli altri. La sua semplicità è apparente, come la vita. Gli altri Vangeli presentano dei racconti che, una volta spiegati, lasciano intravedere il loro significato, sono come le vetrate: le illumini e fai vedere cosa c'è dietro. Giovanni invece non racconta quasi nulla, il suo Vangelo è solo spiegazione."

MATTEO (Mt.), 2, 1-12

Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

COMMENTO DI BRUNO MAGGIONI:

(Riporto le citazioni che ho trovato e letto così come sono):

Chi sono i Magi? (...) Nel nostro caso sembra giusto pensare a degli astrologi: lo lascia sospettare l'espressione "abbiamo visto sorgere la sua stella" (2,2). Da lontano vengono per cercare il re dei Giudei. Dunque Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione: accanto al Messia c'è il re Erode. E il secondo ha paura del primo, come già un tempo il Faraone d'Egitto ebbe paura dei Figli d'Israele e ordinò di ucciderli: solo che ora ad aver paura del Messia non è più l'Egitto ma lo stesso Israele. 

In che senso Gesù può dirsi re? Un cenno alla regalità era già presente nella genealogia: Davide è "re" e Gesù discende appunto da lui. Però fra Davide e Gesù c'è l'esilio, la fine del regno di Davide, la perdita di ogni prestigio politico: Gesù è re ma senza corona.

È la passione il luogo dove si coglie il vero significato della regalità di Gesù. Una regalità diversa da quella a cui gli uomini sono abituati, diversa al punto che ad essi è sembrata una regalità da burla.

Sin dall'inizio, Matteo ha voluto evidenziare con sconcerto che non sono i pagani a rifiutare il Messia, bensì Gerusalemme. 

UNA PARTE DEL COMMENTO DI ANGELICO POPPI:

Nel primo capitolo  l'evangelista ha dimostrato come Gesù appartenesse alla stirpe davidica, un requisito necessario per garantire la sua messianità. Ora prova anche la sua origine a Betlemme, secondo le profezie.

Secondo il racconto di Matteo sembra che Giuseppe e Maria risiedessero nella cittadina di Betlemme, dimorando in una casa (v.11), l'evangelista Luca invece ne fa degli ospiti occasionali, per il censimento indetto dall'imperatore romano. 

I magi restano personaggi misteriosi: non se ne conosce il numero, il luogo esatto di provenienza, il mestiere. Nel mondo medio-persiano esisteva una nobile casta sacerdotale che si dedicava allo studio dell'astrologia, della divinazione e delle scienze sacre. Erodoto li ricorda come gli interpreti dei sogni. Matteo li circonda di grande venerazione. Ma è interessante come non li faccia dei re. 

Attraverso la contemplazione del Creato, i Magi si avvicinano a Dio, ricercando con impegno la luce, mentre al contrario i giudei, in possesso delle Scritture, non rendono omaggio al Messia, non li seguono nel loro viaggio.

La stella è connessa ad un probabile oroscopo per il Messia. Tuttavia è difficile associare quella stella a un preciso fenomeno astronomico come l'apparizione della cometa di Halley nell'11 a.C. oppure alla congiunzione di Giove con Saturno nel 6 a.C. Paradossale è il movimento della stella da Gerusalemme verso Betlemme, cioè da nord verso sud, ma ha un significato simbolico: probabilmente l'evangelista voleva alludere alla "stella di Giacobbe" predetta da Balaam, un profeta pagano originario dell'Oriente.

I doni oro, incenso e mirra rievocano la pacifica invasione della nuova Gerusalemme da parte degli abitanti di Madian ed Efa con i loro cammelli e dromedari descritta da Isaia 60,6 e ancora alla venuta dei re di Tarsis, delle isole, di Saba che offriranno tributi al Messia e si prostreranno dinanzi a lui (sal. 72,10s). Forse in riferimento a questo passo la tradizione tardiva ha considerato i magi come re.


23 dicembre 2024

Post culturale natalizio:

Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.

("Natale", Salvatore Quasimodo)

CENNI DI CULTURA LATINA:

Il 25 dicembre, credo lo sappiate più o meno tutti, è una data simbolica: non è l'esatta data di nascita di Gesù e nessuno dei quattro Vangeli ci tramanda una data esatta. 

A partire dalla tarda antichità, il Natale ha sostituito la festa pagana del "Sol Invictus". 

Il sole invincibile in pieno inverno?! Il 25 dicembre è sempre stata una data di poco posteriore al solstizio di inverno e, già nell'antichità, si percepiva il leggero allungarsi dei giorni: infatti, tra il 22 e il 24 dicembre, i giorni sono molto brevi per il fatto che il sole raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale ed è dunque più debole in quanto a calore. A partire dal 25 dicembre, sembra invece iniziare a sconfiggere le tenebre.

I Romani dell'età imperiale, ogni 25 dicembre, festeggiavano Mitra, il dio "del sole invincibile". Questa festa è stata istituita da Elagabalo che ha fatto edificare un tempio sul Palatino in onore di questa divinità.

Poi è salito al potere Costantino il quale, a partire dal 330, dopo essersi convertito al cristianesimo, ha sostituito la festa del "Sol invictus" con quella del "Natalis Christi". 

PARTE ARTISTICA:

A) PAUL GAUGUIN, TE TAMARI NO ATUA ("NASCITA DEL FIGLIO DI DIO"):

Questo dipinto risale al 1896 e la tecnica è olio su tela. La presente opera è ispirata ad un evento reale: la nascita della figlia del pittore, avuta con la compagna Pahura, giovanissima polinesiana.

In primo piano è evidente la presenza di una donna maori semi-coperta da un telo blu e distesa su un letto il cui cuscino e il cui materasso sono gialli. Per Gauguin il giallo è il colore del sacro. Risulta comunque visibile l'aureola sia sul capo della ragazza sia attorno al viso del neonato che dorme tra le braccia di un'altra figura femminile vestita di bianco e affiancata da un'altra donna, anche lei di etnia maori.

Notate che vicino al neonato c'è un totem. Si tratta di un tupapaù, ovvero, il nome dello spirito dei morti in lingua maori... il motivo di questa presenza dev'essere ricondotto ad un terribile dramma: la morte della figlia di Paul e Pahura poche settimane dopo la nascita.

Sullo sfondo, dove si trova una stalla con alcuni buoi, prevalgono le tonalità verde-oliva e marrone terra di Siena.

L'aureola della donna distesa sul letto è gialla, quella del bambino invece risulta giallo-verde. Per quali motivi questa diversità? Mi sono fatta un'idea: il giallo è simbolo in questo quadro di calore materno, speranza; ma soprattutto, può essere un richiamo all'apertura d'animo che Maria ha dimostrato di fronte all'annuncio dell'angelo. Il verde è simbolo di vita; in questo caso, di una nuova vita destinata a portare un messaggio di salvezza.

Trovo originale quest'opera, a me non dispiace per niente: Paul Gauguin infatti ci fornisce una natività terrena che può trasmettere la profonda umiltà e umanità di un Dio cristiano che si è fatto uomo.

B) GHERARDO DOTTORI, NATIVITA':


Anche in questo caso la tecnica è l'olio su tela ma il dipinto risale al 1930.

Credo che una parte di voi se ne sia accorta immediatamente: le figure risultano scomposte nello spazio, proprio secondo lo stile cubista. Tuttavia, a questo dobbiamo aggiungere che la visione della capanna dall'alto è data dalle esperienze di Dottori dell'areopittura.

Al centro, la capanna di legno è investita in pieno da un cono di luce che splende sulla sacra famiglia. Accanto alla semplicissima struttura c'è un bue bianco dall'aria mite.

Trovo bellissimo il dinamismo geometrico e cromatico delle aureole, costituite da cerchi concentrici divisi in campiture contenenti non soltanto le diverse gradazioni del blu ma anche il giallo e il turchese.

L'avvenimento della Natività avviene in un paesaggio collinare con una città e un lago azzurro sullo sfondo, probabilmente ispirato ad un paesaggio dell'Italia centrale dato che Gherardo Dottori era umbro.

(A mio avviso questa Natività potrebbe stare bene dietro l'altare di una chiesa moderna, ad esempio di Madonna del popolo a Villafranca).

20 dicembre 2024

Il rapporto uomo-ambiente nell'Ode di Parini "La salubrità dell'aria"

L'ode intitolata La salubrità dell'aria è stata composta da Parini intorno al 1760. Si tratta di un componimento celebre sia per l'impegno civile che manifesta sia per la presenza di un lessico molto variegato, in cui il classicismo si mescola con termini tecnici.

Ho pensato fosse un componimento opportuno da inserire per quel che concerne il rapporto uomo-natura dal momento che il messaggio ecologico è, a mio avviso, particolarmente evidente.

Prendo in esame soltanto le parti dell'ode che ritengo più significative:

vv.7-12:

  1. Già nel polmon capace
  2. urta sé stesso e scende
  3. quest’etere vivace,
  4. che gli egri spirti accende,
  5. e le forze rintegra,
  6. e l’animo rallegra.

In questi versi, l'aria pulita e vivificante riempie i polmoni che si dilatano, rinvigorisce gli animi debilitati dalla vita cittadina.

A quale luogo naturale si riferisce Parini?  

L'ode inizia con i seguenti versi: "Oh beato terreno/del vago Eupili mio". Eupili è per l'appunto il nome latino del lago di Pusiano, in Brianza, vicino al quale si trova il paese di Bosisio, luogo natale dell'autore.

vv.13-24:

Attenzione, però! Quest'ode non è una decantazione del paesaggio agreste.

  1. Però ch’austro scortese
  2. quì suoi vapor non mena:
  3. e guarda il bel paese
  4. alta di monti schiena,
  5. cui sormontar non vale
  6. borea con rigid’ale.
  7. Né quì giaccion paludi,
  8. che dall’impuro letto
  9. mandino a i capi ignudi
  10. nuvol di morbi infetto:
  11. e il meriggio a’ bei colli
  12. asciuga i dorsi molli.

L'austro è lo scirocco, definito "scortese" dal momento che è fastidioso e umido. Tuttavia, questo vento non raggiunge il lago di Pusiano, protetto da alte montagne che nemmeno la fredda bora riesce ad oltrepassare. 

Nei dintorni di Bosisio non ci sono paludi stagnanti che dalle loro acque ("impuro letto") emanano un vapore infetto (il poeta fa un'allusione alla malaria). 

vv.25-36:

  1. Pèra colui che primo
  2. a le triste ozïose
  3. acque e al fetido limo 
  4. la mia cittade espose;
  5. e per lucro ebbe a vile
  6. la salute civile.
  7. Certo colui del fiume
  8. di Stige ora s’impaccia
  9. tra l’orribil bitume,
  10. onde alzando la faccia
  11. bestemmia il fango e l’acque,
  12. che radunar gli piacque.

"Pèra" è un'espressione generica di maledizione, non così rara nei componimenti di Parini. Significa: "Sia dannato...".

Il poeta inizia qui a introdurre, in contrasto con l'aria pulita e sana dei paesini in riva al lago, le pessime e malsane condizioni igieniche dei quartieri della Milano del suo tempo. 

Non si fa riguardi a disapprovare e a condannare aspramente la politica di chi ha esposto la città di Milano al pericolo delle acque maleodoranti ("triste oziose acque") delle risaie marcite e, per fame di denaro, non ha considerato la vitale importanza del benessere dei cittadini.

Tuttavia, anche i politici colpevoli di non aver preso provvedimenti di tutela della salute pubblica, si trovano a dover respirare l'odore di questo fango bituminoso, paragonato alla palude infernale dello Stige.

Tenete presente, come accennavo prima, l'intelligente intreccio tra un lessico aulico caratterizzato in qualche caso da latinismi ("etere vivace", "egri spirti", "rigid'ale") con un lessico molto realistico ("nuvol di morbi infetto", "orribil bitume"). 

Ho evidenziato solo in questi versi alcune espressioni, anche se la convivenza di differenti registri lessicali permane per tutta la poesia.

La salubrità dell'aria mi ha richiamato alla mente alcune brevi liriche dello Zanzotto maturo, contenute nella sua raccolta intitolata "Sovrimpressioni" e tutte quante incluse nella sezione denominata "Verso i Palù minacciati di estinzione"

I Palù erano zone acquitrinose che, già in epoca medievale, erano state trasformate in scacchiere di prati circondati da alberi e da acqua corrente. 

Ma, alla fine del secolo scorso, l'espansione delle industrie e dell'edilizia, insieme alla decisione di ampliare la rete stradale, ha minacciato l'esistenza dei Palù. 

Ecco dunque che ritengo utile riportare un componimento dal finale molto significativo:

Specchi del Lete
qui riposanti in se stessi
tra mille fratelli e sorelle,
specchi del verde
ad accoglierli attenti
fino a disfarsi in scintille
a crescere in cerchi d’arborescenze
per tocchi
di venti,
di trepidi occhi.

– Pan, dove sei?
– Sì.

Il fiume Lete è il fiume dell'oblio. (Nemmeno qui mancano termini riconducibili al mondo classico greco-romano).

Ma notate gli ultimi due versi: quel "sì" del dio Pan, divinità greca da sempre legata al mondo agreste, equivale ad un "sopravvivo".

vv.67-78:

  1. Ben larga ancor natura
  2. fu a la città superba
  3. di cielo e d’aria pura:
  4. ma chi i bei doni or serba
  5. fra il lusso e l’avarizia 
  6. e la stolta pigrizia?
  7. Ahi non bastò che intorno
  8. putridi stagni avesse;
  9. anzi a turbarne il giorno
  10. sotto a le mura stesse
  11. trasse gli scelerati
  12. rivi a marcir su i prati

Vorrei soffermarmi sulla critica del poeta ai milanesi, ai suoi occhi ignavi e indolenti di fronte all'enorme problema della città in cui vivono:

  1. ma chi i bei doni or serba
  2. fra il lusso e l’avarizia 
  3. e la stolta pigrizia?

La domanda rivela ai lettori la forte indignazione morale di un Parini molto attento all'impegno socio-politico nei confronti di una città definita superba dal momento che è ricca di storia e di monumenti.

"putridi stagni" sono proprio le risaie.

vv.97-108:

Quivi i lari plebei

Da le spregiate crete

D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;

Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti

Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!

Per "lari plebei" Parini intende le case dei poveri a Milano. 
Nella Roma arcaica, i Lari erano divinità protettrici delle case romane:

et nos Lases iuvate (x3)

neve lue rue Marmar sins incurrere in pleoris (x3) 

satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber (x3) 

semunis alterni advocapit conctos (x3) 

enos Marmor iuvato (x3)

triumpe! triumpe! triumpe! 

Questo appena riportato è il Carmen Arvale (V° sec. a.C?) , canto liturgico dei Fratres  Arvales che onoravano Cerere affinché assicurasse fertilità ai campi. 

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
empion l’estivo die.

I cadaveri degli animali, lungo le strade affollate, riempiono l'aria della città di odori tremendi e pestilenziali.

vv.109-120:

Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.

Gridan le leggi è vero;

E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?



"Nè a pena"= equivale all' ubi latino ("non appena"). 
Per "vaganti latrine" si intendono le cosiddette navazze stercorarie, che, con i coperchi sempre alzati, contrariamente a quanto stabilito dalle leggi, erano attive tutte le notti nelle città. 
Le leggi gridano... ma, in questo contesto, saranno sicuramente leggi molto simili alle "gride manzoniane", inefficaci, roboanti nella loro forma scritta e ignorate dai prepotenti.
Le disposizioni igienico-sanitarie esistevano e prevedevano sanzioni per i trasgressori. Tuttavia l'egoismo e l'indifferenza dei politici e dei cittadini ("inerzia privata")  prevalgono sul senso civico. 


Non è forse così anche ai nostri giorni?

13 dicembre 2024

IL RAPPORTO TRA UOMO E AMBIENTE IN ALCUNI FILM DI MIYAZAKI:

Il rapporto tra uomo e ambiente è la tematica prevista per queste due settimane.

In questo post presentiamo i contenuti e i significati fondamentali dei film più conosciuti di Hayao Miyazaki, regista conosciuto da tutto il pianeta oltre che figura molto incisiva per la storia dello studio Ghibli.

IL CASTELLO NEL CIELO:

Il castello nel cielo è il terzo film di Miyazaki, uscito in Giappone nel 1986. 

Il film inizia in cielo dove Lusheeta (Sheeta), la ragazzina protagonista femminile, mentre cerca di fuggire dai Pirati dell'Aria, cade dall'aereo in cui vive e si salva levitando delicatamente nell'aria. Cade accidentalmente tra le braccia di Pazu, un coetaneo che vive in un villaggio di minatori.

I principali luoghi in cui si svolge la vicenda di questo film sono tre:

-Il villaggio di Pazu, circondato da campagne, i cui abitanti vivono in semplicità e in povertà. Probabilmente Miyazaki ha voluto ambientare questa sua opera nel Regno Unito di fine XIX° secolo.

-Il cielo, luogo in cui avvengono i combattimenti tra Pazu e Lusheeta da un lato e i miliziani al servizio del malvagio Muska dall'altro.

Muska, uomo viscido e malvagio discendente della stirpe reale di Laputa, desidera impadronirsi di una magica pietra azzurra che la ragazzina porta al collo. 

*Buona parte del film si svolge nel cielo e i personaggi sono a bordo di aeronavi ed elicotteri, a rimando del grande interesse di Miyazaki per l'aviazione.

-Laputa, isola sospesa nel cielo, proprio come nell'opera di Swift intitolata I viaggi di Gulliver. Come nel libro, anche in questo film Laputa è una roccia volante. 

Tuttavia, mentre in Swift quest'isola può essere manovrata attraverso un magnete dai suoi abitanti, dal momento che questi stessi hanno un solido bagaglio di competenze scientifiche; in Miyazaki Laputa è semplicemente un mondo bellissimo, un "locus amoenus" pieno di alberi, prati verdi e fioriti. È una natura che a mio avviso rispecchia l'affetto genuino e sincero tra Pazu e Sheeta. 

Laputa mi ha un po' ricordato la Bersabea delle Città Invisibili di Calvino: infatti anche Bersabea è "sospesa nel cielo" e, oltre a ciò, esiste: "un'altra Bersabea, dove si librano le virtù e i sentimenti più elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa"

La Laputa di Miyazaki sembra una rappresentazione dell'Eden, ovvero, un mondo estraneo a fatica, dolore, guerre, sete di potere.

Sheeta e Pazu, circondati da adulti meschini, opportunisti e avidi, sono gli unici personaggi del film che instaurano un rapporto di armonia, di meraviglia e di rispetto con la natura.

Credo che la scena più significativa del film sia rappresentata dal gesto di un robot gigante che, proprio a Laputa, porge un fiore a Sheeta, alludendo al bisogno di una relazione di equilibrio tra uomo, tecnologia e natura.

A me Il castello nel cielo è piaciuto molto, lo trovo un film molto chiaro e facilmente comprensibile nei suoi contenuti, scevro da complicati simbolismi, proprio come Il mio vicino Totoro, uscito due anni dopo. 

Sono sincera: a gennaio ho visto con Matthias anche Il ragazzo e l'airone... non l'ho capito. E ultimamente, abbastanza spesso, impallidisco di fronte alle riflessioni cinematografiche (oltre che geopolitiche) di Matthias: nel 2025 dovrà esserci spazio anche per riportare le sue considerazioni a proposito di quest'ultimo film di Hayao.

*Una curiosità: Lusheeta non è un nome giapponese, bensì un nome lapuziano che significa "vera sovrana".

DIFFERENZA FONDAMENTALE CON "IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL":

Il castello nel cielo non mi ha entusiasmato. L'aspetto più riuscito per me consiste nella realizzazione dei disegni e dei paesaggi, probabilmente dipinti ad acquerello.

Non sono riuscito a simpatizzare con i personaggi, nemmeno con i due protagonisti: non appena Pazu e Sheeta si incontrano sembra si conoscano da sempre, non viene rappresentata una relazione in evoluzione perché il loro rapporto sembra una favola romantica.

Un altro lato che mi lascia perplesso è la netta contrapposizione tra bene e male. 

In questo film bene e male sono sempre in antitesi: Pazu è sempre buono, Muska è sempre malvagio e per lui non ci sarà mai una possibilità di riscatto.

Nel Castello errante di Howl invecebene e male coesistono nello stesso personaggio che può anche vivere una maturazione psicologica. 

Howl è ambiguo: è molto bello e giovane quando è accanto a Sophie, diventa mostruoso quando si trova costretto a combattere.

Howl ha però un percorso di maturazione: all'inizio è inconsistente e immaturo, perché non si impegna con le ragazze che corteggia, è viziato visto che si dispera per una tinta di capelli che non gli piace, è infantile perché chiede a Sophie di andare al posto suo a incontrare la regina Suliman. Verso la fine diventa un ragazzo di buon senso e più equilibrato, che ama veramente Sophie.


Sophie all'inizio del film è giovane ma vecchia dentro, senza vita sociale, senza interessi e molto malinconica. Poi, quando la Strega delle Lande, invidiando la sua giovinezza, la trasforma in una novantenne gobba, Sophie diventa più energica e dimostra molto più spirito di iniziativa.

Calcifer in questo film è il demone del fuoco un po' brontolone. Tuttavia è motore del castello semovente ed è utile per cucinare e per scaldarsi.

La Strega delle Lande è vendicativa e molto antipatica all'inizio, poi, con un incantesimo, diventa una vecchietta docile e innocua.

Persino la regina Suliman, sebbene sia molto autoritaria, ha del buono dentro di sé: si preoccupa per il futuro del suo popolo e dimostra un forte senso di giustizia.

Tuttavia Il castello errante di Howl non ha come tema principale il rispetto della natura. Casomai con questo film Miyazaki ha voluto mettere in risalto la contrapposizione tra apparenza e sostanza. 

Però mi chiedo se Il castello errante di Howl possa essere considerato un film antimilitarista, dato che il mondo di Sophie e di Howl è violento e caratterizzato da conflitti. Miyazaki ha forse voluto condannare la guerra? Anche altri suoi film come La città incantata, Si alza il vento e Il porco rosso costituiscono una ferma condanna dei conflitti. Per quali motivi il regista sembra insistere su questo intento? Forse perché da bambino ha subito un trauma (aveva pochi anni durante il secondo conflitto mondiale)? O forse perché, anni fa, era particolarmente contrariato per l'inizio della guerra in Iraq?

Non condivido nessuna delle due ipotesi. Miyazaki è nato nel '41, aveva quattro anni quando la guerra è finita, dubito ricordi qualcosa dei bombardamenti, anche perché, essendo di famiglia altoborghese, ha avuto la possibilità di abitare in campagna. Comunque è probabile che sia stato suggestionato dalle conseguenze drammatiche e disastrose che il dopoguerra ha comportato per il Giappone.

Miyazaki ha condannato l'iniziativa americana in Iraq ma questo, oltre che La città incantata, Si alza il vento Il porco rosso, non sono gli unici film anti-militaristi. Anche L'Airone e Nausicaa nella valle del vento lo sono.

SOMIGLIANZE E DIFFERENZE CON "NAUSICAA NELLA VALLE DEL VENTO":

Anche in Nausicaa nella valle del vento l'inizio del film è in alta quota, in cielo. 

Nausicaa nella valle del vento, film contro le armi nucleari, è ambientato in un futuro distopico in cui una guerra termo-nucleare ha devastato e danneggiato la natura e, nella superficie del Mare della Putrefazione, vivono insetti pericolosi mentre, nelle sue profondità, l'acqua è ancora pura.

Non si tratta certamente di un mondo un po' magico e un po' reale che può rimandare al tardo Ottocento: in Nausicaa nella valle del vento la foresta è diventata mutante, gli abitanti del regno di Nausicaa indossano maschere per proteggersi dall'aria inquinata.

In questo mondo del futuro, solo gli scarafaggi giganti con mille occhi sono a loro agio, mentre gli uomini vivono in piccole comunità diffidenti le une verso le altre. 

Nel Castello nel cielo c'è un protagonista maschile e una femminile, mentre in Nausicaa nella valle del vento c'è un'unica protagonista femminile che rappresenta l'importanza di cercare armonia con la natura. 

Nausicaa è riuscita, in una stanza all'interno della reggia, a coltivare piante non velenose alimentandole con acqua pulita. La ragazza è dotata di poteri extra-sensoriali che le consentono di comunicare con gli animali. È lei l'unica, all'interno del drammatico contesto in cui vive, che può riportare la pace.


*Nausicaa nella valle del vento è ispirato alla tragedia della baia di Minamata del 1956: una fabbrica di fertilizzanti aveva versato abusivamente nelle acque marine grandi quantità di metilmercurio, uccidendo i pesci che a loro volta venivano mangiati dai pescatori, i quali di conseguenza si ammalavano di gravi forme tumorali.

I contenuti del film Nausicaa nella valle del vento può far riflettere anche sui risvolti positivi dell'energia nucleare. 
Noto molta disinformazione in Italia riguardo al nucleare. 
Se entro il 2050 vogliamo azzerare le emissioni nette di anidride carbonica,  dovremmo utilizzare una maggior quantità di energia elettrica, che potrebbe servire a riscaldare case e appartamenti oltre che alimentare le automobili, prodotta con emissioni molto basse o nulle.

Fare affidamento soltanto sulle fonti rinnovabili come ad esempio il fotovoltaico e l'eolico non è una decisione realistica perché si tratta di fonti stagionali e ne servirebbero quantità enormi, insieme con grandi impianti di accumulo per far fronte a molti giorni dell’anno con poco sole e poco vento e alla mancata produzione notturna. Inoltre, come ricorda la Commissione Europea, occorre considerare aspetti di geopolitica, dato che molte materie prime e anche diverse tecnologie per le rinnovabili sono di monopolio extra-Europeo.

Sarebbe meglio considerare la realizzazione delle centrali nucleari visto che hanno emissioni sei volte inferiori al fotovoltaico, generano elettricità in modo continuo e quindi non necessitano di sistemi di accumulo. 

Esiste una prova concreta che smonta i pregiudizi legati alla sicurezza delle centrali: il nucleare è impiegato in modo efficace in tutti i paesi più sviluppati del nostro pianeta con l'eccezione della Germania. Tra l'altro la Tassonomia Verde Europea considera il nucleare, al pari delle altre tecnologie a fonte rinnovabile, “privo di rischi significativi” in tutte le fasi della filiera e oltretutto anche idoneo alla decarbonizzazione.

SOMIGLIANZE CON "IL PORCO ROSSO":

Film contro le guerre e, soprattutto, contro il nazi-fascismo, anche nel Porco rosso è molto evidente la passione di Miyazaki per l'aviazione: Marco, il protagonista, esperto di aviazione, durante la prima guerra mondiale sperimenta la condizione di pre-morte e si risveglia con il volto sfigurato, identico al muso di un maiale.

Nel periodo tra le due guerre, Marco si ritira sulla costa dalmata dove con un idrovolante combatte contro i pirati dell'aria, figure presenti anche qui.

CONFRONTO CON "LA PRINCIPESSA MONONOKE":

Lo ritengo il miglior film di Hayao Miyazaki. L'animazione è fatta soltanto di fotogrammi disegnati a mano.

Il periodo storico a cui si riferisce è l'era Muromachi, nel Giappone del Cinquecento.

Anche qui i protagonisti sono un ragazzo e una ragazza. La protagonista femminile è Mononoke, ragazza allevata dai lupi che nutre astio e avversione per gli umani.

La figura maschile principale è Ashitaka, guerriero del popolo degli Emishi, che, durante una battaglia per difendere il suo villaggio, viene infettato da un cinghiale furioso e indemoniato. 

Si dirige allora verso Ovest in cerca di una cura. Come nell'Odissea Ulisse aveva l'obiettivo di ritornare ad Itaca, anche il viaggio di Ashitaka ha come fine il riscatto dell'umanità dalla colpa di sfruttare eccessivamente la natura e di uccidere gli animali.

Durante il suo viaggio, il guerriero si imbatte in conflitti: uno tra gli animali e gli dei della foresta, l'altro tra gli abitanti della Città del Ferro e le divinità della foresta: Eboshi, regina della città, vuole uccidere il dio Cervo per costruire miniere e demolire gli alberi. 

Tuttavia, la sovrana non è del tutto negativa, dal momento che desidera l'emancipazione femminile: le donne della Città del Ferro lavorano e cooperano tra di loro nelle fabbriche, non dipendono dai padri o dai mariti. Inoltre, i lebbrosi trovano accoglienza nella Città del Ferro proprio grazie alla regina.

Il regista si serve di Eboshi per trasmettere un monito agli spettatori: da secoli la scienza e la tecnologia sono impiegate dagli umani per ottenere maggior potere, per soddisfare l'avidità di denaro e per attuare la sopraffazione sulle specie animali e sugli alberi.

Diventa importantissimo trovare una conciliazione tra tecnologia ed ecologia, proprio come nel Castello nel cielo.

In questo film i personaggi sono molto espressivi mentre la natura è meravigliosa ma al contempo inaccessibile alla ragione umana, terrificante e vendicativa, oltre che molto più forte delle altre creature del film.