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20 dicembre 2024

Il rapporto uomo-ambiente nell'Ode di Parini "La salubrità dell'aria"

L'ode intitolata La salubrità dell'aria è stata composta da Parini intorno al 1760. Si tratta di un componimento celebre sia per l'impegno civile che manifesta sia per la presenza di un lessico molto variegato, in cui il classicismo si mescola con termini tecnici.

Ho pensato fosse un componimento opportuno da inserire per quel che concerne il rapporto uomo-natura dal momento che il messaggio ecologico è, a mio avviso, particolarmente evidente.

Prendo in esame soltanto le parti dell'ode che ritengo più significative:

vv.7-12:

  1. Già nel polmon capace
  2. urta sé stesso e scende
  3. quest’etere vivace,
  4. che gli egri spirti accende,
  5. e le forze rintegra,
  6. e l’animo rallegra.

In questi versi, l'aria pulita e vivificante riempie i polmoni che si dilatano, rinvigorisce gli animi debilitati dalla vita cittadina.

A quale luogo naturale si riferisce Parini?  

L'ode inizia con i seguenti versi: "Oh beato terreno/del vago Eupili mio". Eupili è per l'appunto il nome latino del lago di Pusiano, in Brianza, vicino al quale si trova il paese di Bosisio, luogo natale dell'autore.

vv.13-24:

Attenzione, però! Quest'ode non è una decantazione del paesaggio agreste.

  1. Però ch’austro scortese
  2. quì suoi vapor non mena:
  3. e guarda il bel paese
  4. alta di monti schiena,
  5. cui sormontar non vale
  6. borea con rigid’ale.
  7. Né quì giaccion paludi,
  8. che dall’impuro letto
  9. mandino a i capi ignudi
  10. nuvol di morbi infetto:
  11. e il meriggio a’ bei colli
  12. asciuga i dorsi molli.

L'austro è lo scirocco, definito "scortese" dal momento che è fastidioso e umido. Tuttavia, questo vento non raggiunge il lago di Pusiano, protetto da alte montagne che nemmeno la fredda bora riesce ad oltrepassare. 

Nei dintorni di Bosisio non ci sono paludi stagnanti che dalle loro acque ("impuro letto") emanano un vapore infetto (il poeta fa un'allusione alla malaria). 

vv.25-36:

  1. Pèra colui che primo
  2. a le triste ozïose
  3. acque e al fetido limo 
  4. la mia cittade espose;
  5. e per lucro ebbe a vile
  6. la salute civile.
  7. Certo colui del fiume
  8. di Stige ora s’impaccia
  9. tra l’orribil bitume,
  10. onde alzando la faccia
  11. bestemmia il fango e l’acque,
  12. che radunar gli piacque.

"Pèra" è un'espressione generica di maledizione, non così rara nei componimenti di Parini. Significa: "Sia dannato...".

Il poeta inizia qui a introdurre, in contrasto con l'aria pulita e sana dei paesini in riva al lago, le pessime e malsane condizioni igieniche dei quartieri della Milano del suo tempo. 

Non si fa riguardi a disapprovare e a condannare aspramente la politica di chi ha esposto la città di Milano al pericolo delle acque maleodoranti ("triste oziose acque") delle risaie marcite e, per fame di denaro, non ha considerato la vitale importanza del benessere dei cittadini.

Tuttavia, anche i politici colpevoli di non aver preso provvedimenti di tutela della salute pubblica, si trovano a dover respirare l'odore di questo fango bituminoso, paragonato alla palude infernale dello Stige.

Tenete presente, come accennavo prima, l'intelligente intreccio tra un lessico aulico caratterizzato in qualche caso da latinismi ("etere vivace", "egri spirti", "rigid'ale") con un lessico molto realistico ("nuvol di morbi infetto", "orribil bitume"). 

Ho evidenziato solo in questi versi alcune espressioni, anche se la convivenza di differenti registri lessicali permane per tutta la poesia.

La salubrità dell'aria mi ha richiamato alla mente alcune brevi liriche dello Zanzotto maturo, contenute nella sua raccolta intitolata "Sovrimpressioni" e tutte quante incluse nella sezione denominata "Verso i Palù minacciati di estinzione"

I Palù erano zone acquitrinose che, già in epoca medievale, erano state trasformate in scacchiere di prati circondati da alberi e da acqua corrente. 

Ma, alla fine del secolo scorso, l'espansione delle industrie e dell'edilizia, insieme alla decisione di ampliare la rete stradale, ha minacciato l'esistenza dei Palù. 

Ecco dunque che ritengo utile riportare un componimento dal finale molto significativo:

Specchi del Lete
qui riposanti in se stessi
tra mille fratelli e sorelle,
specchi del verde
ad accoglierli attenti
fino a disfarsi in scintille
a crescere in cerchi d’arborescenze
per tocchi
di venti,
di trepidi occhi.

– Pan, dove sei?
– Sì.

Il fiume Lete è il fiume dell'oblio. (Nemmeno qui mancano termini riconducibili al mondo classico greco-romano).

Ma notate gli ultimi due versi: quel "sì" del dio Pan, divinità greca da sempre legata al mondo agreste, equivale ad un "sopravvivo".

vv.67-78:

  1. Ben larga ancor natura
  2. fu a la città superba
  3. di cielo e d’aria pura:
  4. ma chi i bei doni or serba
  5. fra il lusso e l’avarizia 
  6. e la stolta pigrizia?
  7. Ahi non bastò che intorno
  8. putridi stagni avesse;
  9. anzi a turbarne il giorno
  10. sotto a le mura stesse
  11. trasse gli scelerati
  12. rivi a marcir su i prati

Vorrei soffermarmi sulla critica del poeta ai milanesi, ai suoi occhi ignavi e indolenti di fronte all'enorme problema della città in cui vivono:

  1. ma chi i bei doni or serba
  2. fra il lusso e l’avarizia 
  3. e la stolta pigrizia?

La domanda rivela ai lettori la forte indignazione morale di un Parini molto attento all'impegno socio-politico nei confronti di una città definita superba dal momento che è ricca di storia e di monumenti.

"putridi stagni" sono proprio le risaie.

vv.97-108:

Quivi i lari plebei

Da le spregiate crete

D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;

Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti

Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!

Per "lari plebei" Parini intende le case dei poveri a Milano. 
Nella Roma arcaica, i Lari erano divinità protettrici delle case romane:

et nos Lases iuvate (x3)

neve lue rue Marmar sins incurrere in pleoris (x3) 

satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber (x3) 

semunis alterni advocapit conctos (x3) 

enos Marmor iuvato (x3)

triumpe! triumpe! triumpe! 

Questo appena riportato è il Carmen Arvale (V° sec. a.C?) , canto liturgico dei Fratres  Arvales che onoravano Cerere affinché assicurasse fertilità ai campi. 

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
empion l’estivo die.

I cadaveri degli animali, lungo le strade affollate, riempiono l'aria della città di odori tremendi e pestilenziali.

vv.109-120:

Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.

Gridan le leggi è vero;

E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?



"Nè a pena"= equivale all' ubi latino ("non appena"). 
Per "vaganti latrine" si intendono le cosiddette navazze stercorarie, che, con i coperchi sempre alzati, contrariamente a quanto stabilito dalle leggi, erano attive tutte le notti nelle città. 
Le leggi gridano... ma, in questo contesto, saranno sicuramente leggi molto simili alle "gride manzoniane", inefficaci, roboanti nella loro forma scritta e ignorate dai prepotenti.
Le disposizioni igienico-sanitarie esistevano e prevedevano sanzioni per i trasgressori. Tuttavia l'egoismo e l'indifferenza dei politici e dei cittadini ("inerzia privata")  prevalgono sul senso civico. 


Non è forse così anche ai nostri giorni?

L'ode è scritta nell'italiano letterario del Settecento, motivo per cui riporto qui alcune parole che "ho tradotto" nell'italiano contemporaneo.


L'ultimo sabato di novembre io e Matthias siamo stati a Desenzano e abbiamo visitato una mostra d'arte contemporanea all'interno del castello della cittadina.
Ricordo di essere passata subito nella stanza con dipinti e fotografie collocati sulle pareti, volendo deliberatamente andare oltre ad un mucchio di immondizie che consideravo "l'ennesimo segnale di inciviltà dei miei connazionali, incapaci di tenere pulito e in ordine un luogo storico". 

Qualche minuto dopo Matthias si è avvicinato a me con un sorrisetto beffardo chiedendomi: "Da quando in qua non ti interessa l'arte contemporanea? Sei passata oltre, non ti sei neanche fermata un secondo per capire il significato dell'opera che c'era prima in un angolo". 
Sono caduta dalle nuvole: "Ah, era un'opera?".

Sì. Un'opera d'arte del 2014, molto eloquente, il cui titolo è "La natura ha sempre ragione", perché trova il modo di riprendersi i suoi spazi. Perché nonostante odio, guerre, inquinamento, la bellezza continua ad esistere, anche nelle sue forme più semplici.


Riporto altri miei scatti fotografici della mostra che rimandano al tema ecologico, sperando attirino la vostra attenzione e curiosità:





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