A) INCIPIT E MESSAGGIO FONDAMENTALE DEL TESTO:
«Che fai?» mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
«Niente» le risposi, «mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.»
Mia moglie sorrise e disse: «Credevo ti guardassi da che parte ti pende.» Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: «Mi pende? A me? Il naso?» E mia moglie, placidamente: «Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.»
Il protagonista è il ventottenne Vitangelo Moscarda. Il romanzo inizia proprio così: Vitangelo si trova davanti ad uno specchio e, una banale osservazione della moglie Dida a proposito del suo naso, lo fa sprofondare in un'angosciosa crisi esistenziale dal momento che prende coscienza di alcuni aspetti scomodi:
-Gli altri vedono in lui difetti e caratteristiche di cui lui stesso non ha coscienza.
-L'identità umana è indefinita: siamo uno, dal momento che ognuno di noi ha di sé una determinata percezione, centomila, visto che le persone con cui entriamo in relazione ci vedono in modi diversi l'una dall'altra e al contempo non siamo nessuno, perché l'io umano è frammentato in molte maschere nelle quali non riesce a riconoscersi.
Non sono del tutto d'accordo. È vero che la percezione che abbiamo di noi stessi si differenzia da quella degli altri ma non condivido quel "non riuscire a riconoscersi". L'identità individuale si definisce attraverso comportamenti, scelte, convinzioni, azioni, modi di reagire agli eventi. Per cui, alla fine, ognuno trova un proprio modo di essere che si evolve nel tempo, al di là del giudizio altrui.
Vorrei riportare un altro passaggio dell'opera in cui è evidente questa teoria pirandelliana che io invece condivido pienamente:
Non compresero, naturalmente, che cosa intendessi dire con quel "nessuno" cercato accanto a me; e credettero che con quell' "eccoci" mi riferissi anche a loro due, sicurissimi che lì dentro quel salotto fossimo ora in tre e non in nove; o piuttosto, in otto, visto che io-per me stesso- ormai non contavo più.
Voglio dire:
1. Dida com'era per sé;
2. Dida com'era per me;
3. Dida com'era per Quantorzo;
4. Quantorzo com'era per sé;
5. Quantorzo com'era per Dida;
6. Quantorzo com'era per me;
7. il caro Gengé di Dida*;
8. il caro Vitangelo di Quantorzo.
S'apparecchiava, in quel salotto, fra quegli otto che si credevano in tre, una bella conversazione.
*Dida ricorre spesso al soprannome "Gengé" rivolto al marito.
2.CONTENUTI TRAMA:
Vitangelo Moscarda è figlio di un ricco banchiere. A seguito dell'osservazione della moglie nella prima pagina del libro, il protagonista rimane coinvolto in una serie di ragionamenti tormentati (lo si potrebbe definire un loop da overthinker) che lo portano dapprima alla paranoia e poi alla follia.
Intendo dire che Moscarda inizia a compiere una serie di scelte e di azioni che, per gli altri, risultano irrazionali e incomprensibili, mentre invece per lui hanno uno scopo ben preciso: un esempio è quando Vitangelo si reca a casa di Marco Di Dio e della moglie Diamante, due clienti del padre, per inscenare uno sfratto dalla loro abitazione-catapecchia. Ma in un momento successivo, a sorpresa, Vitangelo dona loro una nuova casa.
In seguito, il protagonista ritira il proprio capitale dalla sua banca e questa decisione gli costa la separazione dalla moglie. Ecco dunque che il conflitto all'interno del suo io lo porta al conflitto con il mondo esterno.
3. LA FOLLIA DI VITANGELO:
Nell'ultima parte del romanzo la follìa sembra l'unica via di scampo dalle contraddizioni della vita, visto che porta Vitangelo all'emarginazione e al disprezzo sociale.
Nelle pagine conclusive, Moscarda rinuncia a risolvere il suo problema identitario-esistenziale chiudendosi in un ospizio.
4. ANALISI LESSICALE DEL ROMANZO:
Quest'opera di Pirandello ha un lessico variegato e composito, per questo non è di facile lettura nemmeno per chi ha avuto una formazione umanistico-letteraria. Sono in effetti presenti sia diversi latinismi, sia termini derivati dall'italiano letterario sia termini popolari.
Alcuni latinismi:
-mende= da "emendo, are" e cioè "correggere".
-requie= da "requiem", riposo.
-mirarmi= da "miro, mirare", cioè "ammirare".
-probità= da "probitas", "bontà".
-voluttà= da "voluptas", e quindi "piacere".
-malignazioni= dal tardo latino "malignare" ovvero "avere un'insinuazione maligna".
-sogliamo= da "soleo, solere", "essere solito".
-cattivarsi= da "capio", "conquistare, prendere".
-cilizio= da "cilicium", "tormento spirituale". (termine dell'italiano arcaico che sinceramente trovo ridicolo e infatti mi fa ridere).
-amenissimo= da "amoenus", "piacevole".
In questo romanzo sono inoltre da elencare ed evidenziare alcuni sostantivi che, nella forma plurale, hanno la desinenza latina della seconda coniugazione:
-varii
-consocii
-milionarii
-segretarii
Lessico dell'italiano letterario:
-braveggiando= "essere sicuri di sé".
-sporto= "battente di legno".
-infrontare= "incrociare".
-cangiamento= "cambiamento".
-cèntina= "trave di una tettoia".
-abbarbagliante= "abbagliante".
-brecciata= "strada ricoperta di ghiaia".
-verzica (voce arcaico-poetica)= "verdeggia".
-confitti= "conficcati".
-seguitava= "continuava".
-ventura= "destino".
-smusatina= "piccola smorfia".
-ambascia= "angoscia".
-diacciato= "vetro con disegni simili a cristalli di ghiaccio".
-alido= "arido e secco".
-smorendo= "impallidendo". Il verbo è stato utilizzato anche da Dante: "tanta dolcezza che 'l viso ne smore".
-arrangolìo= "respiro affannoso".
-ribattuta= "replica".
-biavi= "azzurri".
Lessico delle forme degli italiani popolari:
-lezzona= dall'italiano popolare toscano "donna sporca".
- lattime= sempre dal toscano, sta per "crosta lattea".
-landò= termine popolare milanese per "carrozza a doppio mantice sospesa su molle a quattro ruote".
-sbiobbo= dal toscano popolare, significa "rachitico".
- aombri= anche questa forma è presa dal toscano ed equivale ad "oscurare".
-gangheggiavo= dall'italiano popolare siciliano, significa "torcevo la bocca da un lato all'altro".
Sono inoltre da segnalare le forme:
-scoteva, anziché "scuoteva", secondo la monottongazione toscana.
- Il dimostrativo arcaico codesto che convive con "questo/quello".
5. RIFLESSIONI FINALI E GRANDE ATTUALITA' DEL LIBRO:
"Ciascuno vuole imporre agli altri quel mondo che ha dentro, come se fosse fuori, e che tutti debbano vederlo a suo modo e che gli altri non possano esservi se non come li vede lui".
Ed è grazie a questa citazione che entra in gioco un dialogo con Matthias di qualche mese fa quando, un sabato sera tardi, ritornavamo da una cena di compleanno di un amico comune.
Si tratta di una conversazione che ricordo molto bene per cui posso riportarvi le battute più o meno esatte come se vi trovaste di fronte ad un copione teatrale scritto:
M= Apprezzo le persone che dicono quello che pensano con decisione e che fanno notare i limiti e gli errori agli altri. Perché se quel che dicono è vero, aiutano gli altri a migliorare, se invece non è vero fanno riflettere, così la prossima volta si ha l'occasione di ribattere e di riscattarsi.
A= No, io detesto questo genere di persone. Con i loro modi da urlatori possono ferire. Non è segno di intelligenza dire sempre quel che si pensa senza filtri, anzi, è segnale di un pessimo carattere.
M= C'è chi è falso e chi invece dice esattamente quel che pensa.
A= Non è sempre o tutto bianco o tutto nero. Io non appartengo a nessuna di queste due categorie.
M= Anche se non sempre dici quello che pensi.
A= Non sono bugiarda o ipocrita.
M= Infatti non lo sei. Ma mi sono accorto che a volte non sempre quello che dici rispecchia le tue reali opinioni. A volte fai un'affermazione ma ti leggo in faccia che in realtà non sei convinta. Questo è molto diverso dalla falsità. Immagino che non appena ti avrò riaccompagnato a casa passerai la notte a pensarci e a "bastonarti", ma non ne vale la pena.
A= Non è possibile dire sempre quel che si pensa! Quando non sono d'accordo con quello che dicono gli altri, quando ho un'opinione o un'idea diversa, per evitare i conflitti visto che ho paura anche di quelli e ho paura di venire aggredita, piuttosto cerco di esprimermi come se volessi capire il punto di vista dell'altro. Non mi relaziono con gli altri per creare litigi o per contrastarli o per urlare loro contro. Per quel che è possibile evito di litigare, mi imbestialisco solo se qualcuno si rapporta a me con toni maleducati o arroganti o indisponenti. Questo è irrispettoso!
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