Isola è un romanzo (che ho adorato!) di ispirazione autobiografica nel quale passato e presente si alternano. Il tema centrale, ancora poco conosciuto e poco studiato in Europa, è il fenomeno dell'immigrazione di molti Faroesi in Danimarca, particolarmente frequente negli anni Trenta del scorso secolo.
Ad ogni modo, come accennavo poco fa, in questo libro vi sono continui scarti temporali: una parte dei capitoli viene dedicata ai momenti in cui l'autrice racconta la storia dei nonni da giovani, altri passaggi del libro si concentrano invece sui rapporti tra Siri Ranva, i genitori e i nonni.
L'autrice racconta non soltanto la storia della sua famiglia ma anche gli eventi più salienti della storia dei Paesi scandinavi.
Oltretutto, in alcune pagine, viene raccontata in modo semplice e sintetico la storia più recente dell'arcipelago delle Faroe, coinvolto sia nel secondo conflitto mondiale sia nelle dinamiche della guerra fredda.
1) INCIPIT ROMANZO:
Volge le spalle agli alberi bassi del bosco artificiale e guarda giù dalla montagna, verso il villaggio, che è azzurro nella notte d'agosto, e le pecore, simili a pietre nell'erba mossa dal vento. Più in là dorme il mare. Il fiordo di Vàg è calmo, l'azzurro si confonde con quello del cielo sull'orizzonte dritto, teso tra le terre emerse, un filo su cui possono camminare solo creature mitiche e fantasmi.
(...)
Da lassù il villaggio sembra piccolo. Le case dormono rivolte verso il fiordo. I tetti mandano un lieve riflesso nell'azzurro antelucano, lucidi come testine di neonati. Il fiordo di Vàg è stretto e allungato, un budello d'acqua in mezzo ai monti, smangiucchiato a poco a poco dalla corrente del mare.
Sin da queste prime due pagine è riconoscibile la vena di prosa poetica dell'autrice-narratrice.
Il primo personaggio che la Jacobsen presenta è la nonna Marita, giovane sognatrice.
2) RIASSUNTO DELLE PRINCIPALI VICENDE:
Marita, durante il periodo in cui il fidanzato Fritz è assente dal momento che è emigrato dall'isola di Vàg prima di lei, ha un flirt con il falegname Ragnar, fratello di Fritz.
La conseguenza di questa relazione passeggera consiste in una gravidanza per Marita. Novant'anni fa, anche nei paesi del Nord Europa, era scandaloso mettere al mondo dei figli al di fuori dal matrimonio, soprattutto se concepiti con una persona diversa dal proprio promesso sposo.
Marita si trova costretta ad abortire durante il viaggio per mare verso la Danimarca.
A me è piaciuta molto la figura di Fritz: da ragazzo voleva diventare ingegnere per poter poi lavorare in una centrale idroelettrica ma, a causa dei costi elevati della scuola per ingegneri, il giovane si è trovato costretto ad intraprendere una strada diversa: frequentare un corso per diventare maestro elementare a Vordingberg, in Danimarca.
In tutto il libro è evidente l'affetto che la narratrice nutre ancora per i nonni materni scomparsi, chiamati "abbi" e "omma". Questo mi ha ricordato il fatto che Matthias chiama "omma" la nonna paterna, nata e cresciuta a Dusseldorf, nella Germania nord-occidentale.
Un'altra figura che mi ha colpita molto è la bellissima e sensibile prozia Beate che diviene moglie di Ragnar.
Ragnar e Beate divengono genitori di un ragazzo che fa carriera, diviene capo-macchinista e si trasferisce all'estero.
Rimasta prima vedova e poi senza il suo unico figlio, morto in Africa a causa di un incidente di lavoro, da anziana Beate soffre un'inconsolabile e disperata solitudine. Per un po' ha soltanto la compagnia di un gabbiano appollaiato spesso sul tetto della sua casa vuota:
A poco a poco, il gabbiano si sistemò a meraviglia. Beate gli costruì una specie di terrazza fissando un vassoio di terracotta a un palo della recinzione proprio accanto al cancelletto del giardino. Lì il gabbiano si vedeva servire ogni giorno avanzi e latte.
Tuttavia, dopo il funerale del figlio, Beate decide di distruggere il nido del gabbiano:
Finito il rinfresco funebre, Beate ritornò a casa. Prese la sega nella rimessa e si precipitò verso la terrazza del gabbiano. Segò il vassoio di terracotta dal palo e lo spaccò contro il muro, lasciando i cocci per terra.
Come se il gabbiano per Beate fosse una "metafora del figlio"...
3) LE GENERAZIONI DEGLI IMMIGRATI:
Siri Ranva Jacobsen ci consegna una riflessione significativa a questo proposito. Riporto i passaggi più importanti:
La migrazione si compie in tre generazioni. La prima avverte il bisogno e sente dentro di sé la volontà, l'ostinazione: una pietra pesante che si sposta con le proprie forze. L'incomprensibile in questo. Si sbarca da qualche parte, o si prende una nave da una colonia, si arrotola la rete di radici attorno alle caviglie e si comincia a sgobbare a testa bassa. Si vive in baracche da sfollati, nei campi, sotto i ponti, oppure si ha la fortuna di avere uno zio. Se i soldi bastano, si torna a casa con i vestiti ancora buoni, i bambini in camicia bianca, pettinati con l'acqua.
La generazione successiva forse sta a gambe divaricate sulla distanza, finché qualcosa si incrina e si sente doppiamente sbagliata, senza nessuna lingua, doppiamente sola. Oppure corre veloce il doppio, espande l'attività, versa l'anticipo per il garage, si laurea in medicina.
Poi arriva la terza. Il frutto di tutto il processo. Perché accontentarsi di fare i medici, o gli avvocati, quando si può diventare drammaturghi? O suonatori di fagotto? Geologi. La terza generazione può permettersi lavori poco lucrativi, deve esprimere la propria interiorità, trasportare anche di qua lo spirito, credendo che sia questa la realizzazione di sé. Le radici trepidano e frugano. Portano particelle morte di un'altra terra. La terza generazione è una coperta troppo corta: è totalmente disinvolta e libera da condizionamenti culturali oppure è a casa solo per metà, padroneggia a metà la lingua, si costruisce un'identità nel solco dell'aratro sulla roccia...
Molti migranti della prima generazione, poveri in canna quando partono, considerano lo stato nel quale immigrano una residenza temporanea nella quale vivere, il più dignitosamente possibile, per un po' di tempo o comunque per alcuni anni al fine di rientrare nel paese d'origine arricchiti e più evoluti.
Una volta diventati adulti e autonomi i loro figli, Fritz e Marita sono ritornati nelle Faroe, non sono rimasti a vivere in Danimarca, paese che comunque ha dato loro una formazione culturale e professionale, considerando che nelle Faroe si viveva soprattutto di pesca, di allevamento e di falegnameria. In effetti Siri Ranva, da ragazza, si recava tutte le estati dai nonni a Vàg. Ad ogni modo la scrittrice afferma chiaramente che, soprattutto il nonno Fritz, amante peraltro dell'Odissea, in Danimarca sentiva una profonda nostalgia di casa.
La seconda generazione di migranti, dal momento che ha trascorso un'infanzia di sacrifici, ha come obiettivi principali quelli di lavorare e di costruirsi una carriera solida e sicura. Oltre a ciò hanno una ricchezza linguistica notevole che però può farli interrogare su quale possa essere la loro vera identità: a casa ci sono i genitori che parlano un determinato idioma e che sono portatori di tradizioni un po' differenti rispetto a quelle del paese in cui si vive. La madre dell'autrice è bilingue: parla e comprende perfettamente danese e faroese.
La terza generazione porta dentro di sé il senso di sradicamento, è immersa in un'epoca globalizzata, magari sa parlare più di due lingue, vive una quotidianità in cui è sempre presente il riverbero della storia familiare. Magari questa ricerca di una precisa identità psico-sociale li fa sentire portati per la scrittura o per le varie forme d'arte.
4) EVENTI STORICI MENZIONATI O NARRATI IN QUESTO LIBRO:
- L'epidemia di poliomielite nel periodo post-bellico:
All'inizio del 1950 la prima grande epidemia di polio si diffuse subdolamente per tutti i territori del Regno danese e raggiunse anche Suduroy.
-La guerra di Kalmar, rievocata in un canto popolare faroese.
All'interno della narrazione è soltanto evocata ma l'ho approfondita nelle sue principali dinamiche. Si tratta di un conflitto combattuto dal regno danese contro la Svezia negli anni 1611-1613.
Carlo IX, sovrano svedese, aveva conquistato le terre Lapponi nel 1609 per poter riscuotere più tasse e per poter avere maggior controllo sul commercio nel Mare del Nord.
Cristiano IV° di Danimarca, sentendosi minacciato oltre che coinvolto in una dura competizione economico-commerciale, aveva invaso militarmente il Regno di Svezia nel gennaio 1611. Tenete presente che nel XVII° secolo il Regno di Danimarca comprendeva anche la Norvegia e i norvegesi avevano avuto l'ordine, da parte del re Cristiano IV°, di non intervenire. Cristiano IV° in effetti temeva che la Norvegia potesse iniziare a coltivare desideri di indipendenza dalla Danimarca.
Nel maggio 1611 le truppe danesi avevano conquistato la fortezza di Kalmar, cittadina a sud della Svezia, luogo particolarmente strategico per i traffici commerciali e portuali.
E' importante inoltre considerare che, in questo conflitto, il Regno Unito è stato dapprima sostenitore degli svedesi e poi mediatore, in un trattato di pace stipulato a Knared nel 1613 nel quale si stabiliva che ai danesi venisse concesso il territorio della Lapponia, incorporato nel regno. Tuttavia gli svedesi acquisivano il diritto di passare gratuitamente con le loro navi per il Kattegat, stretto tra la Svezia del sud e la Danimarca, senza dover versare dazi o imposte, concessione che non avevano mai avuto prima del 1613.
5) SIRI RANVA JACOBSEN:
Isola è il suo primo romanzo, molto apprezzato dalla critica danese e svedese che hanno riconosciuto l'inclinazione alle descrizioni poetiche di questa scrittrice, paragonata ad alcuni poeti nordici quali Jon Fosse e William Heinesen.
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