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17 aprile 2025

Il libro di Giona:

7) LETTURE BIBLICHE IN OCCASIONE DELLA PASQUA IN ARRIVO.

Tra l'autunno e l'inverno, un amico storico di mia mamma, insegnante di filosofia in pensione, ha tenuto un breve ciclo di conferenze mensili relative ora a vicende tratte dalla mitologia classica, ora ad episodi biblici. Lo scopo principale di questi incontri era collegare molti aspetti appartenenti alle discipline umanistiche per dimostrare come ad esempio il sacrificio di Isacco o il Prometeo Incatenato di Eschilo siano "eterni", "intramontabili", attuali se li si studia in profondità. 
Noi umanisti tendiamo a scorgere, attraverso un'analisi critica, "l'eternità" in ciò che è antico.

Purtroppo ho perso questa conferenza su Giona causa "febbriciattola" e cefalea martellante. Era metà gennaio. Alla fine sarei dovuta andare con i miei a cena a casa del brillante relatore.

Non saprei individuare parallelismi di tipo filosofico ma, a mio modo di vedere, risulta possibile anche una lettura di tipo artistico-letteraria del libro di Giona. 

1,1-16: GIONA: UN PROFETA DISOBBEDIENTE?

"Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore:«Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me». Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore."

Dio invia Giona a Ninive, capitale dell'antica Assiria, città abitata da popoli pagani.

Tuttavia, il profeta si mette invece in viaggio in direzione opposta, per raggiungere Tarsis, una probabile città portuale del Mediterraneo Occidentale.

Giona si rifugia nel luogo più basso della nave e si addormenta profondamente. Quando si scatena una tempesta che spaventa i marinai a bordo dell'imbarcazione, il capitano dell'equipaggio sveglia Giona:

"Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cosa fai così addormentato? Àlzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo».
Quindi dissero fra di loro: «Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: «Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?». Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra». Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato.
Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia».
Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere». Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia."

Mi soffermo per alcuni minuti su un affresco che si trova nella catacomba dei Santi Marcellino e Pietro a Roma, all'interno del Mausoleo di Elena:


Giona viene gettato in mare e il pesce a destra con la bocca spalancata sta per inghiottirlo. Lo sfondo è bianco... il tempo ha forse cancellato il colore? In primo piano spicca una nave polireme, sviluppate già nel periodo ellenistico all'epoca dei diadochi. La vela risulta stilizzata ed essenziale.

Ad ogni modo, si tratta di una raffigurazione non realistica e non tridimensionale che non trasmette la sensazione di un dramma: le figure umane hanno una pelle scura, direi quasi bronzea, e l'azzurro pallido del mare non indica un elemento naturale soggetto alla tempesta; infatti un marinaio tocca le acque con i piedi.

2,1-11: GIONA INGHIOTTITO DAL PESCE:

"Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti."

Giona viene inghiottito da un grosso pesce. Non da una balena. Vi rimane per tre giorni e tre notti e, al suo interno, Giona prega Dio.

"Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare,
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
Io dicevo: “Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio”.
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l’abisso mi ha avvolto,
l’alga si è avvinta al mio capo."

Riporto un estratto di un commento biblico a proposito del capitolo 2:

"Nel ventre del pesce Giona rimane tre giorni e tre notti, un'espressione che si usa nella scrittura per descrivere l'inizio di un'esperienza spirituale, l'avvento di un'opportunità o semplicemente per indicare qualcosa di nuovo. (...) Nella preghiera, Giona descrive la sua esperienza negativa, aggiungendo ogni volta un elemento nuovo. Ad esempio, nel verso 3, si menziona lo sheol, il luogo dei morti (...), riferimento utilizzato per comporre una preghiera in cui si descrive il passaggio da una speranza disperata ad una speranza restaurata..."

La permanenza del profeta all'interno del pesce mi fa pensare alla vicenda di Gesù dato che rimanda al silenzio e all'attesa speranzosa che pervade il sabato santo cristiano.

In seguito, il grande pesce rigetta il profeta sulla spiaggia.

Durante la lettura di questo secondo capitolo, ho pensato inevitabilmente a Pinocchio: a seguito dell'esperienza nel paese dei Balocchi, diventato un asino circense e azzoppatosi dopo un'esibizione, il protagonista del celeberrimo libro di Collodi viene gettato in mare e qui i pesci divorano la sua pelle. Ritornato burattino, Pinocchio viene inghiottito da un enorme pescecane e, all'interno del corpo dell'animale, incontra il suo creatore Geppetto.

In questo caso, io interpreto il pescecane come un simbolo di caos, di mancanza di una direzione chiara di vita... siamo infatti in un momento del romanzo in cui sia Geppetto sia Pinocchio hanno perduto uno scopo nella loro esistenza: il primo si è ritrovato senza la sua miglior creazione, il secondo ha invece smarrito se stesso fino a perdere la propria libertà e dignità.

Per Giona, come per Pinocchio, la permanenza nell'enorme pesce può quindi essere stata un'esperienza formativa?

Per Giona sicuramente sì, dato che comprende di essere strumento di Dio, ma direi anche per il burattino di legno che, divenuta una creaturina di buon senso, riprende a studiare e al contempo decide di lavorare per sostenere le spese dell'umile Geppetto.

Oltre a Pinocchio, vorrei richiamare anche ad un punto della narrazione della Storia vera di Luciano di Samòsata, romanzo greco del 180 d.C. Si tratta di un'avventura di Luciano, protagonista e narratore, attraverso il mare, intrapresa sostanzialmente per una gran voglia di esperienze. Si imbarca con altri 50 compagni e, nell'ottavo giorno del viaggio, raggiungono la luna venendo a contatto con i Seleniti, popolo particolare che si nutre d'aria e che non conosce la morte, ma soltanto la dissoluzione. In seguito, quando la nave di Luciano e compagni tocca di nuovo le onde del mare, gli uomini vengono inghiottiti da una mega balena, al cui interno vi sono anche molti altri uomini costretti a relazionarsi tra loro anche in modo conflittuale. 

Nella Storia Vera, l'interno della balena è un luogo prevalentemente buio, con molte scorte di cibo, è vero, ma anche pieno di relitti e di resti umani. 

Solo quando il pescione apre la bocca i personaggi riescono a vedere nitidamente colline e monti al su interno. 

Ho tradotto dal greco antico alcuni passi inclusi in quest'opera di Luciano di Samosata. La mia traduzione relativa all'esperienza di Luciano e amici nel ventre della balena è molto letterale, ma eccovela:

Quando fummo all'interno della balena, dapprima era buio e non vedevamo nulla; più tardi, dopo che ebbe aperto la bocca, vedemmo una grande caverna e larga per ogni verso, abbastanza grande da contenere una città di 10000 abitanti. Al centro si trovavano piccoli pesci e molti altri animali resi indistinti, vele di navi e ancore, ossa di uomini e merci, nel mezzo c'erano una terra e colline; a mio parere la terra era stata condensata dal fango assorbito. Sopra di essa erano cresciuti alberi di ogni genere, i fiori erano germogliati e tutte le erbe sembravano coltivate; il perimetro del terreno misurava 240 stadi. Ci sembrava di vedere uccelli marini, gabbiani e alcioni che nidificavano sugli alberi.

Certamente abbiamo pianto molto ma in seguito, dal momento che i miei compagni si lamentavano, abbiamo puntellato la nave e dopo aver sfregato dei pezzi di legno per il fuoco, e avendolo acceso, abbiamo preparato il pranzo con quello che avevamo a disposizione. C'era abbondanza di tutti i tipi di pesce e di carni e avevamo ancora l'acqua proveniente da Espero. In giorno seguente, dopo che ci eravamo alzati, se qualche volta la balena apriva la bocca, vedevamo ora monti, ora soltanto il cielo, spesso anche delle isole, e infatti ci siamo accorti che l'animale stava nuotando a tutta velocità per il mare.

Luciano e compagni escono dal corpo della balena dopo un anno e ott mesi.

La permanenza all'interno della balena può costituire un richiamo all'importanza di accettare la morte? Nell'antichità, cibo e oggetti erano elementi che accompagnavano il defunto nell'aldilà...

3, 1-10: GIONA E I NINIVITI:

"Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore."

Dio ri-affida la missione a Giona e stavolta il profeta gli dà ascolto.

"Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta»."

L'ultima frase pronunciata dal profeta costituisce un mònito che comporta l'immediato e inaspettato cambiamento di comportamento dei Niniviti. E così Dio rinuncia a punire questo popolo, constatandone il sincero pentimento.

A questo proposito vorrei richiamare l'attenzione ad un rilievo marmoreo della seconda metà del XIII° secolo, raffigurante la predicazione di Giona ai Niniviti:


A sinistra si scorgono una porta merlata con edifici, prevalentemente le torri cittadine, e un busto femminile.
A destra invece Giona è rappresentato a figura intera, sproporzionato, gigantesco rispetto ai Niniviti, e questo per dargli importanza. 

Alle spalle del profeta c'è un albero sul quale appare una testa di serpente che richiama al peccato, all'arroganza umana, antichissima e mai tramontata, basata sulla pretesa di voler assomigliare a Dio.

4, 1-11: GIONA INDIGNATO:

Ma Giona è contento dei risultati ottenuti? Non direi: prova sdegno nei confronti della misericordia di Dio verso Ninive.

"Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».
Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.


Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere».
Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?»."

La simbologia del ricino di cui qui si parla è paragonabile a quella della rosa della famosa ballata di Poliziano: "mentre è più fiorita/cogliàm la bella rosa del giardino".

Il ricino e la rosa durano un giorno! Questo significa che l'uomo è attento all'effimero e forse, troppo fragile per poter abbracciare l'Eterno?

Al di là di Poliziano, penso anche ad un passo della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso: nel giardino di Armida un pappagallo elogia la rosa, riconducibile alla vanità della vita:

"Così trapassa al trapassar d'un giorno

de la vita mortale il fiore e 'l verde

né perché faccia indietro april ritorno

si rinfiora ella mai, né si rinverde.

Cogliàm la rosa in sul mattin adorno

di questo dì che tosto il seren perde."


Tengo molto a proporre anche un doveroso rimando, inerente alla caducità della condizione umana, ad alcuni versi di Omnis mundi creatura, una poesia di Alano di Lilla, autore appartenente alla letteratura latina medievale:

"Nostrum statum pingit rosa/ nostri status decens glosa,/nostrae vitae lectio;/quae dum primo mane floret/defloratus flos effloret/vespertino senio./ Ergo spirans flosexspirat,/ in pallorem dum delirat/oriendo moriens;/simul vetus et novella,/ simul senex et puella/rosa marcet oriens."

"La rosa dipinge la nostra condizione,/del nostro stato è un emblema adatto,/è una lezione per la nostra vita;/ mentre fiorisce di primo mattino/ sfiorisce come fiore senza petali/nella vecchiaia della sera./ Per questo il fiore respirando spira/mentre appassisce impallidendo/già morente alla nascita/ insieme antica e nuova,/ insieme vecchia e fanciulla/la rosa marcisce sbocciando."


Che profeta anomalo... è ai limiti del ridicolo: prima disobbedisce a Dio andando da tutt'altra parte, poi, durante una tempesta, dorme profondamente, mentre gli altri marinai, pagani, pregano i loro dèi con grande angoscia. 
Dopo l'esperienza all'interno della balena, finalmente Giona va a Ninive, ma non è che si impegni proprio così tanto nella sua predicazione, più che altro, io direi che fa del terrorismo psicologico ("Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!") limitandosi a camminare per un solo giorno nelle vie di Ninive, quando invece, per percorrere l'intera città, sono necessari tre giorni. Quindi questa frase minacciosa di Giona arriva a circa un terzo dei Niniviti e solo questo basta per far breccia in loro?
Un volta che a Ninive i cittadini cambiano stile di vita, Giona si indigna dato che Dio ha mostrato misericordia verso di loro e si rattrista dopo che, la pianta di ricino germogliata per ombra alla sua capanna, si secca.
Devo ammettere che stupisce la pazienza di Dio nei confronti di Giona... mai una volta che lo rimproveri o gli dica qualcosa come: "Tu mi hai disobbedito!" oppure "Sei stupido, ti indigni perché ho avuto misericordia".
Eppure, il libro di Giona, comprende una serie di tematiche attuali e vive, in ogni tempo e per ognuno di noi: la ricerca di se stessi, i rapporti umani, la tendenza a mal giudicare gli altri, l'attaccamento all'effimero.
In ognuno di noi c'è una parte che richiama al comportamento di Giona.
Per questo, i  fin dei conti, Giona mi è simpatico!
Faccio infine una premessa a voi utile per il post che uscirà sabato 19: poco più di due mesi fa ho visto per l'ultima volta la mia nonna paterna intubata in ospedale. L'unica nonna che mi era rimasta viva e che era arrivata ai 93 anni bella e sana. Nel corso di quella giornata ero nervosa, incredibilmente arrabbiata e abbastanza assente, non predisposta all'ascolto come mio solito. 
La domanda che rimbombava nella mente era questa: per quali motivi una donna così mite come la nonna Teresa doveva soffrire in quel modo?
Poi, verso sera, ero diventata una fontana di lacrime. Quasi istintivamente ho aperto le pagine di un libro che Matthias mi aveva ceduto in prestito alcune settimane prima: "Le cipolle di Marta".
Non lo avevo mai aperto fino a quel momento, un po' prevenuta per il fatto che il suo autore, Alberto Maggi, è un frate e, per quel che concerne la mia esperienza personale, gli atteggiamenti, le catechesi e i comportamenti dei frati non mi sono mai particolarmente piaciuti.
Quella sera l'ho iniziato e, leggendo il commento di questo biblista al passo di Matteo 6, 28-34, ho iniziato a sentirmi meglio e, per quella sera, Matthias, l'evangelista Matteo e le spiegazioni di Alberto Maggi "mi hanno salvata" sia dall'arrabbiatura, sia dal dolore, sia dal timore per il futuro. Solo per alcune ore, ma lo hanno fatto.

Per cui consiglierei Le cipolle di Marta come lettura.

 

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