Eccovi il miglior racconto di Pirandello che abbia mai letto.
Ve lo commento citando le parti più importanti e più significative.
A) INCIPIT RACCONTO:
I picconieri, quella sera, volevano smettere di lavorare senz'aver finito d'estrarre le tante casse di zolfo che bisognavano il giorno appresso a caricar la calcara. Cacciagallina, il soprastante, s'affierò contr'essi, con la rivoltella in pugno, davanti la buca della Cace, per impedire che ne uscissero.
- Corpo di... sangue di... indietro tutti, giù tutti di nuovo alle cave, a buttar sangue fino all'alba, o faccio fuoco!
-Bum! - fece uno dal fondo della buca. - Bum! - echeggiarono parecchi altri; e con risa e bestemmie e urli di scherno fecero impeto, e chi dando una gomitata, chi una spallata, passarono tutti, meno uno.
Chi? Zi' Scarda, si sa, quel povero cieco d'un occhio, sul quale Cacciagallina poteva fare bene il gradasso.
L'autore presenta ai lettori un contesto lavorativo di tremendo sfruttamento e di schiavismo assolutamente indifferente per le condizioni di salute dei lavoratori.
Purtroppo, ai giorni nostri, il lavoro in miniera esiste ancora: basti ricordare quelle decine di migliaia di bambini che lavorano nelle miniere di cobalto in Congo.
D'altronde, gli immigrati che, per un determinato periodo di tempo, si trovano a soggiornare nel nostro paese, sono soggetti più degli autoctoni a queste forme disumane di lavoro, soprattutto nelle campagne. In Veneto alcuni imprenditori agricoli danno un salario di 4 euro l'ora agli stranieri: queste sono paghe che non rispecchiano né la quantità di ore giornaliere dedicate all'impiego né rendono giustizia alla fatica delle mansioni.
Vergognoso, per un paese europeo pieno di risorse come il nostro, è stato anche il caso di Satnam Singh, trentunenne indiano che lavorava in nero nei campi e che, a seguito di un incidente con un macchinario che gli ha amputato il braccio, è stato abbandonato sul ciglio della strada dal datore di lavoro, persona non solo inadeguata di ricoprire quel ruolo ma anche indegna di essere considerato parte della specie umana.
Quell'imprenditore non è un uomo, è molto più crudele di una bestia, per lasciar morire dissanguato un uomo nel fiore degli anni!
Quando Satnam è morto aveva la stessa età di Matthias.
Del resto, aveva anche lui (Zi Scarda), a sua volta, sotto di sé qualcuno più debole, sul quale rifarsi più tardi: Ciàula, il suo caruso.
Il vero protagonista del racconto compare come un oppresso.
Nelle dure facce quasi spente dal bujo crudo delle cave sotterranee, nel corpo sfiancato dalla fatica quotidiana, nelle vesti strappate, avevano il livido squallore di quelle terre senza un filo d'erba, sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai.
Pirandello si dimostra molto abile e molto incisivo nel delineare, agli occhi dei lettori, l'aspetto di chi lavora nelle miniere siciliane.
(...) zi' Scarda, quando, quattr'anni addietro, gli era morto l'unico figliolo, per lo scoppio d'una mina, lasciandogli sette orfanelli e la nuora da mantenere. Tuttora gliene veniva giù qualcuna più salata delle altre (lacrima); ed egli la riconosceva subito: scoteva il capo, allora, e mormorava un nome: - Calicchio.
In considerazione di Calicchio morto, e anche dell'occhio perduto per lo scoppio della stessa mina, lo tenevano ancora lì a lavorare.
L'autore racconta con poche frasi la tragedia che ha segnato la vita di Zi' Scarda per due traumi: la morte del figlio e la perdita di un occhio.
Tuttavia: siamo proprio sicuri che Cacciagallina continui a "concedere gentilmente" il posto di lavoro a questa persona esclusivamente per un senso di compassione?
Gli incidenti mortali o invalidanti sul lavoro sono ancora un problema nel nostro secolo?
Direi di sì: al di là del settore minerario, in Veneto nel 2024 sono stati registrati quasi ottanta decessi sul lavoro. Verona risulta la provincia con il più alto numero: il settore più a rischio riguarda le attività di manifattura.
Quando Cacciagallina alla fine lo lasciò per correre dietro agli altri e indurre con le buone maniere qualcuno a far nottata, zi' Scarda lo pregò di mandare almeno a casa uno di quelli che ritornavano al paese, ad avvertire che egli rimaneva alla zolfara e che perciò non lo aspettassero e non stessero in pensiero per lui; poi si volse attorno a chiamare il suo caruso, che aveva più di trent'anni (e poteva averne anche sette o settanta, scemo com'era); e lo chiamò col verso con cui si chiamava le cornacchie ammaestrate (...)
In questo passaggio, Pirandello inizia un focus descrittivo su Ciàula, che continua:
(...) (Ciàula) indossava sul torace nudo, in cui si potevano contare a una a una tutte le costole, un panciotto bello largo e lungo, avuto in elemosina, che doveva essere stato un tempo elegantissimo e sopraffino (ora il luridume vi aveva fatto una tal roccia, che a posarlo per terra stava ritto). Con somma cura Ciàula ne affibbiava i sei bottoni, tre dei quali ciondolavano, e poi se lo mirava addosso, passandoci sopra le mani, perché veramente ancora lo stimava superiore a' suoi meriti: una galanteria. Le gambe nude, misere e sbilenche, durante quell'ammirazione, gli si accapponavano, illividite dal freddo. Se qualcuno dei compagni gli dava uno spintone e gli allungava un calcio, gridandogli: - Quanto sei bello! - egli apriva fino alle orecchie ad ansa la bocca sdentata a un riso di soddisfazione, poi infilava i calzoni, che avevano più d'una finestra aperta sulle natiche e sui ginocchi: s'avvolgeva in un cappottello d'albagio tutto rappezzato, e, scalzo, imitando meravigliosamente a ogni passo il verso della cornacchia -cràh! cràh! - (per cui lo avevano soprannominato Ciàula), s'avviava al paese.
Quindi oltre ad ipotizzare l'età del personaggio principale (molto simile a quella di Satnam Singh), il narratore ci fornisce dettagli sul suo abbigliamento e sul suo fisico, oltre a chiarire il motivo per il singolare soprannome Ciàula.
- Rimettiti il sacco e la camicia. Oggi per noi il Signore fa notte.
Odio quando il Signore viene nominato invano!
Ma proseguiamo con le citazioni e i commenti:
Se non fosse stato per la stanchezza e per il bisogno del sonno, lavorare anche di notte non sarebbe stato niente, perché laggiù, tanto, era sempre notte lo stesso.
Cosa strana: della tenebra fangosa delle profonde caverne, ove dietro ogni svolto stava in agguato la morte, Ciàula non aveva paura, né paura delle ombre mostruose, che qualche lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie, né del subito guizzare di qualche riflesso rossastro qua e là in una pozza, in uno stagno d'acqua sulfurea: sapeva sempre dov'era; toccava con la mano in cerca di sostegno le viscere della montagna: e ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno.
Ciàula, come d'altronde i suoi compagni di fatiche, è assuefatto ad una vita alienante e sempre in penombra, alla quale, finora, sembra essere precluso qualsiasi contatto con la bellezza.
Ogni sera, terminato il lavoro, ritornava al paese con zi' Scarda; e là, appena finito d'ingozzare i resti della minestra, si buttava a dormire sul saccone di paglia per terra, come un cane; e invano i ragazzi, quei sette nipoti orfani del suo padrone, lo pestavano per tenerlo desto e ridere della sua sciocchezza; cadeva subito in un sonno di piombo, dal quale, ogni mattina, alla punta dell'alba, soleva riscuoterlo un noto piede.
Che vita infernale! Qui Pirandello, con altre informazioni, sta evidenziando la mancanza di un riconoscimento della dignità per Ciàula.
Queste frasi denunciano non soltanto una mancanza di rispetto ben diffusa nei confronti degli strati sociali più bassi ma anche l'ignoranza abissale che connota la gente del paese vicino alle miniere.
Siamo molto vicini ai maltrattamenti subiti quotidianamente dal Malpelo di Verga, anche lui minatore:
Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorchè se lo trovavano a tiro.
Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel suo pane di otto giorni, come fanno le bestie sue pari; e ciascuno gli diceva la sua motteggiandolo (...).
Ma torniamo al racconto di Pirandello.
In seguito, l'autore si sofferma un pochino sulla paura del buio di Ciàula:
(...) La paura lo aveva assalito, invece, nell'uscir dalla buca nella notte nera, vana. S'era messo a tremare, sperduto, con un brivido per ogni vago alito indistinto nel silenzio arcano che riempiva la sterminata vacuità, ove un brulichio infinito di stelle fitte, piccolissime, non riusciva a diffondere alcuna luce.
Il bujo, ove doveva essere lume, la solitudine delle cose che restavan lì con un loro aspetto cangiato e quasi irriconoscibile, quando più nessuno le vedeva, gli avevano messo in tale subbuglio l'anima smarrita, che Ciàula s'era all'improvviso lanciato in una corsa pazza, come se qualcuno lo avesse inseguito.
Per Ciàula il silenzio della notte è arcano dal momento che gli è indecifrabile e immenso.
Forse potrebbe aver provato la sensazione di sentirsi piccolo e limitato di fronte all'immensità del cielo, proprio come un Ungaretti soldato che, nella lunga poesia I Fiumi, ricordava la sua vita vissuta fino a quel momento sentendosi una docile fibra dell'Universo.
Tuttavia Ciàula è sereno di fronte al brulichio delle stelle?!
Penso che tutte quelle stelle piccole che non diffondono luce richiamino implicitamente alla condizione dei minatori della Sicilia del secolo scorso: il brulichio può essere connesso al loro duro, faticosissimo e interminabile lavoro, mentre la luce piccola alla loro individualità non valorizzata, anzi, calpestata.
Probabilmente per questo Ciàula ha l'anima disorientata, smarrita e non trae conforto da una notte come quella.
A mano a mano che zi' Scarda caricava, Ciàula sentiva piegarsi, sotto, le gambe. Una, a un certo punto, prese a tremargli convulsamente così forte che, temendo di non più reggere al peso, con quel tremitìo, Ciàula gridò:
- Basta! basta!
(...) Per un momento la paura del bujo della notte fu vinta dalla costernazione che, così caricato, e con la stanchezza che si sentiva addosso, forse non avrebbe potuto arrampicarsi fin lassù. Aveva lavorato senza pietà tutto il giorno. Non aveva mai pensato Ciàula che si potesse aver pietà del suo corpo, e non ci pensava neppur ora; ma sentiva che, proprio, non ne poteva più.
Un mulo è considerato, non un uomo.
La buca, che sostanzialmente è l'uscita dalla cava, appare come un occhio, una porta per le meraviglie della natura, estranea alle ingiuste disparità sociali.
E Ciàula si affaccia all'uscita.
Il finale del racconto risulta a mio avviso commovente:




















