Visualizzazioni totali

1 ottobre 2014

"Come fossi solo", romanzo terribilmente realista


"Come fossi solo" è stato scritto da Marco Magini, giovane autore di origini toscane, laureato in Politica Economica alla "London School of Economics".

Il libro racconta la guerra in Bosnia e la Strage di Srebrenica del 1995, episodi drammatici che, da qualche mese a questa parte, mi stanno molto a cuore. Ho letto questo romanzo con molta attenzione e con grande interesse, apprezzando inoltre la capacità espressiva dell'autore.
I protagonisti del romanzo sono tre uomini: Dirk, casco blu olandese di stanza a Srebrenica, colpevole di non aver impedito il massacro, Romeo, magistrato spagnolo che, insieme ad alcuni colleghi, si ritrova impegnato a svolgere il processo dei colpevoli della strage presso il Tribunale penale Internazionale e Drazen... Quest'ultimo, più che un uomo, è un ragazzo che all'epoca dei fatti aveva vent'anni, realmente esistito e tuttora vivente.  
E' proprio la tragica storia di Drazen a suscitare un forte coinvolgimento emotivo nel lettore.

Nello svolgimento della recensione di questo romanzo, preferirei concentrarmi prevalentemente sulle vicende del ragazzo esponendo anche delle riflessioni riguardo alle atrocità che il genere umano ha commesso in determinati periodi storici.

Dunque, prima che Slobodan Milosevic diffondesse le sue ideologie insensate relative alla superiorità del popolo serbo, gli adolescenti residenti nel territorio Jugoslavo erano molto più interessati alle produzioni discografiche dei Police che alla politica. Alla fine degli anni ottanta infatti, molti giovani Jugoslavi non pensavano nemmeno che di lì a poco tempo sarebbe scoppiata una guerra violenta e sanguinosa, che si sarebbe conclusa con la disgregazione della Repubblica Jugoslava e con la formazione di tre stati indipendenti. 
"... in fondo, a chi dovrei fare la guerra io? Io che dovrei essere considerato un vero Iugoslavo, un pezzo quasi unico. Sono nato nella parte a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina da genitori croati. Non che questo facesse una grande differenza per me. La mia generazione non si è mai domandata se la ragazza con la quale uscivamo fosse Serba o Croata, o se il compagno di squadra fosse musulmano.", queste sono le constatazioni di Drazen.
 
Ma un evento sconcertante li aveva costretti in qualche modo ad accorgersi di ciò che all'epoca stava accadendo nel loro paese: alcuni tifosi croati avevano invaso il campo e il capitano di una squadra chiamata "Dinamo Zagabria" aveva aggredito un poliziotto serbo.
"Fu, credo in quell'occasione, che molti dei miei compagni si scoprirono croati o meglio figli della nazione croata, come li definiva in quel periodo il nuovo ministro Tudman. Ricordo come si sentirono toccati nel profondo anche se, con gli occhi di adesso, mi pare di poterlo interpretare come un'infatuazione giovanile, come il desiderio di definirsi attraverso una presunta diversità piuttosto che una vera e propria convinzione politica.", racconta il giovane stesso e poi afferma, poche pagine più avanti: "Non ero certo un sostenitore della disgregazione del paese dove ero nato, non vedevo alcun motivo per cui gli sloveni si fossero all'improvviso riscoperti tali, ma lo ero ancora meno di una qualsiasi forma di conflitto, soprattutto di quella che da subito mi apparve come una guerra fratricida. Se la maggior parte dei Croati o degli Sloveni voleva proprio andarsene, doveva avere la possibilità di farlo, senza che per questo ci sparassimo tra di noi."
Ma queste sono le parole di un ragazzo privo di pregiudizi e di ideologie razziste... 
C'é, nei ragazzi come Drazen, un sorta di purezza che li rende in qualche modo incapaci di comprendere i futili motivi per cui gli uomini a volte si fanno guerra tra di loro... Drazen era infatti un serbo diverso dai suoi coetanei che si erano incattiviti a causa dei fermenti indipendentisti.
Io continuo a pensare al nazionalismo esasperato di Milosevic. Talvolta me lo sono immaginato in mezzo alle piazze delle città serbe, di fronte a una moltitudine di persone, a pronunciare discorsi dalla forma impeccabile ma dai contenuti assurdi. Credo che sia Milosevic, presidente serbo, sia Tudman, presidente croato, fossero dotati di un'ottima abilità retorica... altrimenti, come avrebbero potuto manipolare le menti di molti cittadini? Senza la retorica, come avrebbero potuto far credere alla propria etnia che la disgregazione e il conflitto fossero i mezzi migliori per raggiungere lo scopo dell'indipendenza? E poi, nel discorso di Drazen c'è un'espressione che mi colpisce moltissimo: "guerra fratricida". Il ragazzo aveva azzeccato in pieno! La Jugoslavia era un territorio molto misto dal punto di vista etnico. Ed è scoppiata una guerra terribile, che non ha fatto altro che alimentare l'odio, la paura e il sospetto verso coloro che fino a poco tempo prima erano considerati fratelli, amici, vicini di casa.
Drazen Erdemovic, 20 anni
Drazen si era sposato giovanissimo con una ragazza serba e dalla loro unione era nata una bambina, Sanja. Ma, nel momento in cui la guerra era scoppiata, Drazen era stato costretto ad arruolarsi nell'esercito serbo. Infatti, il protagonista non aveva mai creduto alle ideologie sulla superiorità del popolo serbo, ma aveva deciso di combattere per poter mantenere moglie e figlia. Infatti, all'inizio degli anni Novanta, la Serbia soffriva di una gravissima crisi economica che era la causa di un altissimo livello di disoccupazione giovanile. Drazen non trovava lavoro e non aveva nemmeno il denaro necessario per poter emigrare con la sua famiglia al di fuori di una Jugoslavia devastata dalle bombe.
Drazen viene quindi assegnato al "Decimo Battaglione Sabotaggio". Il suo compito consisteva per lo più nell'assicurare sempre il giusto rifornimento di munizioni al momento giusto.
Ma intelligentemente, il nostro ragazzo asserisce: "Il fatto di avere dei compiti ben determinati e di ripeterli in maniera sistematica e metodica, aiuta i soldati ad eliminare ogni connessione causa-effetto. Tutto viene così percepito come necessario, come un compito indiscutibile che essi sono chiamati ad eseguire. Consegniamo munizioni come ci è stato chiesto, ma per quanto ne sappiamo, potrebbero avere la stessa funzione di viveri e medicinali."
La guerra non stimola gli uomini a pensare a ciò che fanno. Compiono azioni meccaniche e, nel gran trambusto di fucili e cannoni, non hanno il tempo di pensare alle mostruosità che attuano. La guerra fa dimenticare agli uomini la loro umanità. Non solo. Fa dimenticare loro di essere dotati della facoltà di pensare.

Molte pagine del libro sono poi dedicate ad episodi raccapriccianti e sconvolgenti; tra questi, viene descritta la scena in cui alcuni soldati serbi, compagni di Drazen, violentano a morte una donna bosniaca. Mentre gli altri soldati, ubriachi fradici, ridono, Drazen è sopraffatto da conati di vomito.
"Il briciolo di umanità che cerco di mantenere mi sembra un fardello. (...) Vesto la terza divisa della mia vita senza mai essermi sentito un soldato."

In quell'esercito, Drazen era un cigno in mezzo alle oche. Un ago in mezzo a migliaia di fili di paglia. Una perla in mezzo a un milione di ostriche. Drazen è l'unico soldato che si appella ancora ai valori morali, è l'unico componente del suo battaglione che è ancora in grado di distinguere il bene dal male, è uno dei pochissimi giovani serbi che conserva la sua umanità, la sua delicatezza e la sua sensibilità. (Precisazione: nel suo battaglione, è l'unico che si rifiuta di ubriacarsi.)

Nelle ultime cinquanta pagine, viene raccontato dettagliatamente ciò che è accaduto l'11 luglio 1995.
Il battaglione di cui Drazen fa parte si dirige nei dintorni di Srebrenica, in mezzo a campi incolti, pronto a fucilare migliaia di uomini bosniaci. Drazen si ribella più volte agli ordini del tenente, si rifiuta di uccidere i suoi coetanei bosniaci. Li vede piangere e tremare. Ma, proprio a causa della sua ostinata ribellione, viene picchiato a sangue. Per un istante lo sfiora l'idea di mettersi in fila con i civili bosniaci per essere ucciso piuttosto che uccidere. Ma poi: "Sanja... Irina... Mi fermo; cosa ne sarebbe di loro se io morissi, ucciso per non aver eseguito un ordine? Tutti lo saprebbero, tutti... e allora diventerebbero la figlia e la vedova di un traditore mezzosangue... Non posso far loro questo... Non posso morire, non posso farlo per mia moglie e per mia figlia, perché avere un papà pieno di rimorsi è sempre meglio di averne uno sepolto in una fossa comune, martire di una strage che non è riuscito comunque ad evitare." (...)
 
(...) "Chiudo gli occhi e appoggio la guancia sul pavimento nel retro della camionetta. E' freddo, metallico. (...) La mia vita inizia oggi, la mia vita con il mio nuovo me, un me che avrei preferito non conoscere, non incontrare. Ogni mia azione, ogni mio pensiero, ogni mia decisione d'ora in poi saranno una conseguenza del ricordo di questa giornata. Solo così potrò non dimenticarli, solo così potrò non ucciderli di nuovo, solo così forse, un giorno, potrò tornare ad essere umano."


Il romanzo si conclude con queste ultime frasi pensate da Drazen. Quanto ho ammirato la sua bontà, la sua sensibilità, il suo profondo disgusto verso la guerra, l'affetto sincero che prova verso la moglie e la figlia... e quanto ho apprezzato la sua onestà. Alla fine della guerra infatti, il ragazzo aveva deciso di presentarsi di fronte al Tribunale penale Internazionale per costituirsi e per poter di nuovo guardare negli occhi la moglie e la figlia.  
Drazen Erdemovic ha trascorso sette anni in carcere ed è tuttora l'unico membro del suo battaglione ad essersi costituito e ad essere stato processato.





Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.