Visualizzazioni totali
16 ottobre 2014
"Il mio compagno di banco", racconto che illustra l'attaccamento morboso tra due adolescenti
Circa due anni fa, la mia insegnante di storia e filosofia aveva consigliato ai ragazzi che partecipavano al "Circolo Firmino" un libro intitolato "Dentro" e composto da tre lunghi racconti, scritti da Sandro Bonvissuto, autore romano che io ho avuto anche il piacere di conoscere e di intervistare durante un incontro culturale.
Il racconto che mi ha colpita di più è stato il secondo, intitolato "Il mio compagno di banco", i cui protagonisti erano due ragazzini poco più giovani di me.
In questi giorni, mentre lo rileggevo, ho provato le stesse impressioni di due anni fa.
CONTENUTO DELLA STORIA:
Dunque, è il primo giorno di liceo e un ragazzino, che è la voce narrante, si appresta ad entrare nella sua nuova classe. Una volta varcato l'ingresso dell'aula, egli avverte una sensazione di disagio dovuta al fatto che, per un istante, i suoi compagni interrompono le loro chiacchiere e lo scrutano con aria interrogativa. "... mi guardavano tutti. E così li guardai anch'io. In una temporanea bolla di silenzio. Come quando entri nella sala d'attesa di uno studio medico e c'è altra gente. Arrivi e tutti ti guardano con aria sorpresa, interrogativa. Pensano chi sei, che vuoi. E che comunque loro ci stavano prima di te. E tu pure li guardi mentre ti guardano e pensi che non dovrebbero guardarti così perché non stai facendo niente di strano e ragionevolmente sei lì per lo stesso motivo. (...) Quella però non era la sala d'attesa del dottore ma l'aula di un liceo, e non importava chi fosse arrivato prima e chi dopo. (...) "
Una volta appoggiatosi sulla parete in fondo all'aula, il protagonista rimane immobile ad osservare la gioia che manifestano i suoi compagni e pensa a un quadro di Renoir che raffigura "delle persone allegre che stanno in un posto a fare qualcosa. Dopo un po' che le osservi, ti rendi conto che l'immagine è effettivamente bella e serena, ma capisci che purtroppo tu non sei lì con loro. Sei in un altro posto. Li guardi da spettatore. E perciò, dal momento che non sei nel dipinto, non c'è nessuna ragione che tu sia spensierato e allegro. E' come se il fatto stesso di non essere parte del quadro ti escludesse dall'emozione raffigurata."
Quando ho riletto queste righe, ho pensato subito a uno dei dipinti di Renoir intitolato "Le Moulin del la Galette", che ritrae un ballo popolare all'aperto nei pressi di un vecchio mulino situato in un quartiere di Parigi. In quel quadro vengono raffigurate moltissime persone: alcuni danzano al suono di una piccola orchestra, altri chiacchierano seduti attorno a un tavolino, altri ancora volgono gli sguardi in una certa direzione... nessun personaggio risulta isolato, proprio perché è inserito in un determinato gruppo. Lo spettatore osserva il clima festoso e sereno ma naturalmente è al di fuori del contesto.
Chissà se Bonvissuto, nel momento in cui scriveva queste frasi, pensava davvero al "Le Moulin de la Galette"o ad altre opere di questo grande pittore impressionista...
Il racconto prosegue con l'ingresso in classe di un insegnante, che ordina ai ragazzi di sedersi immediatamente. "Erano proprio tutti seduti, ognuno accanto ad un compagno. Anch'io."
Il protagonista osserva incuriosito il suo compagno di banco dagli occhi "scuri e pieni che scintillavano come sanno fare soltanto le cose scure". I due ragazzini iniziano a conoscersi e alla fine delle lezioni tornano a casa con lo stesso autobus. Con il passare dei mesi, i due ragazzini diventano sempre più una cosa sola: prendono gli stessi mezzi di trasporto per raggiungere l'istituto scolastico, si dividono i libri, stanno sempre seduti uno vicino all'altro e, alla fine dell'anno, si fanno rimandare proprio nelle stesse materie, "Una sola cosa a scuola sembrava costituire per noi un serio pericolo: la scuola stessa. Era lei che voleva costringerci a prendere strade diverse, spingendoci a manifestare le nostre attitudini personali. (...) Così, quando fu chiaro che non avevamo lo stesso rendimento nelle singole materie e che uno solo dei due sarebbe stato rimandato, decidemmo che si sarebbe fatto rimandare anche l'altro..."
All'inizio del secondo anno di liceo, quando la classe viene messa in una nuova aula, i due ragazzi portano con loro il banco dietro al quale si erano seduti l'anno precedente. " quel banco era per noi come il terzo escluso. La prima cosa oltre noi due. (...) Per noi era una placenta gemellare." Un giorno però, il loro banco viene rimosso dall'aula e ammucchiato nel deposito dei rottami della scuola, in quanto vecchio e brutto. Senza quel banco i due ragazzi si sentono demotivati e decidono di smettere di frequentare la scuola, passando le loro mattine in una struttura ricreativa o nei giardini delle ville comunali. Alla fine dell'anno entrambi vengono bocciati.
COMMENTO:
"Doveva essere stata proprio quella vicinanza coatta dal primo giorno di scuola, quella prossimità, che ci aveva imbevuti l'uno dell'altro, in una misura irreversibile e quindi già subito definitiva. Esiste un meccanismo fisico che potrebbe spiegare ciò che era successo. Si chiama "osmosi". Ma è possibile che si sia trattato di una cosa più radicale, come quando prendi due bottiglie piene, le svuoti dentro a un secchio e poi le riempi di nuovo con il contenuto del secchio. Non appena hai finito, ti sembra di aver rimesso tutto come era prima, ma non è vero, perché adesso il contenuto delle due bottiglie è fatto di qualcosa che si è mischiato per sempre.
(...) Insomma, a forza di stare l'uno vicino all'altro avevamo smarrito inconsapevolmente e per sempre le nostre rispettive identità a vantaggio di una dimensione duplice e collettiva."
Proprio dopo aver letto per la prima volta questo punto, due anni fa, ho pensato:
"Due solitudini che si incontrano, due fragilità che annullano le loro personalità e una sconcertante mediocrità che domina la vita di due adolescenti infelici." Questo si potrebbe dire per riassumere ciò che accade ai due protagonisti. Non è amicizia ciò che unisce i due ragazzi. E' piuttosto un attaccamento malsano, morboso, dannoso. L'attaccamento presume non soltanto che due persone stiano sempre vicine l'una all'altra ma anche che esse siano fortemente condizionate l'una dall'altra. La vera amicizia, invece, sa accettare anche la lontananza. Un autentico rapporto di amicizia non sminuisce le caratteristiche individuali, ma le fa emergere e permette a ciascun individuo di confrontarsi con un altro. Gli amici condividono ideali, sogni; si scambiano consigli e opinioni; tra loro c'è un legame di stima reciproca.
Il vero amico è una persona disposta ad ascoltarti e ad aiutarti nei momenti di difficoltà.
Il vero amico è colui che ti abbraccia spontaneamente ogni volta che ti incontra, è colui che ammira i tuoi talenti e che perdona le tue mancanze, è colui che, con il suo comportamento dolce e gentile, ti sprona a credere in te stesso. Un amico è un tesoro prezioso, più prezioso di un diamante.
Da precisare anche che in questo racconto, scritto con un linguaggio scarno e asciutto, i due ragazzini non hanno un nome e, ad un tratto, non è più possibile distinguerli l'uno dall'altro. Vi sono infatti pochi dialoghi all'interno della storia e, in quelle poche conversazioni, il lettore non riesce a comprendere chi dei due pronuncia una determinata frase.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.