Domani Gianrico Carofiglio compirà 60 anni. Per questo ho voluto scrivere e pubblicare, come ultimo post di questo mese, la recensione del suo più recente romanzo, uscito nel gennaio di quest'anno.
Spesso mi dicono che scrivo gialli
ma io non mi sono mai davvero riconosciuto
in questa definizione.
(Gianrico Carofiglio)
La disciplina di Penelope è romanzo che appartiene un po' al genere poliziesco e un po' al thriller.
Milano, autunno 2017
Il libro inizia con il risveglio di Penelope, la protagonista, nella stanza della casa di un uomo conosciuto la sera prima. È mattino e se ne va via silenziosa, rendendosi conto di aver appena vissuto una notte sprecata:
Scivolai con cautela fuori dal letto, attenta a non svegliare l'uomo. Come si chiamava? Alberto, forse, ma non ero sicura, il volume della musica era troppo alto quando c'erano state le presentazioni. Raccolsi le mie cose, sparse fra una poltrona e il pavimento, e raggiunsi il bagno. Feci scorrere l'acqua in un filo, per non fare rumore. Lo stretto necessario. Poi a casa avrei fatto la doccia e cancellato anche questa esperienza. Esperienza? Attenta alle parole. Esperienza è quando impari qualcosa, quando sei presente in una situazione e questa situazione ti lascia una traccia, un segno. Non proprio quello che era successo poco prima.
Ad ogni modo, Penelope ha un rapporto problematico con l'altro sesso: più avanti infatti apprendiamo che ha avuto per lo più avventure casuali e di natura sessuale con gli uomini. Anni prima, quando era decisamente più giovane, ha tradito l'unico ragazzo che la amava per davvero e che avrebbe voluto condividere una vita intera con lei.
Più di una volta, nel corso della lettura, viene naturale chiedersi: ma quanti anni ha la dottoressa Penelope Spada? Non viene mai precisato, ma si suppone, o almeno, io suppongo, che sia poco sotto i 40.
La donna risulta un personaggio piuttosto enigmatico: il suo passato emerge in modo abbastanza frammentario. Sappiamo soltanto che, alcuni anni prima, esercitava il ruolo di Pubblico Ministero.
Ma, a causa di un incidente che non viene mai né ricordato dai personaggi né raccontato dal narratore, ha dovuto lasciare questo prestigioso incarico e limitarsi ad essere un avvocato addetto a questioni e litigi familiari.
All'inizio del libro, la vita di Penny è dunque piuttosto monotona e insulsa.
Finché una mattina conosce Mario Rossi, un uomo e un padre che, un anno prima, era stato sospettato di aver assassinato la moglie Giuliana. Per alcuni mesi era stato l'unico indiziato, dal momento che non sembrava possibile né realistico considerare altre piste nel corso dell'indagine.
Tutti sapevano che il matrimonio fra Mario e Giuliana non era felice. Più volte lei lo aveva tradito e, durante uno dei colloqui con Penny, Mario ammette:
Mi ha sposato per ripiego, ero a portata di mano, lei usciva da una brutta storia, ha voluto subito fare un figlio per questioni di orologio biologico.
Mario chiede quindi a Penelope di occuparsi, praticamente in veste di investigatrice privata, del caso della moglie in modo tale da poter cancellare i sospetti su di lui e soprattutto, in modo tale da poter dire chiaramente alla figlia, una volta divenuta adulta, come è morta la madre e chi l'ha uccisa. La figlia di Mario Rossi ha soltanto sette anni.
Agli occhi di Penelope Mario appare una persona tranquilla, pacata, che sa controllare perfettamente angoscia, dispiacere e dolore:
Usava espressioni molto appropriate, cercava la parola più adatta per dire quello che doveva. "Area incolta", per esempio. L'eccessiva accuratezza linguistica di un teste che dovrebbe essere emotivamente coinvolto in quello che racconta è sempre un fattore da annotare- ma non per trarne in modo automatico la conseguenza che sta mentendo. Bisogna stare attenti alle intuizioni investigative; bisogna stare attenti a non saltare subito alle conclusioni attraverso gli indicatori linguistici (...)
Mario si era laureato in Lettere (=quando c'era ancora l'ordinamento quadriennale) ma poi aveva preferito continuare a lavorare nell'Agenzia Immobiliare di proprietà del padre.
È opinione comune che la mia laurea e la mia specializzazione siano inutili se poi non le si esercitano attraverso l'insegnamento e/o la scrittura.
In parte concordo: se, alla fine degli studi, si intraprendono scelte lavorative che portano a percorrere strade molto diverse da quella dell'ambito didattico-educativo, inevitabilmente un po' ci si dimentica del nostro meraviglioso patrimonio letterario nazionale e della storia della nostra lingua... D'altra parte, quando questo settore dell'italianistica non lo si trasmette, finisce in buona parte nel dimenticatoio con il passare degli anni.
Però, d'altro canto, bisogna ammettere che la precisione linguistica e la buona conoscenza delle sfumature di significati fra le parole rimane nel corso della vita, soprattutto se in facoltà sei stato/a un ottimo studente motivato/a.
Noi studiamo obbligatoriamente anche linguistica e glottologia (se non si hanno almeno 12 cfu in questo settore non è possibile nemmeno prendere supplenze e incarichi annuali. Io ne ho esattamente 18: 12 di "Introduzione allo studio del linguaggio" + 6 di "Glottologia, livello progredito"). Senza contare che, con l'introduzione delle lauree magistrali, assolutamente indispensabili per l'insegnamento, ci sono anche corsi di metrica (italiana e latina), approfondimenti monografici della durata di un mese e mezzo su un autore specifico, storia dell'italiano letterario... Questi sono tutti fattori che contribuiscono a maturare, nello studente universitario, innanzitutto la consapevolezza dei fenomeni sintattici e lessicali tipici del parlato; e sicuramente permettono anche sia di sviluppare un linguaggio preciso e controllato nello scritto, sia di acquisire una chiarissima coscienza della storia culturale italiana ed europea.
All'inizio Penelope rifiuta di occuparsi del caso di Giuliana ma viene in seguito convinta da Zanardi, un amico giornalista di cronaca nera.
Inizia allora "l'indagine clandestina": dapprima Penny si fa consegnare, tramite chiavetta, gli atti dell'inchiesta da Mario, con il quale nel frattempo continua a mantenere un rapporto professionale. Grazie al vedovo infatti, l'ex P.M. scopre che Giuliana negli ultimi tempi aveva rivisto Aurora, una vecchia amica del periodo del liceo. Penelope riesce ad incontrare questa signora, divenuta proprietaria di una botique in un quartiere di Milano.
Dopo il primo colloquio con Aurora, tutto fa pensare, al lettore e alla stessa Penny, che dalle parti di Porta Genova Giuliana avesse un amante. Emergono dei dettagli accattivanti, come ad esempio un anello a forma di serpente (segnale di amore passionale) che la moglie di Mario indossava quando passava a salutare Aurora in negozio, prima di incontrare qualcuno di veramente "speciale".
Scoprire la verità risulta però, sin dall'inizio, molto difficile: i tabulati telefonici non rivelano i contenuti dei messaggi Whatsapp, fondamentali per la soluzione del caso, che è tutt'altro che banale.È facile pensare ad un amante-assassino geloso, possessivo e "malato". Forse troppo facile, per Carofiglio. Del romanzo ho apprezzato anche questo aspetto, oltre all'intelligenza della protagonista. Un carattere difficile e pungente, ma comunque dotata di un cervello notevole e fuori dal comune.
Ultime due cose qui sotto (= la seconda mi fa di nuovo onore, visto che valorizza ancora una volta l'importanza della conoscenza chiara e approfondita della nostra lingua).
PER QUALE MOTIVO L'AUTORE CHIAMA "PENELOPE" LA PROTAGONISTA?
Strano che una donna ancora relativamente giovane porti quel nome così antico e insolito. D'altra parte, anche la nonna della protagonista si chiamava così.
Nell'Odissea, Penelope è la fedele moglie di Ulisse (o se preferite, Odisseo alla greca). Lo attende ad Itaca per 20 anni, mentre decine di proci, i pretendenti per l'appunto, si propongono a lei.
Penelope di giorno tesse il sudario per il suocero Laerte, ma di notte lo disfa. Così rimanda all'anno del mai la scelta di uno dei proci: in effetti aveva detto loro che si sarebbe risposata una volta finito di tessere quella tela.
"DARE UN NOME ALLE PROPRIE EMOZIONI":
La psichiatra diceva che per affrontare i miei problemi e in particolare la rabbia fuori controllo dovevo imparare a dare un nome ai sentimenti, alle emozioni. «Vede Penelope» mi aveva detto una volta,«per superare il disagio o addirittura la malattia mentale, un passaggio decisivo sta nel costruirsi un vocabolario preciso per descrivere le proprie sensazioni interiori. Se uno dice indifferentemente: felice o entusiasta; oppure triste e infelice; oppure se dice sono arrabbiato e invece è triste; o viceversa se dice sono triste e invece è solo molto arrabbiato, non potrà mai sottrarsi all'influenza occulta di quelle emozioni e di quei sentimenti che non sa riconoscere. Il più potente degli psicofarmaci è un buon vocabolario.
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