Come dicevo ieri sera, La casa in collina è un romanzo di Pavese pubblicato nel '48, due anni prima della sua tragica morte.
A.FENOMENI SINTATTICI TIPICI DELL'ITALIANO DELL'USO MEDIO:
Come ho scritto anche nella mia tesi, l'italiano dell'uso medio è una varietà linguistica nazionale aperta nei confronti dei fenomeni del parlato. Ha quindi, in sé, locuzioni e costruzioni sintattiche tipiche dell'oralità e divenute, negli ultimi 70 anni, "panitaliane".
L'italiano dell'uso medio non è l'italiano popolare: quest'ultima variante è infatti utilizzata soltanto dai più anziani che, avendo per madrelingua il dialetto e avendo ricevuto forse un'istruzione elementare, inseriscono, nel loro modo di scrivere la lingua nazionale, errori grammaticali e fonetici (=la fonetica del loro italiano è condizionata dal dialetto).
Elenco qui alcuni fenomeni classificati come "tipici dell'italiano dell'uso medio" e presenti in questo breve romanzo.
*C.C. fra parentesi= Sigla che sta per La casa in collina. Il numero delle pagine corrisponde a quello della più recente Edizione Einaudi del 2019.
1) DISLOCAZIONI:
Queste sono frequentissime nella lingua quotidiana di ognuno di noi. Presenti quasi in ogni pagina di Lessico famigliare e di Caro Michele, sono fenomeni nei quali il dato conosciuto, generalmente un sostantivo, viene ripreso da un pronome atono.
In Pavese ci sono alcune dislocazioni, ma non così tante come in Natalia.
A DESTRA:
-Stasera l'ha preso l'allarme (C.C., p.9)
-Ieri sera l'hai presa la sbornia? (C.C., p.41)
-Li consegnano i pacchi? (C.C., p.82)
A SINISTRA:
-I massacri li faranno con calma. (C.C., p.58)
-Mi chiesi invece se Dino lo mandavano a messa. (C.C., p.80)
-Otino non lo trovai ma la collina era quella. (C.C., p.117)
2) IL "SI PASSIVANTE":
In Pavese è frequentissimo, ma qui verranno elencati alcuni casi. Il "si passivante" in questo romanzo si trova con verbi modali come dovere, volere, sapere, potere. Ma anche con il verbo vedere, con "dire, capire" e con verbi aspettuali come "stare a":
-Non si sapeva ch'era un tempo così breve. (C.C., p.3)
-Si capisce (C.C., p.8)
-Si seppe l'indomani che molti tedeschi erano morti (C.C., p.52)
-Si può nascondersi in collina d'inverno? (C.C., p.77)
-Non si è visto nessuno (C.C., p.89)
-Si sta a vedere. (C.C., p.104)
-Di nessuno si sa bene dove stia in questi tempi. (C.C., p.111)
-Si può passare? (C.C., p.115)
3) IL "CI" ASSUME VALORE AVVERBIALE DI LUOGO:
Ce ne sono diversi in questo libro di Pavese:
-Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri ma un aspetto delle cose, un modo di vivere. (C.C., p.3)
-Ci trovai un mattino un soldato (all'osteria del Pino, intende), (C.C., p.63)
- Poco dopo, trovata una chiesa, c'entrai. (C.C., p.80)
-Ci sono i tedeschi. (C.C., p.87)
-Ci passavano intorno ragazzi, qualcuno ascoltava. (C.C., p.95)
4) IL "CHE POLIVALENTE":
Anche questo, largamente utilizzato nella lingua scritta e orale a partire dalla metà del Novecento. In Pavese il "che" assume un valore temporale, quindi, vale come i relativi "nel quale", "nella quale", "in cui":
-Era l'anno che io affittavo una stanza in Via Nizza, che davo le prime lezioni e mangiavo sovente in latteria. (C.C., p.10)
-Un mattino che ci colse un temporale appena giunti, rimpiangemmo, remando di furia, l'occasione perduta. (C.C., p.11)
-Sono paesi che al mercato ci si va col fucile. (C.C., p.66)
-Mi ricordai quella notte d'estate che alle Fontane si cantava e tutto doveva ancora succedere. (C.C., p.86)
5) IL "MICA" NELLE FRASI NEGATIVE:
Questo è soprattutto un settentrionalismo, da decenni frequente nella lingua parlata (=ma anche scritta) dell'Italia del nord. Sia in Pavese che nella Ginzburg, questo avverbio si trova soprattutto nei dialoghi:
-Non vuole mica mangiarmi. (C.C., p.9)
-Non è mica la roba, è il ricordo che fa. (C.C., p.83)
-Non è mica una vita. (C.C., p.107)
6) IL "CHE" COME AGGETTIVO ESCLAMATIVO E INTERROGATIVO:
Nel corso degli ultimi decenni, "che" viene impiegato anche come aggettivo in esclamazioni e domande. Ha sostituito "quale", come in questi casi:
-Che guerra! (C.C., p.64)
-Che guerra, che guerra. Vince chi riesce a scappar prima. (C.C., p.77)
-Che paese? (C.C., p.110)
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B) LE DESCRIZIONI DEI PAESAGGI IN COLLINA:
Sicuramente consistono in uno dei punti di forza di questo romanzo, ambientato nelle colline piemontesi nel pieno del secondo conflitto mondiale.
Ve ne riporto due in particolare, collocate all'inizio del romanzo:
1) Ma quella sera preferii soffermarmi su una svolta della salita sgombra di piante, di dove si dominava la gran valle e le coste. Così mi piaceva la grossa collina, serpeggiante di schiene e di coste, nel buio. In passato era uguale, ma tanti lumi la punteggiavano, una vita tranquilla, uomini nelle case, riposo e allegrie. Anche adesso qualche volta si sentivano voci scoppiare, ridere in lontananza ma il gran buio pesava, copriva ogni cosa, e la terra era tornata selvatica, sola, come l'avevo conosciuta da ragazzo. Dietro ai coltivi e alle strade, dietro alle case umane, sotto i piedi, l'antico indifferente cuore della terra covava nel buio, viveva in burroni, in radici, in cose occulte, in paure d'infanzia. (C.C., p.5)2) Quando sbucai sulla strada e ascoltavo guardando nel buio, di là dalla cresta, quasi sommerso nelle voci dei grilli, suonava l'allarme. Sentii, come ci fossi, la città raggelarsi, il trepestìo, porte sbattersi, le vie sbigottite e deserte. Qui le stelle piovevano luce. (C.C., p.7)
C) TRAMA DEL LIBRO:
La storia dura circa una anno e mezzo, perché inizia nell'estate del '43 e termina nel novembre del '44. Nel pieno della guerra civile italiana. Vengono infatti menzionati personaggi ed eventi storici reali: la caduta di Mussolini, il governo Badoglio, la fondazione della repubblica di Salò, i rastrellamenti dell'esercito tedesco, i bombardamenti anglo-americani, la lotta partigiana.
Protagonista e narratore della storia è Corrado, insegnante di Lettere in un istituto di Torino, quarantenne e scapolo.
All'inizio della guerra si rifugia in una casa in collina: per questo ha quotidianamente a che fare con contadini e persone semplici. Ritrova, in questi luoghi di campagna e di agricoltura, Cate, donna che alcuni anni prima era stata la sua amante e che ora è la madre di Dino (=soprannome abbreviato da "Corradino").
In poco tempo, il professore di Lettere si affeziona a Dino, bambino sveglio e intraprendente nonostante i suoi sette anni. Sospetta che sia suo figlio, ma questo dubbio non verrà mai risolto nel corso delle vicende: prima perché Cate si rifiuta di rivelarlo a Corrado, poi perché, una volta deportata dai tedeschi, non potrà più incontrare l'ex amante.
Nell'autunno del '43 i rastrellamenti vengono effettuati anche nelle zone collinari e nei paesini. Per questo Corrado abbandona la sua casa per rifugiarsi presso il Collegio di Chieri, diretto da una congregazione religiosa, con Dino, rimasto senza tutele e protezioni.
D) IL TEMA DELLA RELIGIONE IN QUESTO ROMANZO:
Strano a dirsi, ma c'è. Le chiese, i breviari, i libri di orazioni danno al protagonista un senso di pace e "uno sgorgo di gioia" (C.C., p.81) in tempo di guerra.
Durante il suo periodo di permanenza presso il Collegio di Chieri, Corrado instaura un buon rapporto con Padre Felice, uno degli istitutori. (Notate anche qui quanti "si passivanti" ci sono!):
Padre Felice mi disse che del breviario bisognava recitare soprattutto l'officio. Delle storie dei santi disse che molte erano entrate in quelle pagine chi sa come, eran pura leggenda, e che da un pezzo si attendeva che l'autorità rivedesse il testo e lo sfrondasse. A leggerlo bene ogni giorno ci voleva troppo tempo.
-Ma quello che importa,- gli dissi,- non sarà se un martirio è avvenuto davvero. Si vuole che chi legge non dimentichi quanto costa la fede.
Padre Felice annuì, chinando il capo.
-Piuttosto,- gli dissi,- serve a qualcosa rileggere sempre le stesse parole?
-Trattandosi di preghiere,- disse Padre Felice,- non conta la novità. Tanto varrebbe rifiutare le ore del giorno. Nel giro dell'anno si riassume la vita. La campagna è monotona, le stagioni ritornano sempre. La liturgia cattolica accompagna l'annata, e riflette i lavori dei campi.
Questi discorsi mi calmavano, mi davano pace. Era il mio modo di accettare il Collegio, la vita reclusa, di nascondermi e giustificarmi. (C.C., p.100)
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