Non si dispongono di date certe per poter collocare la prima rappresentazione della tragedia.
Invece di riportarvi subito tutta la trama, preferirei iniziare dai primi otto versi e da lì rivelarvi, pian piano, le dinamiche che hanno comportato la follìa del protagonista.
Questo post è arricchito in particolar modo da analisi e riflessioni lessicali.
Il primo personaggio che prende la parola è la dea Atena:
vv.1-8:
Ogni volta che ti vedo, figlio di Laerte,
sei sempre
sulle tracce di un nemico.
Anche ora ti vedo vicino alle tende di Aiace,
presso le navi poste all'estremità del campo;
è da molto che stai osservando e scrutando
le sue orme recenti, per capire
se si trova o no dentro la tenda.
Inizialmente sulla scena ci sono soltanto Atena e Odisseo, appellato dalla dea con il patronimico "figlio di Laerte".
Ritengo utile soffermarmi sul lessico di questo breve passo iniziale:
παῖς= il primo significato è "figlio", ma in altre accezioni significa anche "bambino" (fino alla nostra pre-adolescenza) o "allievo". E' un termine molto frequente in greco antico. Si potrebbe tranquillamente affermare che παῖς è l'equivalente del child inglese, termine ovviamente più generico rispetto a son o daughter per indicare i figli: I'm an only child oppure My child is grown up.
Della stessa radice di παῖς è anche il sostantivo παιδεία, da cui deriva la nostra "pedagogia".
ἐχθρός è letteralmente "il nemico odiato", sia in senso militare che in ambiti più generici di rapporti sociali. In questa lingua però c'è anche un altro termine con equivalente significato, più ricorrente in prosa: si tratta di πολέμιος, da non confondere (è questione soltanto di un accento e di una ι in meno) con πόλεμος, che assume la sfumatura di "guerra, conflitto" nelle opere storiche, mentre invece in Omero significa soltanto "battaglia". Da queste radici lessicali molto antiche deriva la nostra "polemica".
In latino ci sono due termini diversi per "battaglia" e "guerra", rispettivamente: pugna e bellum.
Poco dopo, Atena riferisce ad Odisseo di essere stata lei ad aver provocato l'ira di Aiace, dandogli quindi la forza di agire, nottetempo, contro lo schieramento di cui egli stesso fa parte, l'esercito acheo.
L'accampamento di Aiace è allestito presso le navi e quindi, su una delle due estremità del campo argivo.
E' significativo che la pazzìa di Aiace si manifesti di notte, dal momento che, per gli antichi Greci, la follìa è al di fuori del controllo della ragione e quindi, le tenebre della mente, isolano gli uomini dal mondo reale e civile.
Per quale motivo avrebbe dovuto compiere qualcosa di dannoso contro i suoi compagni?
Per un desiderio di vendetta.
Achille è morto. Quindi, i due personaggi più autorevoli e più eminenti dell'esercito acheo, Agamennone e Menelao, decidono di affidare ad Odisseo le armi di Achille.
Aiace, re di Salamina, in qualità di amico di Achille è convinto che queste armi gli spettino di diritto. Crede di essere vittima di un'ingiustizia, per questo, in preda ad una cieca e violenta follìa scatenata nel suo animo da Atena, credendo di infierire sugli Achei, massacra invece tutti i buoi e i montoni.
Atena, impedendo ad Aiace di vedere Odisseo di fronte a sé (Io velerò il suo sguardo), dimostra all'eroe di Itaca che Aiace, ancora in preda all'insana follìa, è orgoglioso di aver massacrato tutti i compagni. E in effetti Aiace parla ad Atena di terribili torture inflitte ad Odisseo ed è convinto di aver trucidato Agamennone e Menelao.
La dea invita Ulisse a ridere del suo rivale... invece Odisseo ammette di provare compassione.
Più avanti, nel corso del dramma, compare Tecmessa, la concubina di Aiace, che annuncia la fine dello stato di follìa di Aiace:
vv.157-162:
Ora non più: la tempesta che si era scatenata
si placa, senza luce di lampi; egli ragiona,
ma un dolore nuovo lo affligge.
Vedere tutto il male che ha fatto
e non poter accusare che se stesso,
gli procura un'angoscia senza fine.
Secondo alcune fonti mitologiche Tecmessa era figlia di Teleutas, re di Frigia sconfitto in una battaglia da Aiace. Dall'unione di Tecmessa e Aiace nasce Eurisiace.
Ritengo suggestivo il paragone della furia del protagonista con una tempesta. Tecmessa in effetti utilizza, nel corso della tragedia, due termini: χειμών, cioè "tempesta" (ma anche inverno in altre accezioni) e νότος, cioè, "vento del sud", in genere, un vento calmo e di bel tempo.
Un altro nome che indica il vento come "corrente d'aria" è ἄνεμος. Con ρόος invece ci si riferisce alle correnti d'acqua (ῥέω è "scorrere").
Ad ogni modo, quando Aiace prende coscienza di ciò che ha fatto, il suo pianto diviene simile ad un muggito di toro (βρυχάομαι, verbo onomatopeico riferito più spesso ad animali, è proprio "muggire". E' stato impiegato, oltre che da Sofocle, anche da Omero per indicare gli eroi che stanno morendo).
E, dopo il pianto, nell'animo di Aiace sorge un proposito di suicidio dal quale Tecmessa tenta di dissuaderlo:
vv. 496-505:
(...) Se tu morirai
e io resterò sola, in quello stesso giorno
gli Argivi mi trascineranno a forza
insieme con tuo figlio
a mangiare il pane degli schiavi.
E qualcuno dei miei padroni mi rivolgerà
parole crudeli, dirà: "Ecco la compagna di Aiace,
l'eroe più valoroso dell'armata,
molto invidiata un tempo e ora ridotta in schiavitù."
vv.510-515:
Abbi pietà di tuo figlio: quanto male
provocheresti a me e a lui con la tua morte,
se dovesse trascorrere la sua infanzia
solo e senza cure, con tutori malvagi.
Io non ho altri a cui rivolgere lo sguardo
se non te (...)
Ai lettori che mi seguono da almeno 4 anni: non vi ricorda qualcosa? Ad esempio, l'addio fra Ettore e Andromaca?
Dal momento che non è un post recente, riporto qui i versi tratti dall'Iliade a cui mi sto riferendo:
Si potrebbe fare un parallelismo tra Tecmessa e Andromaca, scoprendo alcune somiglianze significative tra le due donne:
-Entrambe sono di nobili origini, cioè, figlie di un sovrano.
-Il loro futuro è nero senza gli uomini che amano visto che si prospetta loro una vita di schiavitù, di solitudine, di rimpianti, di infelicità.
-Entrambe sono madri di figli poco più che neonati.
Invece c'è una profonda differenza tra Ettore e Aiace: mentre è evidente che Ettore, nel sesto canto dell'Iliade, soffre di una certa tensione tra gli affetti e gli obblighi sociali, Aiace invece prova vergogna per il suo anomalo atto di follìa che lo isola dagli altri eroi. Soltanto Tecmessa gli è vicina. E la sua scelta di auto-eliminarsi porta la concubina alla disperazione.
Alla fine del dramma Aiace si uccide trafiggendosi con la spada. Giunge il fratello Teucro, oltremodo sconvolto e attonito.
Di fronte a Teucro, Menelao attribuisce con fermezza ad Aiace la colpa di aver tramato contro l'esercito acheo, per questo si rifiuta di farlo seppellire, dicendo: Sarà gettato in pasto agli uccelli marini sulla sabbia dorata della riva.
Teucro rimane ancora più addolorato ma Odisseo, che in questa tragedia fa un'ottima figura, ricompare sulla scena e, dopo aver ricordato il valore militare (ἀρετή) di Aiace, convince Menelao a farlo seppellire.
* Il nome del protagonista deriva dal verbo αἰάζω, ad egli etimologicamente e foneticamente connesso, che porta i significati di "gemere", "soffrire", "piangere". Suoi sinonimi sono κλαίω e δακρύω.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.