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20 luglio 2022

Attesa e immobilismo:

"E' sicuramente ritornata dal campo con i ragazzi delle medie. Possibile che non scriva ancora? Aspettavamo la recensione sul Deserto dei Tartari". Probabilmente alcuni tra di voi si saranno fatti questa domanda ultimamente. 

Rieccomi! 

Fisicamente dietro ad uno schermo.

Il campo è andato bene, per me è stata una conferma del fatto che sono proprio idonea a quell'età. I ragazzi hanno avuto molta stima di me, per sei giorni mi sono sentita dire "Sei una persona molto forte", "Sei molto sensibile con noi", "Ci mancherai quando il campo finirà", "Mi mancherai", "Grazie per averci aiutati a crescere e a maturare", "Meno male che sei tu la nostra animatrice di gruppo"... 

Per questo venerdì a mezzogiorno ho ceduto e, abbracciando diversi e diverse di loro, ho pianto di gioia e di soddisfazione. 

In questi primi tre giorni di questa settimana ho dovuto far fede a diversi impegni e... al di là della mia felicità, ora il caldo non lo sopporto più: adesso lo sento eccome (e ho mal di gola a causa dell'aria condizionata)! La scorsa settimana in montagna a più di 1000 metri si dormiva con le coperte, c'era sempre nuvoloso e addirittura freddo. Però anche in Lessinia il problema della siccità è molto grave: non piove da un pezzo, i prati e i pascoli sono secchi e i sentieri dei boschi sono strapieni di foglie secche che possono far scivolare.

Sta facendo come nel 2015: cioè, un'ondata di caldo torrido molto prolungato con notti senza fresco e senza un filo d'aria e piogge rarissime. Me lo ricordo il 2015: era il mio primo anno di sessione d'esami estiva ed è stata un'annata di afa soffocante per quasi tutta l'estate, con l'autunno e l'inverno troppo soleggiati al punto tale che non servivano giacche o impermeabili. 

Estati come questa e come quella di sette anni fa sono disgrazie, non stagioni calde. 

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Prima di affrontare i contenuti e i temi dell'opera più celebre di Buzzati preferirei però riflettere su due termini e proporvi alcune riflessioni che sono riuscita a formulare nei giorni scorsi e nei momenti liberi che ho avuto.

ATTESA

IMMOBILISMO

Che differenza c'è tra questi due termini?


Vi anticipo che l'attesa e l'immobilismo sono i temi principali del Deserto dei Tartari.

A) D. BUZZATI, "I GIORNI PERDUTI":

Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernst Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.

Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all'estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone.

Kazirra scese dall'auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro; che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali.

Si avvicinò all'uomo e gli chiese:

- Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c'era dentro? E cosa sono tutte queste casse?

Quello lo guardò e sorrise:

- Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni.

- Che giorni?

- I giorni tuoi.

- I miei giorni?

- I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?

Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.  C'era dentro una strada d'autunno, e in fondo Graziella la sua fidanzata che se n'andava per sempre. E lui neppure la chiamava.

Ne aprì un secondo. C'era una camera d'ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.

Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk il fedele mastino che lo attendeva da due anni, ridotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare.

Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.

- Signore! - gridò Kazirra. - Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.

Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell'aria, e all'istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose. E l'ombra della notte scendeva.

Ho deciso di svolgere un lavoretto di antologia che è proprio da ragazzi dei primi due anni di scuole medie: ho suddiviso il racconto in quattro sequenze e ho dato a ciascuna di esse un titolo.

L'ho fatto qui sotto:

1°= L'uomo con la cassa sulle spalle, che va da "qualche giorno dopo" a "fermandosi sul ciglio di un vallone".

2°= L'immenso mucchio dei giorni perduti, che va da "Kazirra scese" a "ne aprì uno".

3°= Le tre occasioni perdute, che va da "c'era dentro" a "non si sognava di tornare".

4°= Un'inutile supplica che va da "si sentì prendere" a "l'ombra della notte scendeva".

Ernst Kazirra vive una sorta di sogno ad occhi aperti in cui rivede la sua vita e si rende conto degli errori commessi: non ha dato priorità alle relazioni importanti. 

Lo scaricatore di casse rimane sempre anonimo. Ernst all'inizio gli dà del "tu" (=Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco) e poi passa al "lei" (=Signore! Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni).

Per quale motivo l'autore mette in atto questo insolito passaggio? Di solito nella vita reale si fa l'esatto contrario. Inizialmente, non appena lo vede, anche se si tratta di un adulto sconosciuto, il "tu" proviene verosimilmente da una sensazione di sorpresa mista a fastidio. Lo scaricatore è una comparsa inaspettata che valica i confini della sontuosa villa.

Eppure, quando Ernst sa che le casse contengono i giorni perduti, è preso da un senso di rimpianto e di colpa. La figura che gli sta davanti e gli permette di investigare all'interno della sua memoria e, il senso di soggezione di Ernst verso lo sconosciuto è messo ben in evidenza dalla similitudine, riferita allo scaricatore, che per l'appunto è immobile come un giustiziere di fronte alla presa di coscienza di Ernst.

Altro particolare interessante: Ernst, al momento del racconto, è ricco. Ma lo è sempre stato? Da quale passo potete comprendere che c'è stato un cambiamento nella sua vita (economico ma non etico)?

I tempi che caratterizzano la narrazione sono il passato remoto e l'imperfetto, mentre invece i tempi che permeano i dialoghi tre i due uomini sono il futuro, il presente, il passato prossimo e un verbo all'imperativo esortativo. Naturalmente, come ho anche specificato nella mia tesi sullo stile di Natalia Ginzburg, il tempo dei personaggi non è il tempo del narratore.

Al centro del racconto e quindi all'inizio del dialogo tra Ernst e lo scaricatore si ripete molto spesso la parola "giorni", termine chiave di questa breve storia.

Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile.

Con l'anafora "come per" Buzzati vuole probabilmente metterci di fronte a noi stessi e a tutte le volte in cui siamo stati chiusi, egoisti, privi di carità. Senza renderci conto che la felicità proviene dai rapporti con chi ci ama veramente.

Quell'ombra della notte finale ha, a mio avviso, due significati: è una notte astronomica ma anche psicologica, dal momento che Ernst ha acquisito un'amara consapevolezza: indietro non si torna. E' impossibile rimediare. Da qui la sua malinconia e i suoi rimorsi. 

Questo racconto di Buzzati mi fa pensare ad una canzone di Tiziano Ferro intitolata Scivoli di nuovo (2009). E' un testo che ci mette di fronte a noi stessi, di fronte ai nostri limiti nei rapporti umani e alla nostra paura di rischiare, oltre che di fronte al timore di sentirci inadeguati. 

Vorrei ora riportarvi alcune frasi più significative:

1- Chi non vive lascia il segno del più grande errore. 

2-Conti ferito le cose che non sono andate come volevi, temendo sempre e solo di apparire peggiore di ciò che sai realmente di essere.

3-Scivoli di nuovo ancora come tu fossi una mattina da vestire, da coprire. Per non vergognarti scivoli di nuovo ancora come se non aspettassi altro che sorprendere le facce distratte e troppo assenti per capire i tuoi silenzi. C'è un mondo di intenti dietro gli occhi trasparenti che chiudi un po'.

1) Vivere è anche rischiare. Per ognuno di noi l'esistenza presupporrebbe un mettersi in cammino, un formarsi con le relazioni e con le esperienze. Ricordo una frase della poesia di un biglietto ricevuto poco dopo il mio tredicesimo compleanno che diceva: Chi non rischia niente non fa niente, non ha niente e non è niente. Sentenza piuttosto dura ma vera. Essere incatenati ai nostri preconcetti, alle nostre abitudini ci rende immobili, insulsi e non ci permette di crescere, di sentire profondamente, tantomeno di amare. 

2) Non sempre diamo la migliore immagine di noi stessi. In ogni vita, almeno una volta, si sono sperimentate sia la paura dei giudizi altrui sia le delusioni che infrangono le nostre aspettative.

3) E' un ritornello "filosofico". Il Tiziano Ferro di 12- 13 anni fa era un cantautore non facile per melodie e testi. C'è un mondo di intenti dietro gli occhi trasparenti che chiudi un po' sono parole che sento molto vicine a me: a me che, quando mi capita di pensare ai rapporti non sereni o non riusciti oppure richiamo i desideri e i sogni che custodisco dentro di me, chiudo per alcuni istanti i miei occhi grandi e penso al fatto che in un certo senso sono trasparente, genuina, con ancora una discreta dose di ingenuità. 

B) A. NANETTI, "IL PAESE IN CUI IL TEMPO SI E' FERMATO"

E' un racconto che si trova all'interno di un romanzo per ragazzi intitolato L'uomo che coltivava le comete.

E in queste pagine che vi riporto, l'uomo che coltiva le comete, anch'egli senza nome come lo scaricatore dei giorni perduti, racconta ad Arno, il bambino protagonista, una storia sul tempo e sull'attesa:





Ho sottolineato i punti più significativi.

Ad ogni modo, l'uomo anonimo ritrova il tempo attraverso la "routine" delle attività quotidiane e la scansione giorno-notte.

- In quel luogo senza cambiamento non c'era più la vita e dunque non c'era più il dolore. 

In quel paese è tutto immobile! Ma non è grazie al dolore che si impara a gustare la vita e le piccole gioie che ci mette davanti quotidianamente? Non è grazie al dolore che si riesce a comprendere che siamo sempre in divenire finché viviamo?

Ricordo una poesia composta, ormai più di 10 anni fa, dagli alunni di una classe del mio liceo. Eccovi alcuni versi:

Considero valore la neve nel giorno di Natale, considero valore una lacrima e un sorriso al ricordo di chi non c'è più.

Considero valore l'amore dei miei nonni.

Considero valore l'amore di una madre per suo figlio.

Considero valore la capacità di affrontare le difficoltà a testa alta.

Il passato è il nostro bagaglio di cui dobbiamo fare tesoro. Grazie ai ricordi possiamo comprendere se ci siamo evoluti, se stiamo compiendo un cammino formativo. 

Il futuro è l'ignoto, è pieno delle nostre attese, è il tempo in cui proiettiamo desideri e aspettative. Il futuro è immenso come il mare.

Il presente è transitorio come le acque di un fiume. Ma per sua natura non può essere eterno. E noi non possiamo essere sempre uguali a noi stessi.

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Quindi quale differenza c'è tra ATTESA e IMMOBILISMO?

L'immobilismo è innanzitutto la tendenza a lasciare le cose così come sono senza sforzarsi per poterle cambiare o per migliorare. L'immobilismo non fa crescere nessuno. Rende comodi, spenti e immaturi. Rende "affezionati" a un'assurdità contro natura: l'eterno presente. Ma fa comodo l'eterno presente, altroché! Fa comodo non rischiare e non mettersi mai in gioco. 

L'attesa è qualcosa di diverso. Indica un'aspettativa nei confronti dell'avvenire, un'aspettativa a cui ci si prepara senza fretta di arrivare al traguardo, lavorando giorno per giorno. L'avvento, tempo liturgico, è in sé un'attesa spirituale. Tutta l'adolescenza dovrebbe essere vissuta come una preparazione e un'attesa verso la prima giovinezza (che nel mio caso è stata occupata dagli anni di università, di escursioni in montagna e di una serie di attività di volontariato)... finché arrivi quasi a 27 anni, cioè, già alla maturità della giovinezza (non me lo ricordate, già lì sono arrivata! Non ricordatemi che lentamente e inesorabilmente vado verso la vecchiaia e non verso l'infanzia!!) e o raccogli i frutti del tuo impegno e della tua formazione oppure galleggi, apatico e disorientato, come le barchette di carta dei bambini in un secchio d'acqua.


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