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28 luglio 2022

"Il deserto dei Tartari", Dino Buzzati:

Mi concentrerò su diversi passi e su alcuni capitoli del libro e vedrete quanti spunti di riflessione e quanti collegamenti si possono fare sul tempo e sulla vita, sui rapporti umani e sull'importanza di avere uno spirito critico con quest'opera!


Giovanni Drogo, protagonista indiscusso del romanzo, è un giovane soldato appena uscito dall'Accademia Militare che deve raggiungere la sua prima destinazione, ovvero, la Fortezza Bastiani, affacciata su un deserto. Secondo alcune leggende popolari, quel deserto era stato sede delle scorrerie dei Tartari in un'epoca passata.

Il tenente Drogo è decisamente giovane e nutre, almeno all'inizio della storia, diverse aspettative nei confronti dell'avvenire:

Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare.

Queste frasi mi danno l'occasione di collegarmi a quanto avevo scritto mercoledì scorso: la prima giovinezza è l'età della formazione, l'età dei progetti concreti per il futuro, l'età in cui è giusto e doveroso provare e mostrare motivazione e impegno in modo tale da poter raggiungere i propri obiettivi. 

La fascia di vita 18-25 non è un tempo di "perdizione": non vorrei fare la morale, ma vivere questi anni da "inerti", senza progettare un futuro professionale e senza nutrire degli interessi, è indubbiamente un male. 

Nel primo capitolo, ad ogni modo, c'è un Drogo venticinquenne che deve affrontare il passaggio tra prima e seconda giovinezza. Come ho scritto poco fa, egli nutre delle aspettative per la sua carriera di militare, ma al contempo prova un po' di apprensione nei riguardi del futuro:

Tutta quella vita facile ed elegante ormai non gli apparteneva più, cose gravi e sconosciute lo attendevano. 

Finite le serate lunghe che venivano trascorsi con i colleghi dell'Accademia, finito il tempo in cui il protagonista della storia viveva con la famiglia di origine. Si apre un nuovo periodo fatto di maggiori responsabilità.

Dopo un lungo viaggio a cavallo, la Fortezza Bastiani gli appare una solitaria bicocca separata dal mondo. 

Bicocca è un termine milanese che ho avuto modo di riscontrare in Manzoni quando ad esempio si riferisce al palazzotto di Don Rodrigo: Il palazzotto di Don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza di una bicocca.

Drogo arriva poco dopo il tramonto del sole. Mi è piaciuto l'inizio del secondo capitolo:

La valle si era stretta e la Fortezza era scomparsa dietro le montagne incombenti. Non c'erano lumi, neppure voci di uccelli notturni, solo di tanto in tanto arrivava un suono di acque lontane Provò a chiamare ma gli echi gli respinsero la voce con timbro nemico.

Il paesaggio è arido. Drogo è nel deserto e, a mio avviso, questa caratteristica dell'ambiente che lo circonda è simbolo di quella che diverrà la sua aridità d'animo... Cioè, all'inizio Giovanni Drogo non è proprio arido, ma lo diventa nel corso del tempo, invischiandosi in un'attesa inutile che gli fa buttare via quasi tutta la sua esistenza. L'attesa di nemici che per decenni non arrivano mai nei pressi della Fortezza.

Che cos'è l'aridità d'animo? Ha soltanto a che fare con egoismo e insensibilità? E se fosse anche l'incapacità di affrontare i cambiamenti che la vita ci mette davanti, e se consistesse anche nel non voler trarre profitti e vantaggi dalle esperienze che si vivono?

E qui mi sento di instaurare due parallelismi: il giovane Petr, protagonista del romanzo di Puskin La figlia del capitano, giunge alla fortezza di Belogorsk in mezzo alla steppa, dove non c'è molto da fare, esattamente come alla Fortezza Bastiani. Ma Petr finisce lì per volere del padre padrone che ha paura che il figlio acquisisca abitudini corrotte se andasse a Mosca o a San Pietroburgo. 

Drogo invece obbedisce al suo primo ordine: trascorrere almeno quattro mesi in quel posto desolante e desolato. 

C'è comunque una differenza fondamentale tra i due romanzi: in Puskin, nel giro di alcuni mesi, la Fortezza Belogorskaja diventa un luogo in cui combattere e difendersi dal rivoluzionario Pugacev e Petr ha appena 18 anni, mentre, già ve lo anticipo, la possibilità di compiere eroismi alla Fortezza Bastiani si fa concreta quando Drogo è fuori uso, cioè, ha più di 50 anni, è molto malato e ormai attende la morte.

Poi penso anche a Passaggio in India di Forster: le Marabar Caves, aride e prive di vegetazione, riconducono innanzitutto alla solitudine e all'aridità interiore di Adela, incapace di lasciare un fidanzato che non ha mai amato. E poi, anche all'insoddisfazione e alla malinconia di Aziz, vedovo con tre figli.

Il deserto, i luoghi poco abitati e i panorami aridi in letteratura rimandano sovente a infelicità, e a situazioni di vita "non fertili" per i personaggi, cioè, a condizioni che non li gratificano e che rischiano di farli sprofondare in un immobilismo che può non permettere loro di realizzarsi.

Questo è senz'altro un romanzo sul formalismo militare: Il formalismo militare, in quella fortezza, sembrava aver creato un insano capolavoro. Centinaia di uomini a custodire un valico da cui nessuno sarebbe passato.

Nel corso della lettura diviene inoltre chiaro che questo formalismo consiste nella cieca obbedienza agli ordini, nell'attuare azioni meccaniche senza ricorrere alla coscienza. Importante, a mio avviso, è il fatto che quasi tutti i militari della Fortezza Bastiani sono conosciuti dai lettori attraverso i loro cognomi. In pochissimi casi si citano anche i loro nomi propri. E' una scelta che l'autore ha fatto probabilmente per evidenziare il loro attaccamento all'etica militare e non ai valori umani.

Dal deserto del nord doveva giungere la loro fortuna, l'avventura, l'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta con il tempo, uomini fatti consumavano lassù la miglior parte della loro vita.


Che senso ha stare alla Fortezza se non ci sono mai invasioni nemiche? Questo si chiede Drogo nelle prime settimane in cui è lì. Non ci sono, per l'appunto, azioni gloriose e onorevoli da compiere. I giorni sono tutti uguali. Non c'è una quotidianità faticosa e impegnativa:

(...) la vita della Fortezza inghiotte i giorni l'uno dopo l'altro, tutti simili, con velocità vertiginosa. Ieri e l'altro ieri erano uguali; un fatto di tre giorni prima o di venti finiva per sembrargli ugualmente lontano. Così si svolgeva la fuga del tempo.

πάντα ῥεῖ, diceva Eraclito. Questa frase mi torna sempre alla mente quando cammino sul sentiero accanto al Tione, le cui correnti spesso sono rapide. Il tempo scorre e, per l'appunto, scorre incessantemente come le acque di un fiume o di un torrente. Eppure, questo è un punto in cui Drogo pensa di avere un sacco di tempo da vivere. Ma non sa che ogni giorno è in sé una vita. Non sa che la vita scorre costantemente dal momento che è sorella del tempo.

Il soldato Tronk è un tristissimo esempio di chi esegue gli ordini e rispetta scrupolosamente i regolamenti e le procedure, dimenticandosi della propria interiorità. Tronk è l'emblema di un servizio militare alienante:

Dopo ventidue anni di Fortezza, che cosa era rimasto di quel soldato?  Si ricordava ancora Tronk che esistevano, in qualche parte del mondo, milioni di uomini simili a lui che non vestivano l'uniforme? (...) No, degli altri uomini Tronk si era dimenticato, per lui non esisteva più che la Fortezza con i suoi odiosi regolamenti.

Ma contano soltanto le regole, le norme e le leggi? Conta soltanto il ruolo che si riveste nella vita sociale o anche il nostro mondo interiore? Sono le leggi che rendono la vita pienamente vissuta oppure sono i rapporti umani? E se le leggi, come nel caso dell'Italia fascista o della Germania nazista, ledessero la dignità altrui e non garantissero pace e rispetto reciproco? 

Sconvolgente è l'episodio della terribile morte del soldato Giuseppe Lazzari che, uscito al buio della notte per recuperare un cavallo e, avendo dimenticato la parola d'ordine per poter rientrare nella Fortezza, viene ucciso a colpi di fucile dalla sentinella. Significativo è ciò che scrive l'autore:

-"Sono io, Lazzari! Non mi vedi? Moretto, o Moretto! Sono io! Ma che cosa fai con il fucile? Sei matto, Moretto?"

Ma la sentinella non era più Moretto, era semplicemente un soldato con la faccia dura che adesso alzava lentamente il fucile, mirando contro l'amico.

La sentinella è un automa che attende soltanto un cenno di autorizzazione a uccidere da parte del maggiore Matti (il militare più stupido della Fortezza Bastiani) che, mezz'ora più tardi, di fronte al cadavere di Giuseppe Lazzari, dirà: Bravo Moretto, bella mira!

Già qui è evidente che questo romanzo è contro il dogmatismo e a favore del senso critico.

Altro personaggio oltremodo drammatico è il melanconico tenente Angustina. Nel suo caso, sembra che il deserto in cui è immersa la Fortezza gli abbia fatto dimenticare la memoria di legami importanti: quando il compagno Lagorio, che prende la decisione di trasferirsi dopo due anni di permanenza, gli chiede se per caso non ha voglia di rivedere la famiglia e la fidanzata Claudia, Angustina risponde: 

-La Claudina? Ma che Claudina? Io non mi ricordo... (...) 

E poco dopo:

-Già, la Claudina, figurati, non si ricorderà nemmeno che esisto.

Anche Drogo, nel corso del tempo, diventa assuefatto alla monotonia della Fortezza. Non si fa trasferire da lì nemmeno dopo due o quattro anni, nemmeno dopo dieci o vent'anni, per due motivi: perché spera sempre che giungano dei nemici da attaccare e perché alcuni dei suoi commilitoni riescono sempre a convincerlo a rimanere. Lo persuadono talvolta alimentando in lui l'attesa di un'eventuale battaglia con un eventuale esercito nemico, talvolta criticandolo aspramente per la sua intenzione di andarsene. Ma in ogni caso, è sempre lui che decide sulla sua vita.

E poi, a me da lettrice è venuto un sospetto: Drogo sogna l'eroismo ma la sua decisione di restare non nasconde forse la paura di affrontare le sfide della vita?

Poco prima di metà libro traspaiono le sue visioni allucinate: un pomeriggio, insieme a Tronk, Drogo crede di vedere una schiera di soldati all'orizzonte, da una delle torri della fortezza. Ma non è così: è soltanto un cavallo lontano.

Questo romanzo è stato pubblicato nel 1940. Tra il 1924 e l'inizio della seconda guerra mondiale è in voga il Surrealismo, oggi sinonimo di "assurdità". Ad ogni modo, il Surrealismo era un movimento artistico e letterario che esaltava l'inconscio, il sogno, parti della psiche che consentono all'uomo di esprimersi in modo più autentico, senza l'utilizzo della ragione.

Il Surrealismo è nato in Francia e si è poi diffuso in Europa. Il maggior esponente spagnolo, per l'ambito pittorico, è Salvador Dalì, abile a raffigurare delle surrealtà oniriche:

Drogo sembra vivere in una non-realtà: fantastica battaglie e assedi (tanto nella Fortezza non ci sono relazioni da coltivare né imprese da affrontare, quindi ha tutto il tempo che vuole) nella sua mente, senza mai viverle concretamente:

E ritornava a meditare le eroiche fantasie tante volte costruite nei lunghi turni di guardia e ogni giorno perfezionate con nuovi particolari. In genere pensava ad una disperata battaglia impegnata da lui, con pochi uomini, contro innumerevoli forze nemiche; come se quella notte la Ridotta Nuova fosse stata assediata da migliaia di Tartari. Per giorni e giorni lui resisteva, quasi tutti i compagni erano morti o feriti; un proiettile aveva colpito anche lui, una ferita grave ma non tanto, che gli permetteva di sostenere ancora il comando.

Se Stefano Roi fugge dal colombre per tutta la vita ed evita di incontrarlo a causa dei suoi pregiudizi, Giovanni Drogo, purché arrivi un'occasione di battaglia, è disposto a buttare via tutta la sua giovinezza nella monotonia di giorni tutti uguali, in quel deserto dal clima continentale con le estati troppo secche e troppo soleggiate e gli inverni troppo freddi e rigidi. Un particolare da non dimenticare è il fatto che la Fortezza Bastiani è delimitata da montagne rocciose. 

Anzi, in inverno, i sentieri delle montagne, strapieni di neve, divengono addirittura pericolosi: è questo che testimonia la fine di Angustina il quale, essendo malato, stoicamente e con gli stivali troppo stretti, si sottopone ad una marcia militare guidata dal cinico Monti che, pur accorgendosi delle condizioni del suo collega, accelera il passo nelle salite e nei punti più ripidi, pensando: Con tutte le arie che ti dai ti farò vedere io. 

Il tenente Angustina muore di freddo e stremato, tra la neve alta e gelida.

Finora, soltanto nei componimenti dello Zanzotto maturo ho trovato una simbologia positiva legata alla neve, che allude all'Eterno e alla beatitudine.

Ho visto il film ispirato a quest'opera di Buzzati: è fedele, ma non racconta agli spettatori il momento in cui Drogo, a trent'anni esatti, ritorna nella sua cittadina natale per due mesi grazie ad una licenza. Ed è qui che Buzzati apostrofa energicamente il protagonista mentre si allontana:

Non pensarci più, Giovanni Drogo, non voltarti indietro ora che sei arrivato al ciglio del pianoro e la strada sta per immergersi nella valle. Sarebbe una stupida debolezza. La conosci pietra per pietra, si può dire, la Fortezza Bastiani, non corri certo il pericolo di dimenticarla. Il cavallo trotta allegramente, la giornata è buona, l'aria tiepida e leggera, la vita ancora lunga davanti, quasi ancora da cominciare; che bisogno ci sarebbe di dare un'ultima occhiata alle mura, alle sentinelle di turno sul ciglio delle ridotte? Così una pagina lentamente si volta, si distende dalla parte opposta, aggiungendosi alle altre già finite(...) ma è pur sempre un'altra pagina consumata, signor tenente, una porzione di vita.

Questa del suo ritorno a casa per alcune settimane sarebbe una possibilità concreta per cambiare vita, per farsi trasferire, dove in cuor suo desidera, in una cittadina movimentata in riva al mare.  E invece... con i genitori sembra non avere rapporti di confidenza, con Maria, la ragazza con la quale era stato fidanzato, non c'è un'intenzione di condividere un futuro insieme. Pur trovandosi con familiari, amici e ragazza, il suo pensiero fisso è sempre la Fortezza Bastiani. Giovanni Drogo è alieno al mondo e alienato dal mondo.

Drogo si accorge che i suoi coetanei trentenni o sono già realizzati oppure si stanno realizzando: chi è sposato, chi lavora, chi ha cambiato casa e si è appena trasferito, chi affronta l'esperienza di diventare genitore... 

Non credo lo abbiate letto, o comunque, sicuramente pochi di voi conoscono questo romanzo: La casa di Via Valadier di Carlo Cassola. Famiglie politicamente tendenti a sinistra che si radunano, in epoca fascista, proprio in quella casa di nascosto, ospitati da Anita Turri, vedova di un deputato socialista. E i loro figli intanto trovano la loro strada, con fatica nel caso di Leonardo, nipote di Anita che, a 30 anni, non ha né lavoro né ragazza. 

E' "un fallito", per questo i suoi coetanei o ex compagni di liceo, quando lo incontrano per strada, si allontanano in fretta. Dieci anni dopo Leonardo è con Elena e lavora per l'Avanti!

Buzzati stesso a 30 anni era già realizzato: dopo la maturità classica non si è iscritto a Lettere ma a Giurisprudenza, più per accontentare il padre che non per reale interesse verso leggi e diritti; quindi forse, quel ma è pur sempre un'altra pagina consumata, signor tenente, una porzione di vita, lo dice anche a se stesso, ricordando il suo periodo universitario. Buzzati avrebbe dovuto intraprendere il mio percorso di studi... io l'ho studiato in modo dettagliato e, nelle sue pagine di diario, diceva di essere il terzo alunno migliore della classe, con una media molto vicina all'otto nelle lingue antiche.

Una volta laureatosi, Dino Buzzati aveva deciso di intraprendere la carriera di giornalista. Nel 1928 è stato assunto dal Corriere della Sera e nel 1939 è stato inviato speciale in Etiopia, mentre, durante la seconda guerra mondiale, è stato corrispondente per vari fronti militari. Intorno ai 24 anni si era manifestata chiaramente anche la sua predisposizione per la scrittura. Comunque, il Buzzati trentenne non aveva famiglia ma già lavorava ed era soddisfatto e contento di ciò che faceva.

Tornando a Drogo, si può tranquillamente affermare che la permanenza alla Fortezza abbia cambiato il suo modo di sentire. Ha la malattia della non-vita, come il pianista sull'oceano del film musicato da Morricone. Il pianista, dotato di un talento straordinario, a 32 anni avrebbe l'occasione di scendere dalla nave, di sistemarsi con una ragazza, di riscuotere successo negli Stati Uniti. Ma, mentre scende le scale che lo separano dal porto, dà una lunga occhiata alla città di New York e risale. Sull'oceano i giorni sono tutti uguali e le relazioni sono fugaci. Eppure, il pianista, impreparato a vivere veramente, rifiuta di lasciare per sempre la nave. Sceglie? Certo che sceglie! Opta per conservare il suo status di artista solitario, malinconico e semi-sconosciuto.


Giovanni Drogo ritorna quindi alla Fortezza Bastiani dopo due mesi a casa. Nel frattempo, la Fortezza ha subito un ricambio generazionale: quasi tutti quelli che erano i suoi commilitoni hanno chiesto e ottenuto il trasferimento presso altre sedi. Invece Drogo, insieme all'altro tenente il cui cognome è Simeoni, è in preda alle illusioni: qualsiasi puntino nero all'orizzonte rappresenta la speranza di combattere. Invece si tratta di nebbie, o di animali lontani. E intanto passano gli anni. 

La Fortezza è immersa in un eterno presente. Come il paesaggio, anche questo arido e desolante, che circonda i due personaggi del dramma di Beckett, Waiting for Godot. Chi stanno aspettando?! Il signor Godot che non arriva mai. E i loro discorsi sono senza senso, le loro giornate vuote.

Ad ogni modo, il messaggio del Deserto dei Tartari a mio avviso è soprattutto questo: devi vivere per ciò per cui vale la pena vivere.

Per Drogo la morte, che sopraggiunge di notte quando è seduto su una poltrona, è una liberazione dall'inadeguatezza e dall'incapacità di gustare la vita.

A voi altre eventuali riflessioni, io in questi giorni ho appena trovato il tempo di scrivere questo post. Più avanti comparirà anche Opinioni di un clown di Heinrich Boll. Lo sto leggendo da 10 giorni e mi mancano 60 pagine. E' molto impegnativo, non meno di questo libro di cui vi ho scritto.

Potreste anche interpretare trama e contenuto diversamente da me. Potreste leggere il romanzo stando attenti alle figure che compaiono e provando a immaginare quell'ambiente desertico e noioso. (A molti non piace Buzzati né Il deserto dei Tartari, ma credo sia per il semplice fatto che non vogliano riconoscere certe condizioni umane).

Per i vostri pensieri, provo a porvi, qui a fine post, alcune domande:

-Cosa significa "buttare via la vita"?

-La scelta è, quasi sempre, anche rischio. Vuol dire andare incontro a cambiamenti, a nuove prospettive. Ma è un qualcosa che è essenziale nella nostra esistenza. Che cosa sta all'origine della paura di scegliere? E' legata all'ansia per l'avvenire?

-Esiste un'età in cui ci si deve assolutamente e totalmente realizzare? O è soltanto la mentalità sociale del secolo scorso che delineava i trent'anni come "l'apice della realizzazione umana, professionale e affettiva" ?

-Voi pensate che la realizzazione in molti campi arrivi pian pianino, costruendola nel tempo, con tenacia e convinzione in ciò che si vuole raggiungere? Oppure sia qualcosa di impossibile nell'epoca in cui viviamo, fatta di incertezze economiche, di riscaldamento globale, di mancanza di valori condivisi?


  

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