Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov'è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l'ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino.
(Anna Politkovskaja, maggio 2004)
La Russia di Putin è una raccolta di cronache scritte dalla giornalista Anna Politkovskaja e pubblicate per la prima volta nel 2004. L'autrice è stata assassinata due anni dopo.
Si può tranquillamente affermare che è morta per la verità!
Dal momento che sto per recensire un saggio corposo, ho selezionato per voi lettori tre cronache da presentare e da riassumere.
A) I CRIMINI DI GUERRA DEL COLONNELLO BUDANOV:
Il 25 luglio 2003 i genitori di El'za Kungaeva, barbaramente uccisa dal colonnello Budanov, avevano chiaro meglio di chiunque altro che cosa stava per succedere e non si presentarono in aula. Erano sicuri che colui che aveva massacrato El'za sarebbe stato assolto.
E invece il colonnello Jurij Budanov è stato degradato di tutte le sue medaglie di valore militare ed è stato condannato a dieci anni di carcere duro per crimini di guerra in Cecenia.
Ma chi era El'za Kungaeva? Per quale motivo è stata uccisa? Perché il colonnello Budanov rappresenta un'eccezione all'interno del sistema giudiziario russo, visto che di solito, in Russia, ai militari si perdona tutto?
Per spiegarvi questo caso devo iniziare da una data, o meglio, da una notte: dalla notte tra il 26 e il 27 marzo 2000.
A mezzanotte il colonnello Budanov, con una piccola pattuglia di commilitoni, si reca alla periferia est del villaggio ceceno di Tangi. Vuole cercare e catturare una donna-cecchino che, un mese e mezzo prima, mediante un attentato terroristico, ha ucciso alcuni dei suoi soldati durante una battaglia.
Anna Politkovskaja riporta la prima confessione di Budanov indirizzata al procuratore del distretto militare del Caucaso settentrionale.
Era giunto a Tangi alle 0.20 ed era entrato in una casa di periferia dove si trovavano due ragazze e due ragazzi. Alla domanda su dove fossero i loro genitori, la maggiore aveva risposto di non saperlo. Budanov aveva ordinato ai suoi sottoposti di avvolgere la ragazza in una coperta e di caricarla sulla macchina. Giunti alla base, la ragazza era stata portata nel suo alloggio. Rimasto solo con lei, le aveva chiesto dove fosse la madre. Fonti militari lo avevano informato che la madre della ragazza era un cecchino. La ragazza aveva risposto di conoscere poco il russo e di non sapere dove fossero i suoi genitori. Budanov le aveva ripetuto che doveva sapere dov'era la madre e quanti russi aveva ammazzato. La ragazza si era messa a strillare, mordere e divincolarsi. Budanov aveva dovuto ricorrere alla forza. Era sopravvenuta una colluttazione, durante la quale Budanov aveva strappato alla ragazza camicia e reggiseno. La ragazza aveva continuato a divincolarsi e Budanov aveva dovuto sbatterla sulla branda e soffocarla.
Quando si accorge di averla uccisa, Budanov chiama i suoi uomini, ordina loro di avvolgere il corpo in una coperta, di portarlo nel bosco e di seppellirlo.
Il cadavere di El'za viene trovato poco dopo l'alba del 27 marzo.
Il primo interrogatorio a Jurij Budanov risale al 28 marzo 2000. In questa giornata il colonnello dichiara di aver saputo da alcune fonti operative che a Tangi viveva una donna cecchino e che una persona gli aveva indicato una casa alla periferia est.
Nel secondo interrogatorio, del 30 marzo 2000, Budanov aggiunge inoltre che la ragazza gli avrebbe detto che lui e i suoi uomini non sarebbero mai usciti vivi dalla Cecenia; quindi avrebbe insultato volgarmente la madre di Budanov e infine avrebbe tentato di scappare.
Nel terzo interrogatorio, due anni più avanti (26.09.2002) Budanov rivela di aver incontrato un ceceno che gli aveva consegnato una foto che ritraeva El'za Kungaeva con un fucile.
Budanov si era mosso nella zona di competenza del suo reggimento, dove era autorizzato a spostarsi. Non si riconosceva colpevole di omicidio premeditato, in quanto non era sua intenzione uccidere la ragazza, si trovava in uno stato di forte turbamento e non sapeva spiegarsi come avesse potuto strangolarla.
A questo punto è necessaria una precisazione che la Politkovskaja non manca di fare: le deposizioni del criminale si modificano di volta in volta dal momento che è il Cremlino a suggerirgli cosa dire durante gli interrogatori, in modo tale da poter evitare le conseguenze penali del crimine commesso.
D'altronde, l'opinione pubblica russa, a proposito del delitto di El'za, la pensava così: (Budanov) aveva ucciso, certo, ma aveva il diritto di farlo, di comportarsi con El'za Kungaeva come aveva fatto in quanto, ritenendola un cecchino responsabile della morte di alcuni ufficiali del reggimento nel febbraio 2000, durante gli scontri violenti nella Gola di Argun, si stava vendicando di un nemico.
Quel che la giornalista giustamente contesta è la mancanza di tatto, da parte del governo, dell'esercito e della popolazione russa verso i Kungaev, la famiglia di una ragazza di diciotto anni.
Non c'è stata una sola dimostrazione di protesta organizzata dalle associazioni femminili e femministe. Non sono scesi in strada nemmeno gli attivisti per i diritti umani.
El'za avrebbe avuto tutta la vita davanti. Una vita stroncata da violenze inaudite, poco prima di essere strangolata. Il suo corpo in effetti presentava numerose ecchimosi ante-mortem e segni di violenze nelle parti intime.
Non sono mai state trovate prove del fatto che questa ragazza, primogenita di quattro figli, facesse parte di organizzazioni terroristiche o di forse armate illegali. Era figlia di gente povera, onesta. Dopo la tragica morte di El'za i Kungaev sono stati costretti a trasferirsi nella tenda di un campo profughi per paura di ritorsioni da parte dei militari. L'associazione Memorial, che ha come funzione principale quella di denunciare i crimini sovietici, trova a questa famiglia un valido avvocato, Stanislav Markelov.
Markelov è russo, un dettaglio fondamentale.
Sarebbero state proprio l'energia di Markelov, una tattica ben scelta e la sua capacità di trattare con la stampa ad attirare sul processo l'attenzione del paese e dei giornalisti di Mosca, russi e stranieri: fu una svolta cruciale per l'iter del processo.
Oltre a ciò, ci sono molti testimoni a favore della parte lesa; sia dei semplici cittadini ceceni sia altri soldati semplici dell'esercito russo, comandati da Budanov. Ma qui non riporto altre testimonianze o deposizioni per ragioni di spazio. E a questo evento di cronaca nerissima la Politkovskaja ha dedicato poco più di 50 pagine.
La giornalista riporta il punto di vista di Umarovic Kungaev, il padre di El'za:
El'za era una ragazza molto riservata, tranquilla, laboriosa, onesta, brava. Si occupava lei delle faccende domestiche, in quanto la madre è malata e non può lavorare. Passava il tempo libero in casa, non usciva mai, non aveva un ragazzo. Si vergognava di intrattenere rapporti con il sesso maschile. Non aveva relazioni intime con nessuno.
(...) Kungaev ritiene che Budanov abbia rapito la figlia e l'abbia stuprata solo perché era una bella ragazza.
E lo penso anch'io. D'altra parte, la sera del 26 marzo 2000, Budanov era ubriaco... ubriaco come spesso lo sono gli uomini dei popoli dell'Est: l'alcol li fa diventare bestiali.
Se Budanov è stato incriminato è perché Gerasimov, suo unico superiore, lo ha denunciato per crimini di guerra. In Russia un militare può essere arrestato e processato solo se un suo superiore lo denuncia.
Poco prima della sentenza definitiva che ha condannato Jurij Budanov a 10 anni di carcere sono state fatte delle perizie psichiatriche come disperati tentativi di scagionarlo. Queste perizie volevano dimostrare, arrampicandosi sugli specchi, che Budanov era ancora stressato a causa dell'esito della battaglia nella Gola di Argun e quindi ha reagito in maniera esagerata agli insulti della Kungaeva. Ma quali insulti se la ragazza non parlava russo?!
Tuttavia Memorial, in collaborazione con Jurij Savenko, direttore dell'Associazione di psichiatria indipendente russa, ha chiesto a degli psichiatri tedeschi di stilare referti sulla base dei materiali che possedevano. I tedeschi hanno fatto pervenire i referti al Bundestag e il tribunale ha deciso poi di allegare agli atti la perizia del dottor Stuart Turner, membro del Royal College of Psychiatrists di Londra. Putin, almeno a inizio secolo, era molto sensibile alle critiche estere e in particolar modo a quelle che provenivano dall'Europa Occidentale, per cui ha ritenuto valide le perizie di inglesi e tedeschi. Germania e Regno Unito hanno dunque cambiato il corso degli eventi e hanno influito l'esito del processo.
Il colonnello Budanov ha trascorso soltanto 7 anni in carcere, è stato lasciato per buona condotta. Ma, nell'estate 2010, pochi mesi dopo essere stato liberato, è stato massacrato da un ceceno, per vendetta.
Tendo ad essere giustizialista con gli assassini che prima stuprano. Io butterei via la chiave e darei l'ergastolo, a tutti. Altroché 10 anni. Poveri Kungaev.
Eppure per una giornalista russa che è vissuta per buona parte della sua vita in uno stato corrotto, questa condanna è stato un evento straordinario.
B) MISHA E LENA:
Lena è stata amica d'infanzia della Politkovskaja. Si è sposata, prima di terminare il dottorato di ricerca, con Misha, un giovane intelligentissimo che riusciva a tradurre simultaneamente dal russo al tedesco ed era per questo finito a lavorare per il Ministero degli Esteri.
Misha aveva avuto un'infanzia molto difficile: la madre era morta di cancro, il padre lo aveva abbandonato e quindi era cresciuto con la nonna. Desiderava diventare padre, ma Lena rimandava la gravidanza: la sua priorità era quella di terminare la tesi di dottorato.
Lena si dà alla ricerca, Misha all'alcol... Per un po' si controlla, poi esplode. Inizia bevendo poco, gli altri lo prendono in giro, ma poi le sue libagioni si prolungano per diversi giorni, con annesse sparizioni e notti passate chissà dove. I giorni diventano settimane. Lena sta per cedere, è a un passo da mettere da parte la tesi, ma come si fa a fare un figlio con uno che è sempre ubriaco?
A causa del suo stato Misha viene licenziato dal suo prestigioso luogo di lavoro. Incolpa Lena per il suo stato e una notte minaccia di ucciderla, tenendo in mano un coltello.
Anna Politkovskaja ricorda bene quella notte in cui Lena è piombata a casa sua in pigiama e pantofole, disperata e spaventata.
Misha e Lena divorziano. Misha, pochi anni dopo, si mette con un'altra donna con la quale ha un figlio, Nikita. Ma è pur sempre un uomo schiavo di sbronze e atti violenti. Uccide quindi la madre di suo figlio. Lo condannano a cinque anni di carcere e di lavori in Mordovia.
Dopo il carcere e i lavori forzati, Misha si avvicina alla Chiesa perché vorrebbe prendere gli ordini monastici.
Ma non riesce mai ad entrare in un monastero.
Quindi scontata la condanna, si rifugia in una chiesetta di campagna, socialmente isolato. Ricomincia a bere e a deprimersi, fino a suicidarsi gettandosi sotto un treno.
Ecco com'è finita la persona più intelligente che abbia mai conosciuto, commenta l'autrice.
Sorvolo su quelle centocinquanta pagine in cui la giornalista racconta, in modo dettagliato, i crimini di Pavel Fedulev, il capo della mafia degli Urali.
C) IL MASSACRO DEL NORD-OST. IL CASO DI JAROSLAV FADEEV:
Nord Ost era uno spettacolo che è stato rappresentato l'8 febbraio 2003 al teatro Dubrovka di Mosca.
Com'è noto, la versione ufficiale dei fatti è la seguente: i quattro ostaggi morti per ferite d'arma da fuoco sono stati uccisi dai terroristi, in quanto le forze speciali dell'FSB che hanno preso d'assalto il teatro non possono essersi sbagliate e non possono aver ucciso dei civili. Ma i fatti sono fatti, Jaroslav ha una pallottola in testa però "non rientra nei quattro uccisi dai terroristi". Jaroslav è il quinto. Al punto "Causa del decesso" del certificato ufficiale consegnato alla madre Irina c'è una riga vuota. Nulla dunque.
Jaroslav aveva sedici anni ed era un figlio modello. Era di ottimo carattere: mite, tranquillo, intelligente.
Quella sera era andato con la madre, la zia e la cugina Anastasija a vedere Nord Ost ma è morto in circostanze che la legge non ha mai chiarito.
A questo punto la Politkovskaja si concentra sull'intervista che ha fatto ad Irina, la madre del ragazzo. Qui vi riassumo e vi riporto i contenuti fondamentali:
Dopo aver riconosciuto il cadavere del figlio all'obitorio, il giorno dopo la strage, Irina aveva tentato il suicidio buttandosi da un ponte che si affacciava su un fiume pieno di lastre di ghiaccio. Ma non è morta, anzi, non si è rotta nemmeno un osso.
Irina è completamente cambiata dopo la morte del figlio: è piena di sensi di colpa ("Ero io che volevo vedere Nord Ost. Lui non ne aveva molta voglia. Sono io che per il suo sedicesimo compleanno gli ho regalato una tomba").
E da suo figlio non si separava mai: gli avevo fatto una promessa, in teatro. Mentre eravamo là, l'ultima notte, qualche ora prima del gas, Jaroslav mi avebvsa detto: "Mamma, ho paura di non farcela... Se dovesse succedere qualcosa, come sarà , dall'altra parte?" Gli avevo risporto di non temere. Eravamo sempre stati insieme... "Come farò a riconoscerti?" mi aveva chiesto lui. "Se ti tengo sempre per mano, finiremo per mano anche di là. Non ci potremo perdere. Tu non mi lasciare mai, dammi sempre la mano..." E invece cos'è successo? L'ho ingannato! Non ci eravamo mai separati, noi. Mai.
(...) Tengo duro, ma dentro sono morta. (...) Quando c'era Jaroslav mi alzavo la mattina convinta di essere la persona più felice della Terra. Avevo quasi l'impressione che me lo invidiassero quel figlio straordinario. Con Jaroslav la mia felicità durava dalla mattina alla sera. Tornavo a casa dal lavoro e scoppiavo di felicità. Lo prendevo per mano, o anche solo per un dito, e attraversavamo la strada di corsa.
In un primo momento Irina ha pensato che fosse stata una cecena a sparare a suo figlio, anche perché ce n'era una che, per un po' di tempo durante quella sera, era accanto a lei, a suo figlio, a sua sorella e a sua nipote e li minacciava di morte.
In realtà le cecene avevano solo pistole. Jaroslav è stato ucciso a colpi di fucile.
Per concludere il post riporto alcune frasi tratte dal diario quotidiano di Jaroslav:
Alla domanda su quali aspetti del suo carattere gli piacessero e quali no, Jaroslav risponde: "Odio essere un vigliacco, un pauroso e un indeciso". Ma la morte lo avrebbe cambiato. Che cosa vorresti migliorare in te? La risposta era stata: "Voglio essere un duro". A scuola aveva degli amici. (...) A casa riusciva ad essere brillante, ironico, deciso, coraggioso. Ma fuori... fuori cominciavano i problemi.
La zia Viktorija ricorda ancora molto bene la paura provata durante l'irruzione dei ceceni in teatro. E afferma che il nipote è stato più coraggioso di tutte loro tre (di lei, di sua figlia e di Irina):
Noi tre, noi donne, ci siamo strette attorno a lui, che era il più giovane, e che ci ha dato forza come un adulto. (...) era calmo, coraggioso, si sforzava di tranquillizzare Anastasija, ci rincuorava, cercava di farsi carico di tutte le preoccupazioni come un uomo adulto.
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