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4 dicembre 2025

"Mirka": film sulle profonde ferite della violenza

🌲21) ACCOGLIENZA🌲

A) INIZIO FILM:

Bosnia Erzegovina orientale, 2006.

Kalsan, una donna anziana che vive con la nipote Elena vicino ad un villaggio di montagna, una sera trova un bambino accovacciato davanti alla porta della stalla, esattamente di fronte alla sua semplice casa.

Si tratta di Mirka, un ragazzino di dieci anni che dice di aver varcato il confine di stato per cercare la mamma. 

Dall'aspetto si intuisce che Mirka è straniero, molto probabilmente serbo, sebbene nel corso del film non vengano mai nominati esplicitamente né lo stato serbo né quello bosniaco.

Nei primi minuti del film Kalsan offre al ragazzino un pasto caldo e un letto, consigliandogli tuttavia di andarsene la mattina successiva, dal momento che nel paesino di montagna in cui la vicenda è ambientata c'è odio, diffidenza e paura nei confronti degli stranieri, soprattutto dopo il genocidio etnico perpetrato da Mladic nell'estate del 1995.

B) L'IGNORANZA E L'ODIO:

Nella scena successiva a questa siamo in pieno giorno. 

Mirka sta correndo nel bosco, inseguito da un gruppo di coetanei che vogliono catturarlo e picchiarlo dato che non lo hanno riconosciuto come un bambino del villaggio.

Dopo essersi nascosto per un po' di tempo tra le solide rocce di un torrente, Mirka torna da Kalsan, mostrandole una coperta ricamata con figure di animali e molto colorata, rinnovando la sua richiesta di aiuto per ritrovare la madre. 

La donna anziana, riconosciuta tacitamente quella coperta come una dei suoi molti ricami di anni fa, gli offre un lavoro: badare, ogni giorno, alle capre e alle mucche della sua stalla. 

Mirka diviene quindi un pastorello.

All'interno di questo toccante e intenso film, gli spettatori si rendono facilmente conto del fatto che gli abitanti di quel villaggio dal nome imprecisato entro il quale si svolgono le vicende sono molto superstiziosi: le mucche si ammalano? Sono svenuti due clienti in un piccolo supermercato nel giro di un mese? C'è l'eclisse solare, segno di cattivi presagi?

La colpa è del piccolo straniero ospitato da Kalsan e da Elena!

La gente del villaggio infatti detesta Mirka. 

Solo Lilly, una bambina dolce e un po' sognante, diventa sua amica.

Anche Strix, un uomo emarginato dalla comunità montana, non ha pregiudizi nei confronti del ragazzino: una mattina gli mostra la sua collezione di gabbie di uccelli nel suo rifugio in mezzo ai boschi.

Secondo le persone del paesino, Strix è una sorta di stregone che trasforma le persone in uccelli con malefici incantesimi. 

In realtà, questo personaggio riesce a mettere in gabbia gli uccelli attraverso il canto.

C) IL PERSONAGGIO DI ELENA:

Elena è fidanzata con Helmut, un fabbricante di maschere dal carattere molto irritabile.

Come quasi tutta la componente femminile del suo paese, Elena è stata violentata nel luglio 1995, quando aveva soltanto quattordici anni. 

Oltre a ciò, la guerra che ha comportato la dissoluzione della Jugoslavia è stata la causa della morte dei suoi genitori.

Elena appare una ragazza insicura a causa dei traumi subiti, le cui ferite non si rimargineranno mai.

Lo spettatore più attento si accorge che in Elena qualcosa non va: la giovane ha paura di indossare una maschera in occasione di una tradizionale fiera di paese, teme inoltre di toccare degli animali in gabbia e rimane impressionata dal crepitio del fuoco di un falò.

Quando Elena riconosce la coperta di Mirka come opera della nonna, scoppia in pianto e trema: quello è un oggetto che la riporta al terribile giorno in cui ha subito lo stupro da parte di un militare serbo.

Ritengo importante evidenziare l'incisività dei flashback in bianco e blu che fanno intuire, per pochissimi secondi, non soltanto ciò che è accaduto ad Elena ragazzina ma anche l'avvenuta nascita di un bambino, frutto della violenza.

Nel film è presente la Fortezza dei Neonati, ovvero, un monumento reale che costituisce una drammatica testimonianza storico-sociale visto che, dai punti più alti, le famiglie del paese hanno gettato i "figli delle violenze".

Tutti hanno ucciso i bambini, solo Kalsan è stata un'eccezione: in un certo momento del film, di fronte ad un amico, ex partigiano come lei, confida di aver deliberatamente deciso di affidare Mirka ad un orfanotrofio riconoscendolo come non colpevole delle atrocità subite da sua nipote e come una persona che ha diritto alla vita.

Mirka è figlio di Elena.

Helmut ritiene Mirka una disgrazia, proprio come quasi tutte le persone residenti nel paesino.

Una volta scoperto che Elena è la madre del "ragazzino bastardo", il loro rapporto entra in crisi.

Dopo la fine della relazione affettiva, Elena inizia ad accettare suo figlio, ritornando serenamente a gustare le piccole e semplici gioie della vita.

D) MIRKA, IL PROTAGONISTA:

Nel corso del film Mirka non parla moltissimo: di tanto in tanto il regista si focalizza sui pensieri e sulle idee, amare e negative, che il bambino si fa degli adulti presenti nel villaggio.

Lo definirei prima di tutto un bambino determinato, dal momento che ha valicato un confine politico, fuggendo quindi da un orfanotrofio per uno scopo ben preciso.

Il protagonista di questo film appare, in qualche momento, un po' vendicativo nei momenti in cui si arrabbia: un pomeriggio brucia un mucchio di paglia piuttosto alto come reazione al fatto che Kalsan lo abbia portato in un orfanotrofio per farlo adottare in un istituto. 

Ad ogni modo, l'istituto risulta essere già stra-pieno di bambini e dunque il direttore rifiuta di prendere anche Mirka.

Inoltre c'è un altro episodio in cui questo ragazzino lancia un sasso rompendo il vetro di un negozio quando due commessi si rifiutano di servire del latte ad Elena soltanto perché custodisce uno straniero tra le mura di casa.

Al di là delle reazioni di Mirka, la tendenza dei preadolescenti di vendicare una cattiva azione subita o da loro stessi o da chi amano è un comportamento strettamente legato allo sviluppo morale e psicologico che caratterizza l'età 10-13: da un lato si desidera l'autonomia e, in qualche momento, si sogna l'età adulta ad occhi aperti, dall'altro ci si identifica o con qualche familiare o con qualche adulto che si stima enormemente per il fatto che si sta uscendo dal ruolo di "bambino protetto" e si sta esplorando un ruolo di "protettore", una modalità di dimostrare lealtà e affetto.

Aggiungo inoltre che, nella fascia 10-13 anni, il concetto di "giustizia" viene interpretato in modo rigido dato che la maturazione emotiva dell'area pre-frontale non è ancora totalmente avvenuta (questo, sottolineo e chiarisco, non ha a che fare con nessun valore di quoziente intellettivo: anche i preadolescenti riconosciuti plusdotati o comunque sopra la media non hanno acquisito del tutto l'auto-regolazione emotiva).

Tuttavia, nell'età delle scuole medie è ben presente la "moralità della cura", teorizzata dalla psicologa americana Carol Gilligan e rispondente al seguente meccanismo comportamentale: "Mi sento responsabile verso coloro con i quali ho un legame emotivo di natura positiva".

Un'altra qualità che ho riconosciuto in questo ragazzino, non meno importante di altre, è la seguente: la maturità.

Lo sottolineo perché ho constatato che, nonostante abbia intuito l'identità di sua madre, aspetta che sia la ragazza stessa a riconoscerlo come figlio prima di iniziare a costruire un rapporto confidenziale con lei.

Edificante, straordinario e commovente (almeno per me che sono profondamente umana) è l'abbraccio finale tra madre e bambino negli ultimi istanti della proiezione.

Elena si rivela straordinaria dato che riesce a trarre vita da un trauma gravissimo e oltremodo umiliante.


Aggiungo un'ultima nota: non condivido frasi come queste riportate qui sotto e ascoltate abbastanza recentemente dal segretario di un partito che ultimamente si sta "perdendo" in polemiche etiche futili e rovinose, tutt'altro che utili per il presente e per l'avvenire del paese. 
Eccovele.

"Che vita da cani fa una persona che sa di essere frutto di una violenza? Non ha senso che nasca". 
(Ah già: perché "la scienza e i dati oggettivi dimostrano che prima delle dodici settimane dentro l'utero materno non c'è una persona). 

Davvero? Questa è una fotografia scientifica:


(Embrione a sei settimane: è piccolo come un mirtillo ma il cuore è già formato).

Ma chi cacchio sei tu per giudicare in questo modo le scelte altrui e, soprattutto, per etichettare in modo così lapidario le origini e le vite degli altri? 

Il percorso di vita di una persona che proviene da una violenza potrebbe rivelarsi meraviglioso, potrebbe risultare un punto di riferimento per diverse persone, intorno ai 30 anni potrebbe essere a buon punto della propria realizzazione personale e professionale. 

28 novembre 2025

"HOKAGE": LE CONSEGUENZE PSICOSOCIALI DELLA GUERRA IN GIAPPONE

1) SHINYA TSUKAMOTO:

Nato a Tokyo, Tsukamoto si è appassionato al cinema già da ragazzino, quando il fratello componeva dei "Super8" che si ispiravano ai film di Kaiju.

Tuttavia, la carriera di Tsukamoto è iniziata a teatro: è stato il fondatore della compagnia teatrale "Kaiju Theater" e, durante questa fase lavorativa, ha sviluppato alcune capacità tecniche utili per i suoi film.

Alla fine degli anni Ottanta, Shinya Tsukamoto ha prodotto alcuni spot commerciali e un medio-metraggio, Le avventure del ragazzo del palo elettrico, ambientato nei quartieri più degradati delle periferie delle metropoli giapponesi. 

Successivamente, influenzato anche dal canadese David Cronenberg, Tsukamoto si è concentrato di più su temi come l'alienazione, l'identità e la fragilità umana.

2) SIGNIFICATO DEL TITOLO:

Hokage in giapponese significa "ombra di fuoco". 

Shinya Tsukamoto, nello spiegare alcuni collegamenti tra questo e altri suoi film, spiega anche la scelta del titolo:

"Il film narra di un fuoco e delle ombre in continuo movimento che questo proietta tutto intorno, ma soprattutto delle persone che vivono nascoste tra queste ombre."

I personaggi di Hokage sembrano ombre a causa dei traumi subiti: nessuno di loro è sereno e nessuno di loro ha delle prospettive per il futuro. Vivono un presente profondamente segnato dai dolorosi traumi delle violenze subite.

3) AMBIENTAZIONE DEL FILM:

L'ambientazione si svolge per gran parte in locali interni e il periodo è l'autunno del '45, poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale. 

I personaggi risultano tutti anonimi. Il regista ha ammesso di aver raccolto delle testimonianze dirette dei sopravvissuti alla seconda guerra mondiale.

4) LA PROSTITUTA:

Nel suo inizio, il film ci presenta una giovane donna intorno ai 25 anni, costretta a prostituirsi dopo la morte in guerra del marito e dopo la perdita del figlio. 

La sua vita è infelice, monotona: trascorre le giornate in una piccola casa, la cui porta è sempre aperta, senza dedicarsi a nessun interesse in particolare.

Un giorno entra a casa della donna un bambino orfano costretto a rubare per sopravvivere e con lui un soldato che non può approfittare della prostituta per mancanza di soldi. In compenso però, va da lei ogni sera per cucinare, chiacchierare e riposare.

Prima della guerra, il soldato era un maestro di matematica e ora, nel '45, soffre di sindrome da stress post-traumatica a causa di bombardamenti e violenze.

Sia il bambino che il soldato tornano dalla giovane prostituta tutte le sere.

Una mattina però, il soldato vuole costringere la donna ad un rapporto dopo aver cacciato il piccolo. Pochi minuti dopo, il bambino riesce a rientrare in casa e a farlo uscire di casa puntandogli una pistola, trovata per strada. 

La prostituta, traumatizzata e scossa, convince il bambino a consegnarle la pistola per riporla all'interno di un vaso e, pur di non vederlo più rubare cibo nelle case altrui o al mercato della città, gli propone di rimanere a vivere con lei. 

La prostituta inizia a prendersi cura dell'orfano cucendogli la camicia piena di strappi, preparandogli una camera e dicendogli di trovare dei lavoretti per portare a casa qualche soldo. 

Pur sentendo la mancanza del marito e pur tenendo una sua fotografia vicino al letto, la donna intrattiene rapporti strani con un altro uomo, non romantici e neppure troppo seri, riservandogli battute un po' ironiche: "Ti piacerebbe se fossi tua moglie?". Non so se lei abbia visto in questa figura qualche riflesso di suo marito.

Una sera l'orfano torna a casa molto tardi e ferito, per questo motivo la sua prostituta si arrabbia molto, convinta che si sia fatto coinvolgere in un litigio tra bambini.

In realtà il bambino è andato vicino ai binari della stazione cittadina, ha visto che i passeggeri gettavano dei frutti da un treno e, mentre li raccoglieva da terra, erano arrivati dei ragazzi che lo avevano picchiato per sottrargli la verdura. Ma un uomo, dopo aver preso le sue difese, gli ha proposto un lavoro.

Intanto la donna si accorge, davanti allo specchio, dei segni di una malattia della pelle, forse causata dalle radiazioni e a quel punto manda via il bambino da casa sua: "Io in te rivedevo mio figlio, ma tu in realtà non sei così intelligente. Ti odio!".

Così l'orfano prende la pistola e scappa. A questo punto incontra di nuovo l'uomo che lo aveva difeso alla stazione e che lo ospita a casa sua per alcuni giorni.

5) LA GUERRA COME TRAUMA SOCIALE:

  • Desideri di vendetta:

Una settimana dopo, uomo e bambino si recano all'interno di una villa finché non vedono arrivare una coppia benestante per l'ora di cena: il marito era un generale dell'esercito che non è così sereno, dato che prova rimorsi per le azioni che si è trovato a dover compiere durante gli anni di guerra.

L'uomo che ha accompagnato il bambino nella villa spara al generale di cui fino a poco tempo prima era sottoposto. Non lo uccide, ma, con intento vendicativo, gli rinfaccia tutto ciò che ha compiuto di deleterio: quando ha costretto un suo sottoposto a stuprare una donna, quando ha fatto uccidere un altro soldato che si era rifiutato di sparare sui civili... fino ad esclamare: "Tu hai reso un mostro anche me!".

  • Le condizioni psicologiche dei soldati:

In questo film, un bambino di appena 8 anni si trova costretto a vedere soldati traumatizzati, gravemente feriti, pieni di sensi di colpa, esauriti, depressi, soprattutto quando percorre i sotterranei e i quartieri della città.

6) IL BAMBINO:


Il vero protagonista del film è il bambino che rimanda a quella generazione responsabile della rinascita socio-economica del Giappone.

Tsukamoto ha dichiarato che "Hokage è una preghiera, il simbolo di una speranza che nutro nelle nuove generazioni e nella possibilità che esse diano un futuro migliore rispetto agli ultimi decenni".


20 novembre 2025

"UNA TOMBA PER LE LUCCIOLE", ISAO TAKAHATA

20) IL GIAPPONE ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

Una tomba per le lucciole è un film animato uscito nel 1988 e prodotto dallo Studio Ghibli. Il regista è Isao Takahata, un collega di Miyazaki, che, con quest'opera, ha adattato l'anime omonimo di Akiyuki Nosaka.

A) L'INIZIO DEL FILM:

Estate 1945. 

L'adolescente Seita, solo e molto indebolito, sta morendo di inedia, come molte altre persone, alla stazione di Kobe. 

Ciò che impressiona in quesa prima scena del film è sia continuo via vai delle persone, indifferenti di fronte alla sofferenza di altri esseri umani, sia l'atteggiamento dei lavoratori all'interno della stazione: un addetto alle pulizie raccoglie una scatola di latta, che tempo prima conteneva caramelle, vicina alla mano di Seita e la getta in un giardino vicino, senza preoccuparsi minimamente delle condizioni del ragazzo. 

Proprio in quel momento appare il fantasma della sorella del ragazzo: si tratta di Setsuko, una bambina ancora piccola.

B) IL BOMBARDAMENTO AEREO:

Da qui inizia il flashback degli ultimi tre mesi di vita di Seita e Setsuko: un bombardamento aereo da parte degli americani distrugge molte case della cittadina in cui i due fratelli vivono con la madre. 

Il loro padre è in servizio come ufficiale della Marina Imperiale Giapponese.

Seita e Setsuko riescono ad arrivare al rifugio antiaereo, la loro mamma invece muore a seguito di gravi ustioni.

C) IL SOGGIORNO DA UNA ZIA E LA FAME:

I due protagonisti cercano rifugio da una zia in una casa di campagna. Setsuko è molto traumatizzata a causa della morte della madre: di notte piange e continua a chiedere di lei al fratello. 

Quando il cibo non è più sufficiente per il razionamento forzato delle provviste, la zia inizia a vedere i due nipoti come un peso: li rimprovera per sciocchezze, li tratta male, insiste che Seita si arruoli nell'esercito per onorare l'imperatore.

Seita allora, stanco delle continue strigliate della zia, decide di rifugiarsi con la sorella in una grotta vicina ad un lago... ma il cibo non basta mai e il ragazzo si trova costretto a rubare ai contadini e a saccheggiare le case degli sfollati, mentre la bambina è sempre più debole e denutrita.

Setsuko muore proprio nel giorno in cui si annuncia la resa dell'Impero Giapponese (14/08/1945).

Il Giappone degli anni Quaranta era governato da una dittatura militare. 

Il 1945 non è stato soltanto l'anno della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki ma anche l'anno dell'occupazione militare da parte degli Stati Uniti: l'imperatore Hirohito ha dichiarato la resa dopo la dichiarazione di Potsdam in cui si decidevano anche i destini dei paesi asiatici del Pacifico.

Una sera, Seita fa la cremazione del corpo della sorella, circondato da molte lucciole vaganti nell'aria. 

Poi si lascia morire, credo anche per il senso di colpa, alla stazione della città più vicina.

Secondo una leggenda giapponese, i fantasmi dei due ragazzi si trovano ancora nei dintorni della grotta vicina al lago.

D) SEITA:

Si tratta da un lato di un ragazzo positivo e protettivo: nei momenti di quiete dai bombardamenti porta la sorella a giocare al mare e una sera, dopo il tramonto, con Setsuko rincorre le lucciole nei campi. 


Per questo motivo Seita mi ha ricordato il film La vita è bella, opera dove il protagonista (Benigni), ebreo, costruisce giochi immaginari per proteggere il figlio dagli orrori del nazismo.

Dall'altro lato però la colpa è indirettamente di Seita se Setsuko è morta: scegliendo di andarsene dalla casa della zia, il ragazzo ha costretto una bambina intorno ai cinque anni a vivere una situazione di disagi, di fame e di emarginazione sociale. 

E) ASPETTI NEGATIVI E POSITIVI DEL FILM:

Uno dei pochi lati deboli di Una tomba per le lucciole è questo: il regista sembra, a mio avviso, concentrarsi troppo sulla situazione difficilissima dei due protagonisti, perché manca il confronto con le condizioni di vita di altri bambini e ragazzi come loro. 

In compenso, l'efficace espressività dei personaggi è stata inserita in un contesto tragico che denuncia la crudeltà della guerra e mette in luce le condizioni economiche e sociali di un popolo che, pur essendo diventato molto povero, risulta ancora molto ideologizzato.

F) IL TITOLO DEL FILM:

Nella scatola di metallo, vuota di caramelle, Seita e Setsuko rinchiudono una lucciola morta, che è probabilmente il simbolo delle loro vite spezzate da ideologie politiche, dalla miseria economica di un Giappone all'epoca disastrato e da una guerra che ha tolto loro i genitori e un presente sereno.

Io però, in questo titolo drammatico, scorgo anche una lieve allusione alla bellezza della natura che contrasta con la tragedia della guerra: suggestivo è il momento in cui, una sera, i due fratelli si ritrovano circondati da molte piccole lucciole che vagano per la campagna, all'imbrunire, quando la luce del tramonto si spegne per far brillare la luna.


14 novembre 2025

"Ciàula scopre la luna": un racconto che restituisce dignità ai miseri

Eccovi il miglior racconto di Pirandello che abbia mai letto.

Ve lo commento citando le parti più importanti e più significative.


A) INCIPIT RACCONTO:

I picconieri, quella sera, volevano smettere di lavorare senz'aver finito d'estrarre le tante casse di zolfo che bisognavano il giorno appresso a caricar la calcara. Cacciagallina, il soprastante, s'affierò contr'essi, con la rivoltella in pugno, davanti la buca della Cace, per impedire che ne uscissero.

- Corpo di... sangue di... indietro tutti, giù tutti di nuovo alle cave, a buttar sangue fino all'alba, o faccio fuoco!

-Bum! - fece uno dal fondo della buca. - Bum! - echeggiarono parecchi altri; e con risa e bestemmie e urli di scherno fecero impeto, e chi dando una gomitata, chi una spallata, passarono tutti, meno uno.
Chi? Zi' Scarda, si sa, quel povero cieco d'un occhio, sul quale Cacciagallina poteva fare bene il gradasso. 

L'autore presenta ai lettori un contesto lavorativo di tremendo sfruttamento e di schiavismo assolutamente indifferente per le condizioni di salute dei lavoratori.

Purtroppo, ai giorni nostri, il lavoro in miniera esiste ancora: basti ricordare quelle decine di migliaia di bambini che lavorano nelle miniere di cobalto in Congo.

D'altronde, gli immigrati che, per un determinato periodo di tempo, si trovano a soggiornare nel nostro paese, sono soggetti più degli autoctoni a queste forme disumane di lavoro, soprattutto nelle campagne. In Veneto alcuni imprenditori agricoli danno un salario di 4 euro l'ora agli stranieri: queste sono paghe che non rispecchiano né la quantità di ore giornaliere dedicate all'impiego né rendono giustizia alla fatica delle mansioni.

Vergognoso, per un paese europeo pieno di risorse come il nostro, è stato anche il caso di Satnam Singh, trentunenne indiano che lavorava in nero nei campi e che, a seguito di un incidente con un macchinario che gli ha amputato il braccio, è stato abbandonato sul ciglio della strada dal datore di lavoro, persona non solo inadeguata di ricoprire quel ruolo ma anche indegna di essere considerato parte della specie umana. 

Quell'imprenditore non è un uomo, è molto più crudele di una bestia, per lasciar morire dissanguato un uomo nel fiore degli anni!

Quando Satnam è morto aveva la stessa età di Matthias.

Del resto, aveva anche lui (Zi Scarda), a sua volta, sotto di sé qualcuno più debole, sul quale rifarsi più tardi: Ciàula, il suo caruso.

Il vero protagonista del racconto compare come un oppresso.

Nelle dure facce quasi spente dal bujo crudo delle cave sotterranee, nel corpo sfiancato dalla fatica quotidiana, nelle vesti strappate, avevano il livido squallore di quelle terre senza un filo d'erba, sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai.

Pirandello si dimostra molto abile e molto incisivo nel delineare, agli occhi dei lettori, l'aspetto di chi lavora nelle miniere siciliane.

(...) zi' Scarda, quando, quattr'anni addietro, gli era morto l'unico figliolo, per lo scoppio d'una mina, lasciandogli sette orfanelli e la nuora da mantenere. Tuttora gliene veniva giù qualcuna più salata delle altre (lacrima); ed egli la riconosceva subito: scoteva il capo, allora, e mormorava un nome: - Calicchio.
In considerazione di Calicchio morto, e anche dell'occhio perduto per lo scoppio della stessa mina, lo tenevano ancora lì a lavorare.

L'autore racconta con poche frasi la tragedia che ha segnato la vita di Zi' Scarda per due traumi: la morte del figlio e la perdita di un occhio.

Tuttavia: siamo proprio sicuri che Cacciagallina continui a "concedere gentilmente" il posto di lavoro a questa persona esclusivamente per un senso di compassione?

Gli incidenti mortali o invalidanti sul lavoro sono ancora un problema nel nostro secolo? 

Direi di sì: al di là del settore minerario, in Veneto nel 2024 sono stati registrati quasi ottanta decessi sul lavoro. Verona risulta la provincia con il più alto numero: il settore più a rischio riguarda le attività di manifattura.

Quando Cacciagallina alla fine lo lasciò per correre dietro agli altri e indurre con le buone maniere qualcuno a far nottata, zi' Scarda lo pregò di mandare almeno a casa uno di quelli che ritornavano al paese, ad avvertire che egli rimaneva alla zolfara e che perciò non lo aspettassero e non stessero in pensiero per lui; poi si volse attorno a chiamare il suo caruso, che aveva più di trent'anni (e poteva averne anche sette o settanta, scemo com'era); e lo chiamò col verso con cui si chiamava le cornacchie ammaestrate (...)

In questo passaggio, Pirandello inizia un focus descrittivo su Ciàula, che continua:

(...) (Ciàula) indossava sul torace nudo, in cui si poteva­no contare a una a una tutte le costole, un panciotto bello largo e lungo, avuto in elemosina, che doveva essere stato un tempo elegantissimo e sopraffino (ora il luridume vi aveva fatto una tal roccia, che a posarlo per terra stava ritto). Con somma cura Ciàula ne affibbiava i sei bottoni, tre dei quali ciondolavano, e poi se lo mirava addosso, passandoci sopra le mani, perché veramente ancora lo stimava superiore a' suoi meriti: una galanteria. Le gambe nude, misere e sbilenche, durante quell'ammirazione, gli si accapponavano, illividite dal freddo. Se qualcuno dei compagni gli dava uno spintone e gli allungava un calcio, gridandogli: - Quanto sei bello! - egli apriva fino alle orecchie ad ansa la bocca sdentata a un riso di soddisfazione, poi infilava i calzoni, che avevano più d'una finestra aperta sulle natiche e sui ginocchi: s'avvolgeva in un cappottello d'albagio tutto rappezzato, e, scalzo, imitando meravigliosamente a ogni passo il verso della cornacchia -cràh! cràh! - (per cui lo avevano soprannominato Ciàula), s'avviava al paese.

Quindi oltre ad ipotizzare l'età del personaggio principale (molto simile a quella di Satnam Singh), il narratore ci fornisce dettagli sul suo abbigliamento e sul suo fisico, oltre a chiarire il motivo per il singolare soprannome Ciàula.

- Rimettiti il sacco e la camicia. Oggi per noi il Signore fa notte.

Odio quando il Signore viene nominato invano! 

Ma proseguiamo con le citazioni e i commenti:

Se non fosse stato per la stanchezza e per il bisogno del sonno, lavorare anche di notte non sarebbe stato niente, perché laggiù, tanto, era sempre notte lo stesso. 

Cosa strana: della tenebra fangosa delle profonde caverne, ove dietro ogni svolto stava in agguato la morte, Ciàula non aveva paura, né paura delle ombre mostruose, che qualche lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie, né del subito guizzare di qualche riflesso rossastro qua e là in una pozza, in uno stagno d'acqua sulfurea: sapeva sempre dov'era; toccava con la mano in cerca di sostegno le viscere della montagna: e ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno. 

Ciàula, come d'altronde i suoi compagni di fatiche, è assuefatto ad una vita alienante e sempre in penombra, alla quale, finora, sembra essere precluso qualsiasi contatto con la bellezza.

Ogni sera, terminato il lavoro, ritornava al paese con zi' Scarda; e là, appena finito d'ingozzare i resti della minestra, si buttava a dormire sul saccone di paglia per terra, come un cane; e invano i ragazzi, quei sette nipoti orfani del suo padrone, lo pesta­vano per tenerlo desto e ridere della sua sciocchezza; cadeva subito in un sonno di piombo, dal quale, ogni mattina, alla punta dell'alba, soleva riscuoterlo un noto piede.

Che vita infernale! Qui Pirandello, con altre informazioni, sta evidenziando la mancanza di un riconoscimento della dignità per Ciàula.

Queste frasi denunciano non soltanto una mancanza di rispetto ben diffusa nei confronti degli strati sociali più bassi ma anche l'ignoranza abissale che connota la gente del paese vicino alle miniere.

Siamo molto vicini ai maltrattamenti subiti quotidianamente dal Malpelo di Verga, anche lui minatore:

Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorchè se lo trovavano a tiro.

Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel suo pane di otto giorni, come fanno le bestie sue pari; e ciascuno gli diceva la sua motteggiandolo (...).

Ma torniamo al racconto di Pirandello. 

In seguito, l'autore si sofferma un pochino sulla paura del buio di Ciàula:

(...) La paura lo aveva assalito, invece, nell'uscir dalla buca nella notte nera, vana. S'era messo a tremare, sperduto, con un brivido per ogni vago alito indistinto nel silenzio arcano che riempiva la sterminata vacuità, ove un brulichio infinito di stelle fitte, piccolissime, non riusciva a diffondere alcuna luce.

Il bujo, ove doveva essere lume, la solitudine delle cose che restavan lì con un loro aspetto cangiato e quasi irriconoscibile, quando più nessuno le vedeva, gli avevano messo in tale subbuglio l'anima smarrita, che Ciàula s'era all'improvviso lanciato in una corsa pazza, come se qualcuno lo avesse inseguito.

Per Ciàula il silenzio della notte è arcano dal momento che gli è indecifrabile e immenso. 

Forse potrebbe aver provato la sensazione di sentirsi piccolo e limitato di fronte all'immensità del cielo, proprio come un Ungaretti soldato che, nella lunga poesia I Fiumi, ricordava la sua vita vissuta fino a quel momento sentendosi una docile fibra dell'Universo.

Tuttavia Ciàula è sereno di fronte al brulichio delle stelle?! 

Penso che tutte quelle stelle piccole che non diffondono luce richiamino implicitamente alla condizione dei minatori della Sicilia del secolo scorso: il brulichio può essere connesso al loro duro, faticosissimo e interminabile lavoro, mentre la luce piccola alla loro individualità non valorizzata, anzi, calpestata. 

Probabilmente per questo Ciàula ha l'anima disorientata, smarrita e non trae conforto da una notte come quella.

A mano a mano che zi' Scarda caricava, Ciàula sentiva piegarsi, sotto, le gambe. Una, a un certo punto, prese a tremargli convulsamente così forte che, temendo di non più reggere al peso, con quel tremitìo, Ciàula gridò:

         - Basta! basta!

(...) Per un momento la paura del bujo della notte fu vinta dalla costernazione che, così caricato, e con la stanchezza che si sentiva addosso, forse non avrebbe potuto arrampicarsi fin lassù. Aveva lavorato senza pietà tutto il giorno. Non aveva mai pensato Ciàula che si potesse aver pietà del suo corpo, e non ci pensava neppur ora; ma sentiva che, proprio, non ne poteva più.

Un mulo è considerato, non un uomo. 

E non vedeva ancora la buca, che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d'una deliziosa chiarità d'argento.

La buca, che sostanzialmente è l'uscita dalla cava, appare come un occhio, una porta per le meraviglie della natura, estranea alle ingiuste disparità sociali.

E Ciàula si affaccia all'uscita.

Il finale del racconto risulta a mio avviso commovente:

Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.


7 novembre 2025

La luna e il tempo della vita:

19) "LUNA LETTERARIA"

In questo post vi presento alcune poesie in cui la luna sembra essere un elemento integrato con lo scorrere del tempo della vita.

Inizio con Salvatore Quasimodo e concludo con un componimento di Mark Strand, poeta canadese attivo nel secolo scorso.

1."RIDE LA GAZZA NERA SUGLI ARANCI", SALVATORE QUASIMODO:

     Forse è un segno vero della vita:
       intorno a me fanciulli con leggeri
       moti del capo danzano in un gioco
       di cadenze e di voci lungo il prato
       della chiesa. Pietà della sera, ombre
       riaccese sopra l’erba così verde,
       bellissime nel fuoco della luna!
       Memoria vi concede breve sonno:
       ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
       per la prima marea. Questa è l’ora:
       non più mia, arsi, remoti simulacri.
       E tu vento del sud forte di zagare,
       spingi la luna dove nudi dormono
       fanciulli, forza il puledro sui campi
       umidi d’orme di cavalle, apri
       il mare, alza le nuvole dagli alberi:
       già l’airone s’avanza verso l’acqua
       e fiuta lento il fango tra le spine,
       ride la gazza, nera sugli aranci.

Rieccola, la melanconica poesia proposta dal Ministero dell'Istruzione nel lontano giugno 2014 come tema di analisi letteraria, prova scritta in cui avevo ottenuto il massimo del punteggio.

L'ho rivelato anche tempo fa: io rientravo nel 4,2% di quei maturandi che avevano optato per il tema meramente letterario. 

Due anni prima, nel giugno 2012, mentre io ero in ferie in Umbria con mia mamma e mio zio, durante il suo esame di maturità Matthias aveva sviluppato la traccia sulle responsabilità etiche e sociali della tecnologia, coerente con la sua tesina su Isaac Asimov e la robotica.

Sarebbero state ostiche anche per me le tracce che si sono ritrovati i maturandi 2012, innanzitutto per la scelta di una poesia del sibillino Eugenio Montale come tema letterario e per la doppia opzione in ambito etico-sociale: una traccia sui risvolti morali della tecnica e un'altra che implicava una riflessione sul bene comune partendo, addirittura, dalle riflessioni filosofiche di Tommaso D'Aquino.

Per il poeta, la memoria della propria infanzia è molto vivido, al punto tale che appare come vera realtà e quindi come segno vero della vita.

Quindi la sera è quel momento in cui i ricordi appaiono simili ad ombre riaccese, stagliate nel prato verde illuminato dalla luce lunare.

La luna, alla quale in questa lirica, composta da endecasillabi sciolti, è attribuito un colore rosso molto vivo (nel fuoco della luna), contribuisce a ravvivare i ricordi dell'infanzia e della giovinezza, in particolare, la positiva ma nostalgica immagine della terra natale del poeta.

Il contenuto dell'idillio Alla luna del Leopardi ventenne non differisce poi molto dal punto di vista dei significati: nel suo dialogo con un elemento naturale amico, il poeta di Recanati immaginava la luna come un elemento non soltanto in grado di accogliere il suo dolore e le sue tristi esperienze passate ma anche come custode delle sue speranze per il futuro:

  1. Ma nebuloso e tremulo dal pianto
  2. che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
  3. il tuo volto apparia, che travagliosa
  4. era mia vita: ed è, né cangia stile,
  5. o mia diletta luna. E pur mi giova
  6. la ricordanza, e il noverar l’etate 
  7. del mio dolore. Oh come grato occorre
  8. nel tempo giovanil, quando ancor lungo
  9. la speme e breve ha la memoria il corso,
  10. il rimembrar delle passate cose,
  11. ancor che triste, e che l’affanno duri!

Invece, nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, la luna viene definita intatta dal momento che è considerata indifferente alle sofferenze umane ed estranea allo scorrere del tempo, strettamente legato alla tribolata vita degli uomini:

               Se la vita è sventura,

  1. perché da noi si dura?
  2. Intatta luna, tale
  3. è lo stato mortale.
  4. Ma tu mortal non sei,
  5. e forse del mio dir poco ti cale.

La luna è "altro" dall'umanità, non è più quindi né una confidente né una custode di piacevoli memorie o di dolci speranze. 

Oltretutto, la luna percorre eternamente lo stesso tragitto nel cielo.

Tra le domande-guida dell'esame ricordo in particolar modo la richiesta di chiarire il significato dell'espressione pietà della sera. Innanzitutto è fondamentale riconoscere che si tratta di una personificazione. 

Comunque l'autore si riferisce non soltanto alla constatazione della fine del giorno ma anche all'accettazione della morte che, lentamente ma inesorabilmente, si avvicina.

Quell'espressione richiama alla finitezza dell'esistenza, proprio come il breve testo di Ed è subito sera:

Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Qui si mette in evidenza la solitudine che ogni uomo sperimenta e attraversa nel corso dell'esistenza, accentuata dal fatto che la sua visione dei fatti e i suoi valori lo illudono di essere al centro del mondo e di essere detentore di verità. 

L'esistenza viene trafitta di tanto in tanto da un gioioso ma effimero raggio di sole, come breve e caduca è la vita. 

Ad ogni modo, in Ride la gazza, nera sugli aranci, sembra quasi che i fanciulli, probabilmente identificabili con i ragazzini coetanei dell'autore, stiano danzando sotto gli occhi di Quasimodo. 

Anche le memorie uditive risultano ben nitide e, tra queste, lo scroscio dell'acqua nel pozzo, salita per effetto della marea.

Questa è l’ora:/non più mia, arsi, remoti simulacri.

Un'altra frase "ad effetto", molto suggestiva e molto significativa: Quasimodo afferma che le immagini che costituivano esperienze gioiose nel passato non sono più reali ma anzi, sono distanti nel tempo, sebbene suscitino emozioni sentite.

Tutta la seconda parte della poesia verte su uno stupore lirico manifestato nei confronti della natura.

In seguito, sembra ci sia il desiderio che il placido paesaggio notturno venga stravolto dal vento, il quale diffonde il profumo dei fiori d'arancio (zagàre). 

Bellissime risultano inoltre le esortazioni rivolte al vento: apri/ il mare, alza le nuvole dagli alberi.

Alla chiusura della poesia può essere data la seguente interpretazione: la gazza, anche se ride, potrebbe richiamare al buio della morte dato che è nera. 

Tuttavia, il volatile si trova sugli aranci e questo vivace colore dei frutti può rappresentare l'adesione alla vita e l'accettazione della vecchiaia.

Ci sarebbe un collegamento anche con Tasso, uno con Pascoli (inseriti entrambi nel mio tema di maturità) e anche un altro con Zanzotto, ma in questo momento non ho molta voglia di scomodarli.

2. "THE MOON", MARK STRAND:

Open the book of evening to the page
where the moon, always the moon, appears

between two clouds, moving so slowly that hours
will seem to have passed before you reach the next page

where the moon, now brighter, lowers a path
to lead you away from what you have known

into those places where what you had wished for happens,
its lone syllable like a sentence poised

at the edge of sense, waiting for you to say its name
once more as you lift your eyes from the page

and close the book, still feeling what it was like
to dwell in that light, that sudden paradise of sound.


I think this Strand's poem could be considered a metaphor of life.
I supposed the book of the evening may refer to all the moments which a human being should dedicate to think about his past and present life.
Furthermore, the moon could be a symbol of time and the fact that it appears between two clouds might mean that nobody can know exactly what future will reserve: we have always been able to dream about what will happen to us, especially during the youth. 
Nevertheless, we ought to consider that our plans might not go as we had imagined or as we had desired.
Anyway, little by little, the time which is symbolized by moon, will reveal us what our life goals and challenges will be.

But what if life took us on better paths than we had dreamed?

This Strand's poem reminds me two verses written by D'Annunzio: O falce di luna calante/che brilli su l’acque deserte,/o falce d’argento, qual mèsse di sogni/ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Here, the moon is hence compared to a scythe that reaps human dreams. So, in D'Annunzio's poem, not only is this aster sparkling in the sky but also it seems to keep people's dreams. 


But let's return to Mark Strand. 
His poem winds up with an exhortation, probably written to remember "what it was like/to dwell in that light".