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6 febbraio 2025

"Memoria, dolore e morte"- spunti di riflessione letterari:

3) LO STRETTO RAPPORTO TRA MEMORIA, RICORDO ED ELABORAZIONE DEL LUTTO.

LETTERATURA ITALIANA:

GIUSEPPE UNGARETTI

IN MEMORIA

    (Locvizza il 30 settembre 1916)

    Si chiamava
    Moammed Sceab

    Discendente
    di emiri di nomadi
    suicida
    perché non aveva più
    Patria
    Amò la Francia
    e mutò nome

    Fu Marcel
    ma non era Francese
    e non sapeva più
    vivere
    nella tenda dei suoi
    dove si ascolta la cantilena
    del Corano
    gustando un caffè

    E non sapeva
    sciogliere
    il canto
    del suo abbandono

    L’ho accompagnato
    insieme alla padrona dell’albergo
    dove abitavamo
    a Parigi
    dal numero 5 della rue des Carmes
    appassito vicolo in discesa.

    Riposa
    nel camposanto d’Ivry
    sobborgo che pare
    sempre
    in una giornata
    di una
    decomposta fiera

    E forse io solo
    so ancora
    che visse

La poesia è composta da sette strofe di versi sciolti. Analizzo il contenuto delle prime tre:

    Si chiamava
    Moammed Sceab

    Discendente
    di emiri di nomadi
    suicida
    perché non aveva più
    Patria
    Amò la Francia
    e mutò nome

    Fu Marcel
    ma non era Francese
    e non sapeva più
    vivere
    nella tenda dei suoi
    dove si ascolta la cantilena
    del Corano
    gustando un caffè

Mohammed Sceab era un giovane di origini arabe ospite dell'albergo del Quartiere Latino in cui Giuseppe Ungaretti abitava quando dimorava a Parigi. 
Il suo suicidio è avvenuto nel 1913 perché si sentiva senza radici e senza identità: non più immerso nella cultura e nelle tradizioni del suo paese, mai davvero integrato in un paese diverso dal suo. 
Affascinato dalla Francia, Mohammed si è impegnato per adattarsi allo stile di vita di un paese europeo (cambiando peraltro anche nome) ma con la persistente sensazione di estraneità.
Sceab è un estraneo anche a se stesso e al suo bagaglio di vita che appartiene a terre oltre il Mediterraneo.


Notate che nella terza strofa c'è un unico verbo al presente, "si ascolta", il primo in 17 versi riferito ad un'abitudine, quella di gustare un caffè ascoltando il Corano, che continua ad essere praticata nonostante Mohammed sia quel "pezzo di un puzzle" familiare e sociale trasferitosi all'estero.


(Ma per voi, quel "gustando" ha valore di proposizione temporale implicita oppure di proposizione modale implicita?).

La quarta strofa è, a mio avviso, molto collegata alla settima, ma su entrambe mi soffermo tra poco.
Andiamo alle strofe 5-6:

    L’ho accompagnato
    insieme alla padrona dell’albergo
    dove abitavamo
    a Parigi
    dal numero 5 della rue des Carmes
    appassito vicolo in discesa.

    Riposa
    nel camposanto d’Ivry
    sobborgo che pare
    sempre
    in una giornata
    di una
    decomposta fiera

Nella quinta strofa il poeta mette in evidenza la condizione di solitudine di Sceab e dà una precisa indicazione di via e numero civico in cui il giovane viveva. 
Qual'è l'accezione dell'aggettivo "appassito" in questo contesto? A mio avviso è improbabile che qui Ungaretti si riferisca alle foglie appassite cadute dalle piante in autunno. La poesia è ambientata alla fine di settembre, l'autunno è appena appena iniziato, le foglie ingialliscono ma ancora non scendono dagli alberi. L'aggettivo "appassito" può forse alludere ad una vegetazione inaridita dalle temperature ancora piuttosto calde e da un clima secco, peraltro abbastanza plausibile nel nono mese dell'anno. 
O magari, "appassito" vuole sottolineare l'aridità d'animo e l'indifferenza degli abitanti del quartiere di fronte al dolore e di fronte alla morte di Mohammed Sceab? 

Mi sono posta, a questo punto, un paio di domande su questa figura, ad esempio: "Perché Mohammed Sceab è giunto in Francia? Come è stato trattato dai francesi?".

Ivry è un sobborgo parigino sulle rive della Senna. 
Considero "decomposta fiera" un'espressione enigmatica: vuol forse significare che la giornata era un po' nuvolosa?

Ecco come si conclude il componimento:

E forse io solo
so ancora
che visse

Da questi tre versi scaturisce la mia riflessione sul fatto che la memoria di questo giovane insegna al poeta ad empatizzare con lo straniero e a riflettere sulla sua personale condizione: nato ad Alessandria d'Egitto nel 1888 da genitori toscani, cresciuto in Egitto, impegnato nelle trincee del Carso e poi trasferitosi a Parigi. 
Tuttavia c'è una sostanziale differenza tra l'autore della poesia e il giovane suicida, espressa nella strofa quattro:

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

"Canto" dev'essere qui inteso come un termine strettamente legato al greco antico ἀοιδός, cioè, poesia.
A differenza della persona che è oggetto di questa poesia, Giuseppe Ungaretti può esternare quel che prova mediante i versi. 

La poesia diviene un modo per ricordare Mohammed Sceab.
Il poeta si fa inoltre portavoce del dolore e della condizione di disagio che questo immigrato ha sperimentato lontano dalla sua famiglia di origine. 


ANDREA ZANZOTTO

COSI' SIAMO:

Dicevano, a Padova, “anch’io”
gli amici “l’ho conosciuto”.
E c’era il romorio d’un’acqua sporca
prossima, e d’una sporca fabbrica:
stupende nel silenzio.
Perché era notte. “Anch’io
l’ho conosciuto”.
Vitalmente ho pensato
a te che ora
non sei né soggetto né oggetto
né lingua usuale né gergo
né quiete né movimento
neppure il né che negava
e che per quanto s’affondino
gli occhi miei dentro la sua cruna
mai ti nega abbastanza

E così sia: ma io
credo con altrettanta
forza in tutto il mio nulla,
perciò non ti ho perduto
o, più ti perdo e più ti perdi,
più mi sei simile, più m’avvicini.

La poesia è costituita da due strofe di versi sciolti e richiama alla morte del padre di Zanzotto, all'inizio di maggio 1960. Il funerale è avvenuto a Padova.

E c’era il romorio d’un’acqua sporca= questa è una sinestesia che congiunge due dei cinque sensi: il suono ("romorio") e la vista ("acqua sporca"). L'acqua è quella dei canali vicini ad una fabbrica e il suono si diffonde nel silenzio della notte o, perlomeno, nel silenzio di un'atmosfera in cui il sole è già tramontato. 


Vitalmente ho pensato
a te che ora
non sei soggetto oggetto
lingua usuale gergo
quiete movimento

Il padre non può più essere incluso in una frase grammaticale, non c'è più, è divenuto estraneo ai concetti linguistici, estraneo alla fisica e agli stati di "quiete" e di "movimento", come evidenzia anche l'anafora di "né".

Vorrei farvi notare che la prima strofa, formata da 16 versi, è in tal modo suddivisa: nei primi 8 i verbi sono tutti o all'imperfetto o al passato prossimo e delineano la scena del funerale, mentre negli ultimi 8, quasi tutti al tempo presente tranne una forma verbale al passato prossimo, iniziano i pensieri del poeta e le sue considerazioni sulla morte. 
E qui ho pensato: le riflessioni di Zanzotto iniziano nel giorno del funerale, dal momento che l'avverbio che le introduce è "ora" e, dopo questo, Zanzotto cerca di spiegare a se stesso la non-condizione del padre defunto.

La morte ci separa da chi amiamo. 
Il poeta conserverà per sempre il ricordo del padre, del quale ha perduto la presenza fisica, e farà tesoro di tutto ciò che egli è stato per lui. La memoria dunque diviene uno strumento per convivere con il dolore.

Ultima osservazione: Andrea Zanzotto non pensa ad un aldilà, ad un Paradiso o ad una beatitudine eterna. Il suo nulla è riconducibile all'ateismo, sebbene, paradossalmente, in questo componimento ci sia qualche traccia lessicale che ricorda la Fede cristiana ("cruna", "credo", "così siamo").
LETTERATURA LATINA:

SENECA, "CONSOLATIO AD POLYBIUM":

La Consolatio ad Polybium, scritta tra il 43 e il 44 d.C durante l'esilio in Corsica dell'autore, è indirizzata ad un funzionario dell'imperatore Claudio al quale era appena morto il fratello.

Nell'analisi di alcuni passaggi, ho messo in evidenza alcuni termini che mi hanno permesso di trovare paragoni tra parole anche se quest'opera non risulta particolarmente complessa dal punto di vista stilistico né particolarmente interessante dal punto di vista lessicale. 
Seneca fornisce a Polibio delle indicazioni e dei consigli per convivere ed elaborare la perdita del fratello. 
Importante è il passaggio in cui Seneca esorta il destinatario dell'opera a "rendere piacevole" la memoria del giovane defunto.

Riporto soltanto alcune parti:

1,1 Ita est: nihil perpetuum, pauca diuturna sunt; aliud alio modo fragile est, rerum exitus variantur, ceterum quicquid coepit et desinit. 

"Le cose stanno così: nulla è eterno, poche cose sono durature: una è fragile in un modo, un'altra in un altro, gli esiti delle cose variano, qualunque cosa inizia ha anche una fine."

Nelle opere di Seneca sono molto frequenti le riflessioni sul tempo. Questo passaggio in qualche modo richiama al De brevitate vitae nel passaggio in cui l'autore afferma che lo scorrere del tempo è inesorabile e nulla dura per sempre: "In tria tempora vita dividitur: quod fuit, quod est, quod futurum est. Ex his quod agimus breve est, quod acturi sumus dubium, quod egimus certum."
"La vita è divisa in tre tempi: ciò che fu (il passato), cioè che è (il presente), ciò che sarà (il futuro). Tra questi ciò che facciamo è breve, ciò che siamo destinati a vivere è incerto, ciò che asbbiamo vissuto è sicuro".
A proposito di tempo che fugge, mi sembra inoltre opportuno richiamare a due versi del carmen Oraziano IV°: "Immortalia ne speres, monet annus et almum/quae rapit hora diem", "Ma l'anno e l'ora che rapisce i giorni fecondi/ti ammoniscono a non nutrire speranze immortali."

*L'avverbio perpetuum ha lo stesso significato dell'aggettivo "aeternus".

4,1 Diutius accusare fata possumus, mutare non possumus: stant dura et inexorabilia; nemo illa convicio, nemo fletu, nemo causa movet; nihil umquam ulli parcunt nec remittunt.

"A lungo possiamo accusare il destino, non possiamo cambiarlo: si erge duro e inesorabile. Nessuno con offese, nessuno con il pianto, nessuno con giusta ragione riesce a muoverlo: non risparmia mai in nulla qualcuno né fa concessioni."

Queste frasi rievocano la Consolatio ad Liviam, opera anonima scritta per consolare una certa Livia dopo la morte del figlio Druso Nerone, in una particolare espressione: "non tibi, non ullis vincere fata datur", cioè, "non a te, non a qualcuno è dato vincere il destino".

*"convicio" non è "convinzione", ma "offesa, rimprovero": "alicui convicium  facio" significa "rimproverare qualcuno".
Di significato simile a "convicium" sono "admonitus", ovvero, "ammonimento" e il sostantivo femminile della terza declinazione "obiurgatio".

5,5  Indue dissimilem animo tuo vultum et, si potes, proice omnem ex toto dolorem, si minus, introrsus abde et contine, ne appareat, et da operam ut fratres tui te imitentur, qui honestum putabunt, quodcumque te facientem viderint, animumque ex vultu tuo sument. Et solacium debes esse illorum et consolator; non poteris autem horum maerori obstare, si tuo indulseris.

"Rivesti di un volto diverso dall'animo tuo, e se puoi getta completamente tutto il dolore, o almeno, nascondilo dentro e contienilo, per non rivelarlo, e fai in modo che i tuoi fratelli ti imitino, i quali riterranno dignitoso tutto ciò che ti vedranno compiere e dal tuo volto desumeranno i loro stati d'animo. Devi essere per loro conforto e consolatore: tuttavia non potrai impedire il loro dolore, se sarai indulgente con il tuo".

Ma Seneca non pretende forse un po' troppa maturità da Polibio? Assolutamente no, per quella che era la mentalità dell'epoca della Roma imperiale: come ho specificato prima, Polibio è un funzionario dell'Impero e dunque deve servirsi di una certa dose di razionalità non soltanto nello svolgimento dei suoi compiti ma anche nell'ambito familiare con gli altri fratelli.

*LESSICO DEL DOLORE 

"maeror"= pianto, dolore interiore.
"dolor"= riferito prima di tutto ad una "sofferenza fisica" ma anche ad una preoccupazione. In ambito retorico significa "commozione".
"luctus"= lutto (dal verbo "lugeo": essere in lutto).
"aegritudo"= affanno, malattia.

6,4 Non licet tibi flere immodice, nec hoc tantummodo non licet; ne somnum quidem extendere in partem diei licet aut a tumultu rerum in otium ruris quieti confugere aut adsidua laboriosi officii statione fatigatum corpus voluptaria peregrinatione recreare aut spectaculorum varietate animum detinere aut ex tuo arbitrio diem disponere.

"Non ti è lecito piangere smodatamente, non solo questo non ti è lecito: neppure prolungare per una parte del giorno oppure dalla frenesia della vita attiva rifugiarti nella vita appartata della tranquilla campagna, oppure il corpo, affaticato per l'ininterrotto turno di guardia dovuto al tuo faticoso ufficio, rianimarlo con un viaggio piacevole oppure intrattenere il tuo animo nella varietà degli spettacoli oppure organizzare le giornate a tuo piacere".

In queste frasi Seneca ci elenca le abitudini di vita dell'aristocrazia: dormire fino a tarda mattinata, frequente visione di spettacoli, viaggi e riposi nelle ville di campagna, un sacco di tempo libero durante la giornata... Abitudini dalle quali Polibio deve tenere le distanze.

*LESSICO DEL VIAGGIO

"peregrinatio"= viaggio all'estero
"navigatio"= viaggio per mare
"iter"= cammino, marcia militare
"viaticum"= "provviste necessarie per intraprendere un viaggio". Questa è la parola latina da cui deriva l'italiano "viaggio". 

18,7 Effice, ut frequenter fratris tui memoriam tibi velis occurrere, ut illum et sermonibus celebres et adsidua recordatione repraesentes tibi, quod ita demum consequi poteris, si tibi memoriam eius iucundam magis quam flebilem feceris; naturale est enim, ut semper animus ab eo refugiat, ad quod cum tristitia revertitur. Cogita modestiam eius, cogita in rebus agendis sollertiam, in exsequendis industriam, in promissis constantiam. Omnia dicta eius ac facta et aliis expone et tibimet ipse commemora. Qualis fuerit cogita qualisque sperari potuerit: quid enim de illo non tuto sponderi fratre posset?

"Fai in modo di volere che frequentemente il ricordo di tuo fratello ti si faccia incontro, in modo da tenerlo presente nelle conversazioni e, con una memoria non interrotta, di raffigurartelo, ti sarà possibile ottenere ciò solo se il suo ricordo lo renderai lieto piuttosto che dolente: infatti è naturale che l'animo sempre si ritiri da ciò per cui ritorna con tristezza. Pensa al suo carattere docile, pensa al suo zelo nelle attività pratiche, alla sua operosità nell'eseguirle, alla sua costanza nel mantenere le promesse (tradurre letteralmente: "in promissis constantiam" è un insulto alla nostra meravigliosa lingua italiana), tutte le cose che ha detto e fatto riferiscili agli altri e ricordali a te stesso; pensa a quale egli è stato e quale prometteva di diventare: infatti che cosa non si poteva sperare riguardo a lui con sicurezza?

*memoriam= "fatto, memoria, narrazione". Celebre è l'espressione "aliquid memoriae tramando", semplicemente traducibile con "tramandare".

*naturale est= espressione che sembra legarsi allo Stoicismo.



Sono figlia unica, eppure so bene che i rapporti tra fratelli o tra sorelle variano di famiglia in famiglia: in certi casi i figli e le figlie degli stessi genitori appaiono molto legati, a volte al punto tale da condividere le stesse compagnie di amici o gli stessi interessi... in questo caso, perdere un fratello o una sorella a cui si era molto legati, è come aver perduto una parte di se stessi ed è una vera e propria tragedia, un dolore che non andrà via del tutto, nemmeno se si trova un lavoro che appassiona e nemmeno dopo una matrimonio felice.
Poi però ci sono le situazioni in cui due fratelli o due sorelle, dopo essersi scambiati un saluto o gli auguri di Buon Natale e Buon anno, non hanno altro da dirsi.
Secondo me i rapporti tra fratelli dipendono in buona parte dalla mediazione dei genitori, dalla loro intelligenza di non creare confronti antipatici tra i figli, e addirittura dai rapporti che intercorrono tra i genitori stessi
Sono queste figure le prime che dovrebbero far capire ai loro figli che un fratello o una sorella sono delle risorse.
E comunque ho una teoria, anche se nella realtà non avrà un'attendibilità matematica: se la differenza di età tra due fratelli è minima (parlo di un anno e mezzo, massimo due anni e mezzo) è più facile si instauri un ottimo rapporto ed è possibile che il più grandicello non abbia nemmeno il tempo di sviluppare la gelosia, se la nascita di un secondo figlio avviene quando entra all'asilo ed ha appena iniziato a pronunciare le prime frasi rudimentali. 




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