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24 dicembre 2013

"Canto di Natale"


In occasione dell'imminente 25 dicembre, scrivo su questo post la recensione (attraverso citazioni) e il commento di uno dei miei libri preferiti: "Canto di Natale" di Charles Dickens, scrittore inglese che adoro. 


Il protagonista del romanzo è Ebenezer Scrooge, un uomo piuttosto anziano e di pessimo carattere.
Infatti è molto avaro, insensibile e freddo al punto tale da considerare una sciocchezza la festa di Natale e da biasimare Dio per aver concesso all'uomo il riposo domenicale che, interrompendo le attività commerciali, impedisce di guadagnare. 
Quando ho letto questo libro per la prima volta, a tredici anni, sono rimasta molto colpita dal modo in cui Scrooge risponde agli auguri di Buon Natale da parte del gioviale nipote. In effetti replica acido: "Un Natale allegro! Che motivo hai tu di stare allegro? Che diritto? Sei povero abbastanza, mi pare." 
Come se la serenità dell'animo dipendesse esclusivamente dai beni materiali e dal Dio denaro!!!  Le cose che mi fanno stare bene sono soprattutto l'affetto dei miei familiari e il dialogo con persone comprensive. Quando all'epoca avevo letto queste righe, avevo giurato a me stessa di non divenire, nel mio futuro di adulta, una persona ossessionata dai soldi e dal successo in ambito economico.

Quando il vecchiaccio raggiunge l'ingresso della sua dimora, vede, poco sopra il picchiotto del portone, il volto del suo socio in affari Jacob Marley, morto però sette anni prima.                         
  "Non era crucciato o feroce; fissava Scrooge come Marley soleva fare, e lo fissava con occhiali da spettro alzati sopra una fronte da spettro. I capelli si sollevavano stranamente, come mossi da un soffio o da un'aria calda; gli occhi, benché sbarrati, erano immobili; la faccia livida. Una cosa orrenda: se non che l'orrore era estraneo all'espressione di quel viso e in certo modo gli era imposto."
Mentre cena nella sua camera, davanti al fuoco del caminetto, sente dei rumori insoliti e poco dopo gli appare il fantasma di Marley, il quale trascina una lunga catena che simboleggia l'egoismo. Egli infatti, preoccupandosi per tutta la vita di accumulare denaro per se stesso, ha ignorato le persone povere e bisognose sia di aiuti economici sia di affetto sincero. "Porto la catena che mi son fabbricato in vita - rispose lo Spettro. - L'ho fatta io stesso anello per anello, pezzo a pezzo; io stesso me la cinsi per volontà mia, e di volontà mia la portai. Ti par nuova forse? "
Trovo molto significativa l'immagine della catena come metafora dell'attaccamento ai beni materiali. La catena è un oggetto che rievoca nella mente il concetto di schiavitù. Chi attribuisce troppa importanza ai soldi è schiavo di se stesso, dei propri capricci e dei propri vizi. L'eccesso di denaro rende le persone immorali e incapaci di amare.


Marley annuncia a Scrooge la visita di tre spiriti. Dopo mezzanotte infatti, il vecchio avaro incontra lo Spirito del Natale Passato che lo riporta indietro nel tempo, nel periodo in cui era un ragazzino che nutriva un affetto sincero nei confronti della sorella minore:  " Sempre delicata quella creaturina - disse lo Spirito; - un soffio l'avrebbe fatta appassire. Ma che cuore che aveva!
Che cuore! - ripeté Scrooge. - Avete ragione, Spirito; non vi contraddico, che Dio non voglia!"
Lo Spirito poi porta Scrooge nel periodo della giovinezza, quando Scrooge, una volta divenuto un finanziere ricco e importante, rifiuta di sposarsi con la sua ragazza, povera e orfana di genitori. 

Subito dopo questa visione, lo Spirito lo riporta nella sua camera, dove incontra lo Spirito del Natale Presente che lo conduce dapprima all'umile dimora del suo impiegato Cratchit che sta cenando con la moglie e i figli, uno dei quali (il piccolo Tim) è storpio. In seguito, si recano a casa del nipote di Scrooge che sta festeggiando il Natale con la moglie e con alcuni amici e che sta criticando l'avarizia dello zio:
" ...Me ne dispiace per lui; ma se pure mi vi provassi, non riuscirei a volergli male. Chi è che ne soffre per i suoi capricci? Lui, nessun altro che lui. Ecco, per esempio, ora s'è fitto in capo di guardarmi di traverso e non vuol venire a desinare con noi. Che ne viene?... ogni lasciato è perso. "
Prima di scomparire nell'aria, lo spirito fa conoscere a Scrooge due bambini simboli dell'Ignoranza e della Miseria alla quale le classi sociali più umili sono condannate dalle persone insensibili come Scrooge. 

Arriva poi lo Spirito del Natale Futuro che appare "lento, grave, silenzioso... circonfuso di ombra e di mistero". Questo spirito si limita solo a indicargli con il dito le cose che Scrooge deve vedere, tra le quali, il giorno del suo funerale e i commenti sarcastici della gente, contenta di saperlo morto e il nipote contento di poter ereditare il suo patrimonio.


La mattina seguente, Scrooge si risveglia nel suo letto e, memore degli insegnamenti che gli spiriti hanno voluto dargli, esce per le strade della città salutando tutti quelli che incontra con molto trasporto, trascorre il giorno di Natale con il nipote e poi decide di aumentare lo stipendio al suo impiegato, dandogli quindi anche la possibilità di acquistare le medicine per curare la malattia del figlio Tim.
Questo è un libro meraviglioso dal momento che risveglia nell'anima sentimenti quali l'amore e la solidarietà e invita il lettore a considerare il Natale un'occasione per riflettere su se stessi, sui propri difetti e per maturare la volontà di migliorarsi.
(Comunque anche il cartone animato che è stato fatto circa quattro anni fa su questa storia è fantastico e coinvolgente!)

Buon Natale a tutti voi!! :-)



19 dicembre 2013

Santa Lucia, importante nella cultura religiosa e anche letteraria... i miei ricordi di infanzia

LA STORIA DI VITA DELLA SANTA:

Lucia nasce nel 283 d.C. a Siracusa, quando l'Impero Romano è governato da Diocleziano e quando ormai vi è una presenza piuttosto significativa di cristiani anche in Italia. Lucia è figlia di una famiglia molto ricca. All'età di nove anni rimane orfana di padre e si trova a vivere con una madre, di nome Eutichìa, di salute molto cagionevole. 
Madre e figlia, entrambe affascinate dalla straordinaria figura di Gesù, che con la sua morte in croce redime l'umanità, professano di nascosto la religione cristiana per non essere perseguitate dall'Impero.
Nel febbraio del 301, Lucia e la madre si recano in pellegrinaggio a Catania presso il sepolcro di Sant'Agata e proprio in quell'anno Eutichìa guarisce miracolosamente, per intercessione di Sant'Agata, dalle sofferenze fisiche che la tormentavano da molti anni. 
Dopo questa esperienza, Lucia decide, con il consenso della madre, di regalare ai poveri tutti i suoi averi. Tuttavia, questa sua generosa azione non è condivisa dalle altre famiglie ricche di Siracusa che la denunciano a Pascasio, l'arconte della città. Pascasio la arresta e la invita caldamente a offrire sacrifici in onore delle divinità romane ma, dal momento che Lucia si rifiuta, dapprima la tortura e poi ordina ad un soldato di decapitarla (alcune fonti dicono con un colpo di spada, altre invece che è stata trafitta alla gola). Aveva soltanto 21 anni.

SANTA LUCIA NELLA LETTERATURA:

E' importante constatare che la figura di questa martire ispirò importanti esponenti della letteratura italiana. Dante Alighieri per esempio la menziona più volte nelle sue opere.
In un passo del Convivio infatti ( III,IX; 15 per la precisione!), il Sommo Poeta sostiene di aver subìto una lunga e pericolosa alterazione della vista a causa del molto tempo dedicato agli studi e alle letture e di aver ottenuto la guarigione dopo aver pregato la Santa. Non dimentichiamo che Santa Lucia è considerata protettrice degli occhi.
Dante stesso inoltre, introduce diverse volte la figura della Santa anche nella Divina Commedia. Nel secondo canto dell'Inferno, Lucia è una Creatura celeste che scende dall'Empireo per avvertire Beatrice dello smarrimento di Dante e di un serio pericolo che incombe sul poeta:

« Questa (Maria) chiese Lucia in suo dimando  e le disse: Or ha bisogno il tuo fedele  di te, ed io a te lo raccomando. Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse... »
(Dante Alighieri, Inferno II, 92-96)
E, pochi versi dopo, la santa, con gli occhi lucidi di lacrime, si rivolge a Beatrice e la esorta ad aiutare Dante con queste parole: 

«
 Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t'amò tanto, ch'uscì per te de la volgare schiera? Non odi tu pietà del suo pianto?  Non vedi tu la morte che 'l combatte Su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? »
(Inferno II, 103-108)
Nel Purgatorio invece, Lucia appare come una creatura dolce e materna nel prendere Dante che si è addormentato dopo un colloquio avvenuto con dei personaggi insigni e nel condurlo innanzi all'ingresso del Purgatorio:

« Venne una donna e disse: I' son Lucia lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l'agevolerò per la sua via »
(Purgatorio, IX, 55-57)


Nel Paradiso, la martire è una creatura celeste che, nel trentaduesimo canto del Paradiso, è vista da Dante nel primo cerchio dell'Empireo vicino a Sant'Anna 

«
 Di contr' a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia che non move occhio per cantare osanna.E contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a ruinar, le ciglia »
(Paradiso, XXXII, 133-138)

Santa Lucia, nella Divina Commedia, simboleggia la "grazia illuminante", dal momento che ha aderito al Vangelo e per esso è stata disposta a sacrificarsi. E' quindi un significativo strumento di cui ogni uomo può servirsi per raggiungere la salvezza eterna. 


I MIEI RICORDI DI INFANZIA:

Ieri, mentre stavo riordinando la mia camera e svuotando scatoloni che contengono una quantità industriale di diari e di piccole riflessioni e racconti che risalgono ancora ai tempi delle elementari, ho trovato anche una lettera del 24 novembre 2003 indirizzata a Santa Lucia scritta su un foglio a righe piegato piuttosto male.

Avevo scritto poche righe in modo però molto chiaro e dicevo: 

"Cara Santa Lucia, io quest'anno non voglio regali. Non voglio proprio niente, perché mi sembra di avere già tutto. Ho due genitori belli e bravi, degli zii fantastici che hanno un cuore grande, ho dei buoni amici, vado bene a scuola e piaccio ai miei compagni perché li aiuto sempre a fare i compiti di italiano.
Non portare regali a me, non ne ho bisogno. Portali ai bambini poveri che vivono in Africa e in Asia o ai bambini senza mamma e papà oppure ai bambini che non sono amati dai loro genitori. Loro sì che non hanno niente! Quando di notte guardo il cielo pieno di stelle penso sempre a questi bambini e vorrei tanto che le stelle illuminassero i loro cuori di gioia e di speranza! Ti prego, aiutali tu!"


Quando l'ho letta, ho provato molta tenerezza. Avevo soltanto otto anni ma ero molto sensibile nei confronti delle persone meno fortunate e trovavo molto ingiusta la povertà. 

Allora, subito dopo averla letta, mi sono ricordata che in realtà, nella notte del 12 dicembre 2003, avevo ricevuto un transatlantico di regali: due bambole, tre libri di racconti, un pupazzo di stoffa al quale ancora oggi sono molto legata, molti cioccolatini e molte caramelle, una collana e due giochi in scatola. Accanto ai regali, avevo trovato la mia lettera e un bigliettino con scritto: "Ad una bambina sensibile e generosa, con molto affetto, Santa Lucia".
Mi ricordo che ero andata a letto molto contenta e che, il giorno dopo, alla fine delle lezioni scolastiche, mia mamma mi ha proposto di sostenere a distanza Nadia, una bambina georgiana che aveva perso i genitori e che aveva bisogno di soldi per frequentare la scuola. Io ho accettato la proposta con molto entusiasmo.
Ora sono contenta di aver sostenuto per alcuni anni una ragazzina che aveva bisogno di solidarietà. Infatti le condizioni di vita di Nadia sono nettamente migliorate; ha concluso il suo percorso di studi con successo e ora ha iniziato a lavorare.
              





















7 dicembre 2013

"Molto forte, incredibilmente vicino"

 Più di un anno fa ho visto questo film americano un po' avventuroso e un po' commovente, che dà un messaggio di speranza e che valorizza la realizzazione personale attraverso il contatto con gli altri.

Il protagonista è Oskar Schell, un bambino che coltiva un ottimo rapporto con il padre Thomas, uomo molto intelligente e solare,  con il quale gioca spesso ad inventare fantastiche spedizioni alla ricerca di luoghi immaginari; tra questi, viene più volte citato il sesto distretto di New York. 
Ma nella mattina dell'11 settembre 2001, avviene il terribile attacco alle torri gemelle, nel quale il signor Schell perde la vita, dopo aver tentato ripetutamente e disperatamente con sei messaggi lasciati in segreteria di contattare la moglie e il figlio. Oskar, al suo ritorno da scuola, ascolta questi messaggi con sconcerto e con terrore e non riesce a riflerirli agli altri componenti della famiglia.  
Oskar non riesce ad accettare la morte del padre, che rappresentava un ottimo punto di riferimento e che cercava di aiutarlo sia a superare determinate paure sia a relazionarsi con le altre persone. Devo precisare che il ragazzino è portatore della Sindrome di Asperger, malattia abbastanza simile all'autismo, che comporta grave difficoltà di relazioni con gli altri e schemi di comportamento ripetitivi. Gli individui affetti sono dotati spesso di un IQ superiore alla media e sono spesso interessati ad argomenti di discipline scientifiche. 
Apro una piccolissima parentesi; alcune persone molto incompetenti credono di poter riconoscere questa sindrome e di saperla diagnosticare scambiando la riservatezza di una persona con le caratteristiche di questa malattia. Che incredibile flop!!

Comunque, Oskar non ha un buon rapporto con la madre, che appare una donna spenta e immalinconita a causa della morte del marito e dei disagi relazionali del figlio, che talvolta arriva a criticarla molto aspramente.
Un giorno però, rovistando nell'armadio collocato nella camera del padre, scopre una chiave in un involucro con la scritta "Black". Il ragazzino inizia dunque a pianificare i suoi incontri con tutti i Newyorkesi che portano il cognome di Black. Oskar incontra molte persone, le ascolta, riflette sulle loro storie di vita cercando di scoprire non soltanto la serratura in grado di accogliere la chiave ma anche e soprattutto il motivo per cui quella chiave era arrivata al padre.
Nella sua ricerca, si fa aiutare da Virgilio, il "misterioso inquilino della nonna", un signore anziano (probabilmente il nonno di Oskar) che si rifiuta di parlare e che comunica soltanto attraverso dei biglietti. Sulle spalle di Virgilio grava un passato molto duro...
Mi ha fatto molta compassione questo personaggio, chiuso in se stesso, dilaniato da un insopprimibile dolore che lo porta ad abbandonare la ricerca con il ragazzino, dal momento che è incapace di superare le angoscie che lo tormentano da anni.
Dopo mesi di intense ricerche, il protagonista riesce a perseguire i propri obiettivi, a superare alcune paure (tra queste, la paura di dondolarsi su un'altalena) e a ristabilire un rapporto diverso con la madre, che segretamente stimolava le sue ricerche e manteneva i contatti con molte persone che il figlio incontrava. E' molto rilevante anche aggiungere che alla fine del film, Virgilio ritorna a New York.

Ritengo che la singolare avventura che vive Oskar possa essere considerata un "percorso di formazione" attraverso il quale il nostro protagonista, sfruttando intensamente le sue ottime risorse intellettuali e compiendo un faticoso percorso caratterizzato anche da ostacoli e contrasti, riesce a rielaborare il lutto subìto e a individuare il suo "posto nel mondo", ovvero, riesce a comprendere sia il valore della sua individualità sia l'importanza dell' incontro- confronto con le altre persone.

Vorrei concludere con una citazione tratta da un'altra recensione su questo film, che mi è parsa davvero significativa e interessante e che vi propongo come occasione di riflessione:

(“Molto forte, incredibilmente vicino” è un film duro da affrontare. Stephen Daldry, infatti, sceglie di portarci una pellicola assai lontana dalla leggerezza, un film in cui ci sembra di sostenere  il peso di “quella” disperata caduta da “quella” terrificante altezza. In “Molto forte, incredibilmente vicino” non si buttano giù solo gli uomini disperati dai grattacieli del World Trade Center, piuttosto sembrano cadere tutti, schiacciati dalle paure, dalla solitudine, dalla mancanza, dalla perdita di qualcuno o di qualcosa.)



29 novembre 2013

La lingua latina arricchisce la mente- Le mie critiche alla riforma Gelmini


Le ultime riforme scolastiche hanno (purtroppo) diminuito di alcune ore l'insegnamento del latino nei licei. Questo cambiamento non riguarda soltanto l'indirizzo scientifico tradizionale ma anche gli indirizzi linguistico e delle scienze umane.

Inoltre, da pochi anni è stato coniato "il liceo delle Scienze applicate",  un nuovo indirizzo di studi che, pur offrendo allo studente che vi si iscrive una preparazione molto ampia e approfondita dal punto di vista scientifico, non prevede l'insegnamento della lingua latina. Una statistica ha rilevato che questo nuovo liceo sta riscuotendo un grande successo: infatti, due studenti su tre, tra tutti quelli che hanno scelto di frequentare il liceo scientifico, hanno preferito iscriversi alle Scienze Applicate, per evitare di imparare una "lingua morta".
Tra alcuni anni, molti diplomati italiani o non avranno mai incontrato il latino come materia scolastica, o disporranno di conoscenze piuttosto superficiali relative a questa disciplina.
Lo studio del latino appare quindi incredibilmente ridimensionato  nel suo importante ruolo formativo, ovvero nel suo ruolo di "colonna portante" della formazione di un liceale. Togliere o diminuire le ore di questa materia sul piano orario di studi di un liceo potrebbe impoverire gli studenti del nostro patrimonio culturale.
Io infatti ho sempre pensato che questa lingua sia davvero indispensabile per la buona formazione di un individuo, dal momento che, con le sue precisissime regole grammaticali (a mio parere, molto più rigide e molto più difficili delle regole grammaticali del greco antico), aiuta a sviluppare la logica e la razionalità.
Inoltre, essendo stata la lingua degli antichi romani, abitanti italici, ha diversi legami con le parole italiane e, proprio per questo motivo, è una materia che aiuta a comprendere appieno il significato di una buona parte dei termini quotidiani. Non dimentichiamo infatti che la nostra lingua deriva dal latino.
Io mi sono sempre divertita a cercare e a imparare l'etimologia dei termini.
Per di più, lo studio della letteratura latina, che in tutti i percorsi liceali inizia al terzo anno, può rivelarsi oltremodo arricchente per gli argomenti che propone. Gli antichi poeti, (tra questi soprattutto Orazio e Virgilio) e gli antichi filosofi (in particolar modo Seneca) illustrano alcune tematiche inerenti alla nostra quotidianità, alle nostre sensazioni, al nostro modo di vedere la vita.
Io credo anche che questa materia sia una conoscenza fondamentale non soltanto in diversi ambiti professionali (l'insegnamento, l'ambito giudiziario e anche quello medico), ma anche in certi percorsi universitari (lettere, filosofia, beni culturali).
Infatti alcuni giovani, tra cui io, nel loro futuro potenzieranno le loro capacità in questi percorsi di studio, per poi cimentarsi con professioni che esigono la conoscenza di questa lingua. Come dunque affermavano alcuni personaggi illustri dell'Antica Roma, "non scholae sed vitae discimur"- "non impariamo per la scuola ma per la vita". 
Il latino, come avete potuto ben comprendere dalle argomentazioni che vi ho fornito finora, è tutt'altro che "morto".


Concludo questa riflessione con un' ulteriore critica alla riforma scolastica Gelmini: nel nuovo piano orario di studi del liceo classico, al biennio è stata aggiunta un'ora di matematica a scapito di un'ora di italiano. Le ore di italiano al biennio sono divenute quattro, mentre, fino a circa tre anni fa (e io che sono nata nel 1995 ho fatto appena in tempo a schivare la riforma Gelmini e sto seguendo ancora il piano orario del vecchio ordinamento) erano cinque. 
L' "illustrissima" ministra infatti aveva affermato all'epoca che noi studenti del classico, in quanto "ignoranti e impreparati dal punto di vista scientifico", dovevamo approfondire anche lo studio di queste materie.
Io non mi permetterei mai di affermare che la matematica è inutile per me e per tutti i ragazzi che hanno scelto il mio stesso indirizzo di studi. Anche questa materia è importante per la nostra formazione, sarebbe doveroso studiarla e cercare di impararla in quelle poche ore che abbiamo a disposizione. 
Però trovo molto ingiusto diminuire le ore di italiano, materia meravigliosa e protagonista del nostro quadro orario di studi. Io e altri studenti di liceo classico, ci siamo iscritti in questo tipo di scuola soprattutto per apprendere molto bene la lingua e la letteratura italiana e tutte le altre discipline umanistiche.
E' vero che non sono molto colta dal punto di vista scientifico e che sto faticando in questo ambito per ottenere buoni risultati ma sono comunque soddisfatta del mio percorso perchè so bene che mi sta offrendo una buona preparazione in ambito letterario. Grazie ad essa potrò, nella mia vita di donna adulta, contribuire al bene della nostra società.


23 novembre 2013

PIOGGIA D'AUTUNNO



Il pianto
del cielo malinconico
bagna
l'arida terra.



Leggiadre foglie
abbandonano
vigorosi rami
di imponenti alberi
e danzano
ascoltando
il canto struggente
del vento.



La fitta nebbia
avvolge
lenta
le colline
e cela
l'immensità dell'orizzonte.


Come si festeggia il primo novembre a Orsara di Puglia

Sarebbe stato opportuno da parte mia scrivere questo post all'inizio del mese, ma solo pochissimi giorni fa ho letto un articolo relativo a questa curiosa tradizione pugliese... 



A Orsara di Puglia la ricorrenza di Ognissanti viene festeggiata secondo una tradizione vecchia di secoli che nessuna moda statunitense, tantomeno quella del famigerato Halloween, potrebbe mai e poi mai soppiantare. Negli ultimi giorni di ottobre, tutti gli abitanti di Orsara si mettono al lavoro per preparare i falò che illumineranno la notte del primo novembre e per dare inizio alla manifestazione delle "Fucacoste e cocce priatorje", ovvero, dei fuochi sparsi, dei falò di rami secchi di
ginestre e delle zucche-lanterna(con sembianze umane), illuminate al loro interno e lavorate in modo creativo. 
Nei giorni che precedono la ricorrenza, Orsara vibra al ritmo di una crescente frenesia. Oltre alle zucche e ai falò, vengono anche preparate tutte le pietanze e tutti gli ingredienti che verranno consumati nella notte del primo novembre. In ogni vicolo si tiene un banchetto a base di piatti poveri ma molto gustosi.
A partire dalle ore 19 della sera del 31 ottobre, al suono delle campane della Chiesa Madre, in ogni angolo del paese si accendono i falò. 
E' così quindi che inizia una delle serate più luminose dell'anno, caratterizzata da vivaci fuochi e dall'esposizione, in tutte le strade, di zucche intagliate...         
Da lontano, proprio nell'istante in cui i falò preparati in quasi ogni angolo delle strade iniziano a scintillare, il paese sembra prendere fuoco e le fiamme riscaldano l'atmosfera di una fredda notte autunnale, donandole un grande fascino. 
Questo evento è celebrato per ricordare i defunti e per riscoprire ulteriormente il piacere della compagnia.
 A Orsara non c'è né il rito consumistico del "dolcetto o scherzetto?", né la notte delle tenebre; bensì un evento caratterizzato dalla luce e dalla condivisione di un sentimento di profondo rispetto per i defunti.

9 novembre 2013

Il messaggio del carpe diem di Orazio, utile per chi, come me, è più attento al domani che all'oggi


Sin dall'antichità, molti letterati e filosofi hanno elaborato, in prosa e in poesia, riflessioni sul destino dell'essere umano e sul tempo che scorre. 
Il poeta latino Orazio, uno dei più importanti autori vissuti nell'Età Augustea, compone alcune odi che riguardano lo scorrere del tempo inesorabile e la brevità della vita umana.
Riporto qui la traduzione e l'analisi della sua ode più famosa e, a mio parere, anche la più significativa dal punto di vista etico.



"Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi 

finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios 
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati 
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare 
Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevi 
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida 
aetas: carpe diem, quam minimum credula                                                                       postero.

"Non cercare di sapere, tanto non è lecito (saperlo), quale fine gli dei abbiano stabilito per me e quale per te, Leuconoe, e non tentare la sorte. Quanto è meglio sopportare qualunque cosa accadrà, sia che Giove ti abbia assegnato più inverni(ancora da vivere), sia che (ti abbia dato) come ultimo (questo) che ora fiacca il mar Tirreno su opposte scogliere: sii saggia, filtra i vini e recidi per un breve spazio una lunga speranza. Mentre parliamo, già sarà fuggito il tempo invidioso: cogli l'attimo, confidando il meno possibile nel domani."


Innanzitutto, è necessario precisare che nell'ode è presente un tono colloquiale, evidenziato sia dal pronome personale "tu" all'inizio del primo verso, sia dall'accenno al mare in tempesta, sia dall'anafora del quem, aggettivo interrogativo che tra l'altro, precede i pronomi personali (il primo è "quem mihi", il secondo "quem tibi"). 
La sintassi del componimento è prevalentemente paratattica.


Il poeta, raggiunta ormai la maturità della vita, si rivolge a una giovane ragazza, Leuconoe (questo nome significa: "ragazza dalla mente candida") che attende con ansia la sua vita futura e che desidera ardentemente realizzare le sue aspettative e i suoi sogni. Il poeta le consiglia di non coltivare delle speranze che potrebbero rivelarsi vane e la esorta a godere fino in fondo il presente, in particolare, le gioie e le soddisfazioni che esso le offre quotidianamente.

Orazio quindi invita a vivere con intensità ogni attimo, valorizzando il presente. 

Quando in classe abbiamo letto per la prima volta quest'ode, mi è subito venuto in mente il mio modo di vivere, o meglio, di non vivere, o meglio ancora, di vivere piuttosto male il presente. Io ho due grandi sogni: penso molto spesso non solo a tutto ciò che di meraviglioso potrei fare quando diventerò una buona insegnante ma anche all'immensa felicità che mi darà una persona disposta ad amarmi per quella che sono.  


La mia mente crea moltissime immagini riguardanti le mie grandi speranze e i miei grandi progetti per la mia vita adulta. Io credo nel mio avvenire e questo è un aspetto molto positivo, ma al contempo tendo a considerare il presente come se fosse soltanto "il tempo delle fatiche e dei sacrifici", ovvero, come se fosse un tempo in cui io devo assolutamente praticare uno studio assiduo e un'intensa analisi introspettiva (entrambe comportano impegno e fatica) al fine di realizzare un domani sereno.

A volte sono così idealista da credere per davvero che il mio avvenire sarà privo di delusioni e pieno di felicità, amore, tranquillità...

E' molto importante per me ammettere anche un'altra cosa: (anche perché ho 18 anni e a quest'età è necessario imparare ad essere sinceri con se stessi) piuttosto spesso, nella mia quotidianità, sono incline a prestare un'eccessiva importanza agli aspetti negativi    

( ovvero, a interiorizzare i piccoli torti che mi vengono fatti) mentre attribuisco un'importanza molto relativa agli aspetti positivi del mio presente (quindi alle piccole soddisfazioni e ai sentimenti di benevolenza che alcune persone provano nei miei confronti).                         

Vivo proiettando me stessa nel futuro. E non sono una persona completamente felice.  

Ma forse nessuno al mondo potrà mai raggiungere la completa felicità e la piena realizzazione di sé. 
Probabilmente, anche nella mia vita futura di donna adulta dovrò incontrare qualche ostacolo e dovrò attraversare dei periodi difficili. 

Credo anche che l'insegnamento di Orazio non sia valido soltanto per le persone come me ma anche per tutti coloro che vivono immersi nei ricordi di un passato felice e che si rifugiano in quell'epoca passata provando un senso di sfiducia nei confronti di un presente (magari doloroso).

Talvolta la realtà può essere veramente sconcertante e tragica, ma bisogna affrontarla cogliendo tutti quei piccoli segni di amore e di solidarietà che ci circondano.
Bisogna vivere, comunque.









1 novembre 2013

Notte desolata


Nella prima metà del mese di ottobre hanno purtroppo perso la vita centinaia di immigrati clandestini che cercavano di raggiungere le coste italiane per realizzare il sogno di una nuova vita. Ho composto una poesia per ricordarli e per riflettere su queste terribili tragedie.


Burrascose onde
travolgono
le giovani vite
di uomini 
che vagano
alla ricerca
di dolenti speranze.




Un vento
freddo e impetuoso
penetra
nei loro occhi inerti,
spalancati
nell'immensità
di un cielo notturno
che accoglie
le loro anime
dilaniate
dal dolore.


Solo le stelle
cantano
struggenti melodie
che si diffondono
nel silenzio
di una notte
buia e desolata.

I progressi della scienza e l'etica della responsabilità


Nel suo trattato “Galileo 2001”, illustrando alcune considerazioni personali che riguardano il progresso scientifico avvenuto negli ultimi anni, Umberto Veronesi afferma che
la bioingegneria, ovvero, la possibilità di modificare alcuni geni nelle piante e negli animali, potrà, in un futuro prossimo, sconfiggere il problema della fame grazie a piante resistenti ai parassiti, mentre la scoperta della natura e della funzione del DNA, permette agli esseri umani di padroneggiare il codice della vita e di coronare così l'antico sogno di dominare la natura. 

L'uomo infatti, ha iniziato a coltivare tale ambizione sin dai tempi di Francesco Bacone, filosofo e scienziato seicentesco, convinto che la scienza abbia il compito di dominare la natura attraverso lo studio dei fenomeni naturali. Tuttavia, Veronesi ritiene giusto considerare in modo molto attento l'etica della responsabilità allo scopo di indirizzare le potenzialità della scienza a fini utili e vantaggiosi per l'umanità. 


A tal proposito, il fisico italiano Carlo Rubbia asserisce che tra i settori di ricerca scientifica, i progressi più significativi sono stati raggiunti nell'ambito della vita e quindi divengono indispensabili sia le esigenze dell'etica sia il bisogno di considerare l'essere umano nella sua integrità. L'uomo deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni nell'ambito scientifico, considerando non soltanto i dati tecnici ma anche l'importanza della persona umana.

L'opinione del matematico Tullio Regge è molto simile a quella di Rubbia, dal momento che attribuisce la responsabilità dell'utilizzo delle scoperte scientifiche non solo agli scienziati, ma anche ai politici, ai tecnici e agli uomini d'affari che, se sottovalutano il bene dell'umanità, realizzano progetti economici proficui dal punto di vista del denaro ma dannosi per l'ambiente.
Regge esorta inoltre a”lavorare insieme” affinché si promuova l'intero progresso umano e “questi disastri (ambientali) non accadano più”.


Da una parte quindi la scienza ha ottenuto in ambito medico grandi risultati; tra questi è importante menzionare la possibilità di produrre molta insulina per curare il diabete mentre dall'altra il progresso scientifico ha causato mediante esperimenti disumani, la morte atroce delle vittime del regime nazista e la distruzione delle città giapponesi Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda Guerra Mondiale. 
Alla luce degli eventi storici, è importante ricordare le parole di Papa Benedetto XVI, che mette in guardia da una scienza utilizzata in maniera poco lungimirante ”senza salvaguardare i criteri che provengono da una visione più profonda”. 
Il Pontefice, intendendo esprimere una forte apprensione sia di fronte ai rischi ambientali che potrebbero causare allarmanti variazioni climatiche, sia di fronte alla fabbricazione di armi da guerra sia a tutte le iniziative di stampo tecnico-scientifico che compromettono la vita umana, afferma che: “ Ci sono illusioni alle quali non ci si può affidare senza rischiare conseguenze disastrose per la propria e l'altrui esistenza”.

Da parte di tutti gli uomini sarebbe necessario attuare il principio di precauzione alle scoperte scientifiche in modo tale da assicurare vantaggi alla nostra vita e anche a quella delle generazioni future.
Questo principio, basato su forti implicazioni morali e sociali, invita l'uomo a limitare le applicazioni della scienza nell'attività umana, per evitare danni all'ambiente, alla salute umana e animale. 

La conferenza di Rio del 1992
Nella Conferenza sull'ambiente di Rio che si è svolta nel 1992, si dichiara che: “Per proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità... ” .
Esso suggerisce ad esempio la ricerca di soluzioni alternative all'utilizzo dei combustibili fossili, ritenuti una delle maggiori cause dei cambiamenti climatici.

Le applicazioni della scienza nella vita umana devono quindi essere regolate per rendere i progressi tecnologici utili e proficui per il genere umano.



5 ottobre 2013

L'immaginario mentale a confronto con il tempo presente nella cultura

La mia fervida passione per la letteratura mi aiuta sia a riflettere su interessanti tematiche attuali sia a valutare attentamente le differenze tra il mondo dell'immaginazione e il mondo reale.
Pochi giorni fa, il nostro insegnante di italiano ha chiesto a me e ai miei compagni di leggere e di analizzare "L'infinito", una celebre poesia scritta da uno dei più straordinari letterati italiani, Giacomo Leopardi.
Vi propongo quindi con entusiasmo il  testo e l'analisi, al fine di esprimere alcune significative riflessioni che riguardano la vita.



















 



L' "Infinito", meravigliosa lirica composta nel 1819 da Giacomo Leopardi, appartiene alla raccolta degli "Idilli" che è stata pubblicata per la prima volta nel 1826.
Il componimento è formato da quindici versi endecasillabi sciolti (senza rima).
Il poeta si trova sul Monte Tabor ("ermo colle"), un' altura solitaria nei pressi di casa Leopardi ed è seduto dinanzi a una siepe che cela ai suoi occhi il lontano orizzonte.
Si noti come, nei primi tre versi della lirica, la presenza dei dimostrativi "quest'-questa", relativi rispettivamente al colle e alla siepe, indichino in modo molto chiaro un paesaggio reale e conosciuto molto bene dall'autore.
Tuttavia, mentre egli ammira la natura che lo circonda, immagina al di là della siepe "interminati spazi", "sovrumani silenzi" e "profondissima quiete" ma avverte un sentimento di paura causato dall' idea di uno spazio così immenso che la mente umana fatica a concepire("ove per poco il cor non si spaura").
Ecco che qui ritroviamo il SUBLIME, teoria molto cara agli intellettuali romantici che designa un insieme di sensazioni indescrivibili provocate dalla contemplazione di un paesaggio burrascoso, tempestoso, pericoloso o estremamente vasto.
 A questo proposito, apro una breve parentesi per dire che mi è piaciuta moltissimo una teoria espressa nella Critica del Giudizio dal filosofo tedesco Immanuel Kant. Egli descrive il sublime dinamico come una sensazione suscitata dalla presenza di potenti forze naturali che da una parte provocano nell'essere umano un senso di profonda piccolezza materiale mentre dall'altra gli permettono di percepire il senso della sua grandezza ideale dovuta alla dignità di essere umano pensante e portatore di morale e di ideali.

Tornando invece alla poesia, per accentuare il fatto che, dal verso 4 al verso 8 il poeta sta rivolgendo l'attenzione alla sua fantasia e non più ad un paesaggio a lui noto, è utile evidenziare l'aggettivo dimostrativo "quella", riferito alla siepe, che indica un certo distacco dalla realtà.
Improvvisamente però, il suono del vento che muove i rami degli alberi, riporta alla realtà Leopardi, che paragona dunque questa sensazione uditiva, che simboleggia il tempo presente,  all' "infinito silenzio" che aveva immaginato nella sua fantasia.
In questo modo, ricorda le sue esperienze passate , ovvero, le "morte stagioni" con l'eterno e con il presente, caratterizzato dalla voce del vento.
Con questo geniale componimento, il poeta sottopone al controllo razionale la propria immaginazione e connette così  l'IMMAGINARIO MENTALE con "l'HIC et NUNC ", il qui ed ora, relativo alla realtà e al mondo della razionalità e comprende inoltre che la tendenza verso l'infinito è vana, inutile, dal momento che la mente dell'uomo è costituita da limiti. Infatti, la figura stessa dell'essere umano è molto limitata e incredibilmente piccola se viene paragonata ai fenomeni della natura e alla magnificenza di questa. 
L'espressione "mi fingo" indica proprio che Leopardi SA DI FINGERE e quindi sa benissimo anche che la vita esige sia il discernimento tra la fantasia e l'irrazionalità sia la loro conciliazione. 
Leopardi finge per un attimo spazi vastissimi e profondi silenzi e subisce il richiamo del vento al presente. Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che se un essere umano valorizza troppo l'immaginazione o i ricordi del passato significa che vuole evitare di affrontare una realtà difficile e pesante, fatta di contraddizioni e, purtroppo, anche di tragedie e di compromessi e crede (molto grave!) di poter realizzare i sogni che coltivava in un'epoca passata ma che non sono più realizzabili nella condizione presente. 
Dall'altro lato della medaglia però, è giusto rilevare che una vita fondata esclusivamente su principi razionali è una vita arida e priva di sentimentalismo. Non si vive di sola razionalità come non si vive di sola immaginazione.

La tendenza verso l'infinito gli procura una momentanea consolazione e una momentanea astrazione dalla realtà triste e angosciante in cui vive. Bisogna infatti constatare che il 1819 è stato un pessimo anno per Leopardi per il fatto che, desideroso di condividere i suoi interessi culturali con il mondo esterno, progetta un tentativo di fuga dalla casa paterna che però fallisce. Questo fallimento, suscita in lui pensieri profondamente pessimistici nei confronti della storia e del contributo dell'essere umano nel mondo. 

 Leopardi è diverso dalla maggior parte degli intellettuali romantici i quali, per sfuggire ad una realtà frustrante, si rifugiano o nel passato o nell'immaginazione. E' soprattutto per questo che io lo ammiro.






















25 settembre 2013

Fantastici 18 anni!!!

Mancano esattamente cinque ore al mio compleanno. Divento maggiorenne. Sono emozionatissima!!!
Colgo l'occasione per descrivere i sentimenti che provo e per esporre i pensieri che in questo momento stanno attraversando la mia mente.

Compio 18 anni. Incredibile!!! Ho superato l'infanzia e sono giunta alla fine della mia adolescenza, che è stato un periodo intenso e illuminante. 
Infatti, proprio durante l'adolescenza, ho trovato degli ideali significativi in cui credere (la speranza, la pace, la tenacia) , ho scoperto la mia propensione per la poesia, ho iniziato a provare un sincero interesse per la letteratura e ho sviluppato in me sia il senso critico sia la capacità di analizzare in modo piuttosto approfondito il mio carattere. A proposito, recentemente ho letto l'enneagramma, un metodo psicologico che illustra nove tipi di personalità. Stando a questa teoria, io sono una personalità di tipo cinque con influenza quattro. Rifletto molto, trascorro diverse ore da sola dedicandomi ai miei interessi, sento il bisogno di conoscere molte cose (caratteristiche dei cinque),  adoro tutte le manifestazioni dell'arte e avverto anche il bisogno di sentirmi originale e di esprimermi attraverso la poesia (questo è tipico dei quattro).


Penso spesso con fiducia al mio futuro: l'anno prossimo, dopo il diploma, intraprenderò gli studi universitari alla facoltà di lettere. Continuerò a coltivare la mia forte passione per la letteratura e per le lingue antiche.
Impiegherò tutte le mie energie per sfruttare nel miglior modo possibile le mie capacità e per soddisfare le mie ambizioni. Quando incontrerò degli ostacoli o quando mi capiterà di dover attraversare momenti molto difficili, cercherò di confidare nelle persone che mi stanno a cuore. Voglio affrontare la vita con tenacia!!!!
La vita non è un cielo senza nuvole, nel senso che non è fatta soltanto di gioie e di gratificazioni. C'è anche il dolore, che deve essere affrontato. 

Ognuno di noi è unico al mondo e quindi, per rispetto verso se stesso, non deve consumare la sua esistenza nella più struggente malinconia ma deve valorizzare le opportunità che la vita gli offre.

Sono molto esigente con me stessa; credo nelle mie doti ma faccio fatica a perdonarmi quando non ottengo esattamente i risultati che desidero ( sia in termini di voti scolastici sia per quanto riguarda le relazioni umane).
Nella vita di tutti i giorni mi sento condizionata dall'ansia di prestazione e dalla mia voglia di dimostrare agli altri che sono brava.
Tendo a interiorizzare i dispiaceri, anche quelli più piccoli, rimugino sugli insulti e ripenso per molto tempo al comportamento di chi mi ha infastidita. Non riesco ad affrontare le persone che mi fanno stare male e in effetti tendo a conservare i miei sentimenti di rabbia per molto tempo.
Senza contare che a volte mi arrabbio per motivi molto futili.
Piango abbastanza facilmente: le disgrazie che affliggono le persone povere, incomprese ed emarginate mi rattristano; la bellezza di un film romantico e la straordinarietà di un'opera musicale o letteraria mi commuovono.
Sono contenta di cimentarmi, da ormai tre anni, con la poesia, mezzo che da una parte mi insegna a contemplare con ammirazione la natura, dall'altra mi stimola a percepire i sentimenti che provo. Mi aiuta a esprimere la parte migliore di me. 

E' dalla seconda media che immagino il mio ragazzo ideale, pieno di pregi e di ottime risorse.  Senza contare che è anche bellissimo fisicamente! Talvolta lo sogno di notte e, nei giorni in cui mi sento un po' malinconica, arrivo addirittura a desiderare che si materializzi di fronte a me, che mi stringa la mano e che mi porti in un posto stupendo (in un prato fiorito, sulla cima di un monte oppure, su una spiaggia deserta illuminata dal sole e accarezzata dal vento.)
L'ho chiamato Leonardo, proprio come il protagonista di quell'affascinante romanzo di D'Avenia "Bianca come il latte, rossa come il sangue". Darei qualsiasi cosa affinchè un ragazzo sensibile come Leonardo esistesse per davvero nella mia vita. Ma spero proprio di incontrarlo! 

 Comunque, concludo questa lunga riflessione confidandovi anche un forte sentimento di gratitudine nei confronti dei miei familiari che, con il loro modo (spesso dolce e comprensivo) di porsi con me, hanno dato un grande contributo alla realizzazione della mia personalità e al potenziamento degli aspetti positivi del mio carattere.
Loro mi hanno insegnato (e continuano a insegnarmelo) a guardare le cose in profondità.