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27 novembre 2020

La simbiosi di olmo e vite pampinea:

L'altro ieri per me e per il mio attuale lavoro (la specializzanda in Filologia italiana) è stata una giornata davvero "femminile": ho chiesto la tesi. 

Mi seguirà una relatrice, non un relatore. L'argomento del mio lavoro molto probabilmente sarà l'analisi della lingua e dello stile di tre romanzi che ho già letto di Natalia Ginzburg, una delle poche donne scrittrici della letteratura italiana. Sono già entrata in fase di consultazione delle fonti e mi sono accorta che le poche biografie che esistono di questa autrice sono state scritte da donne e, inoltre, anche diversi articoli sulle tematiche delle sue opere sono stati scritti da studiose, da professoresse. Dedicano poche frasi o comunque poche pagine allo stile, ma è da quel poco che dovrò partire. 

Da qualche giorno a questa parte, oltre alle donne vittime di violenza, penso spesso anche ai bambini, ai figli e alle figlie degli uomini violenti. Penso al loro devastante dolore: convivono con una figura che dovrebbe tutelarli, amarli ma che non trasmette loro nessuna sicurezza, semplicemente per il fatto che ignora che è l'amore che muove il mondo.

C'è un preconcetto, fra alcuni adulti, che a me non è mai piaciuto. E' questo: chi ha subito violenze e abusi dalla figura paterna diventa per forza identico al padre, una volta cresciuto. 

Prima di iniziare a trattare l'argomento letterario a cui ho pensato, volevo semplicemente che sapeste che la vita non è un manuale di grammatica, con coniugazioni, classificazioni di sostantivi e di aggettivi, norme ben precise e non semplici per l'analisi logica e le costruzioni dei periodi. 

La vita non è rigida come la grammatica né è fatta di "conseguenze" logiche o di leggi fonetiche prestabilite come la glottologia, secondo la quale, ad esempio, dall'I.E *gn derivano per forza "gigno" (latino), il γίγνομαι (ghìgnomai) greco e l'italiano "generare".

Non dobbiamo mai dimenticare che i figli vittime di violenze domestiche, oltre alla paura quotidiana e al dolore, si trovano piuttosto spesso a dover affrontare i pregiudizi del mondo esterno.

Io non ho e non voglio averne, di questi pregiudizi. Perché il corso dell'esistenza è imprevedibile per tutti, e quindi, anche per i bambini/ragazzini vittime dei loro padri ci possono essere delle bellissime possibilità di vita. Anche loro hanno il diritto di incontrare, al di fuori della sfera familiare, persone buone, significative, che sappiano amarli per davvero. Loro, forse più degli altri, hanno bisogno di occasioni per poter mettere in luce i loro talenti. Senza contare che magari il loro carattere, al di là delle umiliazioni e dei maltrattamenti, può naturalmente essere predisposto alla mitezza e al bene.

I figli e le figlie che sono o comunque sono stati vittime di violenze da parte della figura paterna fanno parte di un grande mosaico sociale, culturale, linguistico, economico che è il nostro pianeta, dunque anche loro hanno il diritto di essere e divenire sempre più dei tasselli che brillano!

Questa settimana volevo presentarvi alcuni brani in cui l'immagine della congiunzione fra vite pampinea (cioè, l'edera) e olmo rimanda quasi sempre all'amore coniugale.


A) LETTERATURA LATINA

La prima attestazione di questa immagine risale addirittura a Catullo.

A1) CATULLO, CARME  62, VV. 49-56

Ut vidua in nudo vitis quae nascitur arvo, 

numquam se extollit, numquam mitem educat uvam,  

sed tenerum prono deflectens pondere corpus 

iam iam contingit summum radice flagellum;

hanc nulli agricolae, nulli coluere iuvenci: 

at si forte eadem est ulmo coniuncta marito, 

multi illam agricolae, multi coluere iuvenci:

sic virgo dum intacta manet, dum inculta senescit;

cum par conubium maturo tempore adepta est,

cara viro magis et minus est invisa parenti.


Come la vite vedova che nasce in un campo vuoto

mai si solleva, mai spunta la dolce uva

ma piegando il tenero corpo con il peso inclinato

quasi quasi tocca la cima del ramoscello con la radice 

e nessun contadino, nessun giovenco la coltiva:

ma se per caso lei stessa è unita al marito olmo

molti agricoltori, molti giovenchi la lavorano:

così (=o forse è meglio rendere con  "allo stesso modo") 

una ragazza, mentre rimane intatta (=illibata), mentre invecchia trascurata,

quando ha ottenuto un matrimonio a tempo debito

è più cara al marito e meno odiosa al genitore. 

Mi soffermo soprattutto sul lessico:

La vite vedova (= vidua... vitis) è "la vite senza uva, per cui, l'edera, senza appoggio, sola in un campo nudo, per cui "privo di altre piante, vuoto, coltivabile".

Arvo deriva da arvum, "campo coltivabile, suolo". I suoi sinonimi sono ager, "campo, podere" e seges, "terreno, campo" ma anche "raccolto, frutto". 

Nel I° libro delle Epistole di Orazio, uno dei temi più ricorrenti è la contrapposizione fra campagna e città e dunque fra i diversi stili di vita che comportano questi due ambienti opposti. In alcune epistole compare il diminutivo agellus ("campicello") e in altre invece ci si accorge che la parola seges rinvia sempre alla semina e al raccolto. 

Il flagellum è il ramoscello.

Coluere deriva da colo, colere  e dunque "coltivare, lavorare".

Per giovenco si intendeva un giovane bovino che era attorno al primo anno di vita.

La virgo, prima dell'avvento del Cristianesimo, era "la ragazza in età da marito", "la giovane che non ha mai avuto rapporti con un uomo" o anche, ma questo più che altro in certi contesti di letteratura arcaica, "la Vestale", una sacerdotessa romana che aveva fatto promessa di castità.

Interessante infine risulta dare un'occhiata alle sfumature di significato di conubium, che significa certamente "matrimonio" ma anche "innesto di piante".


A2) ORAZIO, EPODI 2, 9-10:

Ergo aut adulta vitium propagine

altas maritat populos.


Così sposa gli alti pioppi con il germoglio

ormai cresciuto delle viti.


Adulta è sia aggettivo che participio perfetto di adolesco, "crescere". 

Propagine  da propago  è "germoglio". Aut di solito ha valore di o, oppure, ma qui è più opportuno tradurlo con "ormai". I populos sono proprio i pioppi, complemento oggetto plurale di maritat.

Ho riportato soltanto i due versi che sono inerenti al tema di questo post, ma, a proposito dei contenuti, dico soltanto che in questo componimento, l'usuraio Alfio elogia la bellezza di campi e campagna.


B) LETTERATURA ITALIANA:

B1) ARIOSTO, ORLANDO FURIOSO, X, OTTAVA NONA:

Questo è uno dei casi in cui, in un'opera di letteratura epico-cavalleresca, è recuperata l'immagine catulliana.

IX
  Non vi vieto per questo (ch’avrei torto)
che vi lasciate amar; che senza amante
sareste come inculta vite in orto,
che non ha palo ove s’appoggi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
tutta a fuggir, volubile e inconstante,
e córre i frutti non acerbi e duri,
ma che non sien però troppo maturi.

Partiamo dal secondo verso di questa strofa: senza amante/sareste come inculta vite in orto: "senza un uomo che vi ama sareste come una vite che cresce sola e selvatica in un giardino", che non ha un'altra pianta o un sostegno di altro genere a cui appoggiarsi. E qui, vi ricordo ancora che per vite si intende l'edera, per secoli chiamata "vite pampinea". 

Aggiungo una considerazione, visto che siamo negli anni venti del XXI° secolo: anche senza compagno una donna è donna. Non c'è bisogno di un uomo. Magari le donne nel XXII° secolo penseranno: "quanto erano stupide diverse ragazze e diverse donne di un secolo fa! Stupide per credere di aver per forza bisogno di un uomo per essere felici, cretine per fidarsi ciecamente di uomini st**n*i e non seri mandando loro delle foto di un certo tipo. Mettere le mani addosso è violenza, non ci vogliono né diplomi né lauree per poterlo capire. Però, a mio avviso, è violenza e grave mancanza di rispetto anche il non voler legarsi seriamente a una donna, il volerla trattare solo come un passatempo, come un'avventura di qualche mesetto.

Lanugine (più comunemente, "peluria") è anche un termine botanico, dal momento che si riferisce alla sottile e leggere peluria che può comparire in alcune specie di piante e di fiori. 

Còrre era l'antico "cogliere".  

Non è affatto strano pensare, anche in questo contesto, ai frutti come metafora delle occasioni di amare mentre si è ancora giovani.  Il frutto, sia nella letteratura italiana che nelle letterature più antiche, rinvia molto spesso alla fecondità che deriva dall'amore.

B2) TASSO, AMINTA, I, 251-253:

Veder puoi con quanto affetto

e con quanti iterati abbracciamenti

la vite si avviticchia a 'l suo marito.

Iterati qui sta per "ripetuti". E anche qui, la vite pampinea e l'olmo (il marito) sembrano due coniugi che si abbracciano.

B3) TASSO, GERUSALEMME LIBERATA, CANTO III , OTTAVA 75:

LXXV.


     L’un l’altro esorta, che le piante atterri,
E faccia al bosco inusitati oltraggj.
Caggion recise da’ taglienti ferri
596Le sacre palme, e i frassini selvaggj:
I funebri cipressi, e i pini, e i cerri,
L’elci frondose, e gli alti abeti, e i faggj:
Gli olmi mariti, a cui talor s’appoggia
600La vite, e con piè torto al ciel sen poggia

Il canto terzo del poema rappresenta il momento in cui l'esercito cristiano, appena giunto nei pressi di Gerusalemme, si ritrova a combattere contro i saraceni, mentre la principessa Erminia, dall'alto della torre, osserva la battaglia ed indica al re Aladino i nomi e le caratteristiche di diversi cavalieri cristiani.

Questo canto termina con l'immagine della foresta di Saron, dove si trovano alcuni artigiani inviati da Goffredo di Buglione per raccogliere legna (inusitati oltraggi= è la prima volta che in quella foresta vengono tagliati gli alberi).

Per cerri si possono intendere le "querce". e per elci frondose i "lecci". 

vv.7-8= Gli olmi imponenti vengono definiti mariti per la vite pampinea che vi si appoggia.


B4) TASSO, GERUSALEMME LIBERATA, CANTO XX, OTTAVE 94-100:

XCIV.       

         Gildippe ed Odoardo, i casi vostri

Duri ed acerbi e i fatti onesti e degni
(Se tanto lice ai miei Toscani inchiostri)
748
Consacrerò fra’ pellegrini ingegni:
Sicchè ogni età, quasi ben nati mostri
Di virtute e d’amor, v’additi e segni:
E, col suo pianto, alcun servo d’Amore
752
La morte vostra e le mie rime onore.

XCV.


La magnanima Donna il destrier volse
Dove le genti distruggea quel crudo,
E di due gran fendenti appieno il colse:
756
Ferigli il fianco, e gli partì lo scudo.
Grida il crudel, ch’all’abito raccolse
Chi costei fosse: ecco la putta, e ’l drudo.
Meglio per te s’avessi il fuso e l’ago,
760
Che in tua difesa aver la spada e ’l Vago.

XCVI.


 Quì tacque; e di furor più che mai pieno,
Drizzò percossa temeraria e fera
Ch’osò, rompendo ogn’arme, entrar nel seno
764
Che de’ colpi d’Amor degno sol’era.
Ella repente abbandonando il freno,
Sembiante fa d’uom che languisca e pera.
E ben sel vede il misero Odoardo,
768
Mal fortunato difensor, non tardo.

XCVII.


Che far dee nel gran caso? ira e pietade
A varie parti in un tempo l’affretta.
Questa, all’appoggio del suo ben che cade:
772
Quella, a pigliar del percussor vendetta.
Amore indifferente il persuade
Che non sia l’ira o la pietà negletta.
Con la sinistra man corre al sostegno,
776
L’altra ministra ei fa del suo disdegno.

XCVIII.



Ma voler e poter che si divida,
Bastar non può contra il Pagan sì forte:
Tal che nè sostien lei, nè l’omicida
780
Della dolce alma sua conduce a morte.
Anzi avvien che ’l Soldano a lui recida
Il braccio, appoggio alla fedel consorte;
Onde cader lasciolla: ed egli presse
784
Le membra a lei con le sue membra stesse.

XCIX.


 Come olmo a cui la pampinosa pianta
Cupida s’avviticchi, e si marite;
Se ferro il tronca, o turbine lo schianta,
788
Trae seco a terra la compagna vite:
Ed egli stesso il verde, onde s’ammanta,
Le sfronda, e pesta l’uve sue gradite:
Par che sen dolga, e più che ’l proprio fato,
792
Di lei gl’incresca che gli muore a lato.

C.


 Così cade egli; e sol di lei gli duole,
Che ’l Cielo eterna sua compagna fece.
Vorrian formar, nè pon formar parole:
796
Forman sospiri di parole in vece.
L’un mira l’altro: e l’un, pur come suole,
Si stringe all’altro, mentre ancor ciò lece:
E si cela in un punto ad ambi il díe:
800
E congiunte sen van l’anime píe.


Siamo praticamente alla fine del poema. Gildippe e Odoardo, due coniugi cristiani (anime pìe), combattono alle porte di Gerusalemme contro i saraceni ed entrambi ci rimettono la vita. Qui però c'è una sostanziale differenza rispetto ai casi precedenti: il paragone con l'olmo e la vite è riferito all'atto del cadere a terra a causa di ferite mortali.

Breve riassunto dei contenuti delle strofe:

Strofa 94:  "casi tristi" sta per "vicende tragiche". Il poeta qui si prefigge di affidare alla poesia questi due coniugi, capaci di imprese onorevoli.

Strofa 95: La magnanima donna è Gildippe e quel crudo è Solimano il Magnifico. Solimano che si dimostra, potremmo dire, "sessista", visto che dice a Gildippe: avresti fatto meglio a dedicarti alla tessitura  e alla filatura (fuso e ago) anziché alla guerra.

Strofa 96: Un solo colpo è bastato per far cadere Gildippe, ancora prima che Odoardo intervenga.

Strofa 97: L'ira, il desiderio di vendetta e la pietà per la moglie appena defunta suscitano diverse intenzioni nella mente di Odoardo, per cui, per un istante, è incerto sul ciò che deve fare: sostenere Gildippe mentre sta cadendo oppure vendicarsi cercando di uccidere Solimano?

Strofa 98: Odoardo fa entrambe le cose: sorregge Gildippe e attaccare Solimano. E questo gli costa la vita.

Strofa 99: Parafrasi: "Come un olmo al quale la vite bramosamente, avidamente si avvinghi e si unisca, se un'arma lo taglia o lo schianta a terra un fulmine, trascina con sé anche la vite, sua compagna, le foglie della vite di cui si avvolge come un mantello, si ammanta, le sfronda e le schiaccia le gradevoli uve, e sembra che se ne dispiaccia e ancora più del proprio destino sembra che si addolori per colei che gli sta morendo vicina".

Strofa 100: I due coniugi caduti a terra, esangui e morenti, vorrebbero parlarsi ma non possono. Sospirano. Si guardano e, finché possono e per quei pochi istanti che sono ancora in vita, si abbracciano. La luce del sole intanto si oscura ad entrambi (muoiono).

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A proposito di ragazze in gamba... Qui mi rivolgo soprattutto alle lettrici: ho un'amica, che fa sempre parte del gruppo di amici in cui sono entrata quest'estate, che ha un blog su Altervista in cui pubblica fotografie di lavori, tutti suoi, ad uncinetto. Secondo me è bravissima, ha talento in questo! 

E' raro adesso come adesso conoscere una ragazza giovane alla quale di solito piace investire il suo tempo libero con questa forma di creatività. Vi allego l'indirizzo esatto del suo blog qui sotto: 

https://lecreazionidibenny.altervista.org/

Certamente, questo è un periodo storico difficile, per chiunque. Ci sentiamo limitati nelle relazioni, negli spostamenti, nelle attività sportive, nei viaggi. Io è da un anno esatto che non metto piede in un teatro, da 10 mesi che non vado più al cinema.

Sono stanca di questa situazione anche se non lo do molto a vedere per rasserenare chi ho intorno. Però in questa seconda ondata, a differenza della prima, almeno non sono da sola e non sono più la ragazza emarginata. Almeno so di avere un gruppo di coetanei o comunque quasi-coetanei che a me ci tiene. Torneremo anche noi, come gruppo, a condividere una pizza la domenica sera, a organizzare delle mezze giornate di ritrovo, a condividere pasti e merende dopo il servizio che facciamo. (Eh sì, ho cambiato parrocchia e ho cambiato decisamente in meglio!).

Quale sarà la prima cosa che farò, una volta finito tutto questo?!

A dirla tutta, ce l'ho anch'io un ragazzo a cui tengo e con cui ho un ottimo rapporto. Non vedo l'ora di poterlo stringere forte ancora.

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