Ad oggi conosciamo tredici epistole in lingua latina scritte da Dante.
CHI ERANO I DESTINATARI DELLE EPISTOLE DI DANTE?
EPISTOLA I= Al Cardinale Niccolò da Prato.
EPISTOLA II= Ai conti Guido e Uberto da Romena.
EPISTOLA III= A Cino da Pistoia, esule come Dante.
EPISTOLA IV=Al marchese Moroello Malaspina.
EPISTOLA V= Ai signori e ai popoli d'Italia.
EPISTOLA VI= Ai Fiorentini.
EPISTOLA VII= All'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo.
EPISTOLE VIII, IX, X= All'imperatrice Margherita di Brabante.
EPISTOLA XI= Ai cardinali italiani.
EPISTOLA XII=Ad un amico fiorentino.
EPISTOLA XIII= A Cangrande della Scala.
* L'epistola XIII è stata tramandata da otto manoscritti differenti. E' ormai risolta la questione della paternità dantesca di quest'epistola: l'autore è Dante, che, nella prima parte, ringrazia Cangrande per i benefici ricevuti, mentre nella seconda, gli fornisce delle informazioni a proposito della composizione del Paradiso.
E' possibile che le questioni passate che mettevano in dubbio l'attribuzione a Dante siano state derivate dal fatto che, per diverso tempo, questa epistola era stata tramandata in due tronconi, cioè, qualsiasi copista trascriveva la parte che gli interessava di più.
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1) I DUE "CODICI COMPLEMENTARI" CHE TRAMANDANO LE EPISTOLE DI DANTE:
A) IL CODICE VATICANO PALATINO 1729 ("VAT. PAL. 1729"):
A1) COM'E' STRUTTURATO IL VATICANO PALATINO 1729?
Questo è un testimone fondamentale per la trasmissione di queste lettere perché ne contiene nove. Tuttavia, vi faccio presente che non contiene soltanto le epistole dantesche ma anche la trascrizione del Bucolicum Carmen di Petrarca e il De monarchia di Dante.
E' formato da 65 fogli totali.
A2) DA CHI E' STATO TRASCRITTO IL VATICANO PALATINO 1729?
Questo codice è stato allestito, probabilmente e in buona parte, da Francesco Piendibeni, un colto umanista che è vissuto nel XIV° secolo.
Approfitto per darvi, in modo schematico e piuttosto sintetico, alcune notizie su Piendibeni:
-Era nato a Montepulciano nel 1353.
-E' stato cancelliere di Perugia dal 1381 al 1394, quindi, per un periodo lungo.
-E' divenuto arciprete di Montepulciano.
-Era amico e corrispondente di altri umanisti quali Poggio Bracciolini e Coluccio Salutati.
A3) MA LE TRE PARTI DEL VATICANO PALATINO 1729 SONO STATE SCRITTE TUTTE E TRE DA PIENDIBENI?
Il Bucolicum Carmen è un'opera in versi scritti da Petrarca. La trascrizione del Bucolicum Carmen non è stata eseguita da Piendibeni ma da un altro copista, il cui nome ci è ignoto, che si era formato presso Salutati. Tuttavia, Piendibeni è quasi sicuramente autore di alcune correzioni e di glosse di commento attorno a questi versi di Petrarca.
Nel 1902, Oddone Zenatti aveva assegnato la trascrizione del De Monarchia a Piendibeni. Inoltre, Zenatti è sicuro che le correzioni ai margini del testo di questo trattato politico siano state vergate dalla mano di questo umanista.
Quanto alla terza parte del Vat. Pal. 1729, bisogna innanzitutto precisare che qui non ci sono commenti ai margini dei testi trascritti.
Molti elementi paratestuali (glosse, commenti, capilettere rossi e turchesi) che accomunano le prime due sezioni del Vat. Pal. 1729 e il manoscritto "F", vergato (e in questo caso si ha la certezza) da Piendibeni, non si riscontrano nella sezione delle Epistole.
(*Il manoscritto "F" contiene le tragedie di Seneca ed è conservato a Parigi).
Quindi il copista della terza sezione del Vat. Pal. 1729 è stato davvero Piendibeni?
Oddone Zenatti pensava di sì e Francesco Mazzoni, filologo italiano più recente, gli dà ragione, dal momento che riscontra, sia per la parte delle Epistole che per quella del Del Monarchia, un'uguale andatura corsiveggiante.
Ad ogni modo, se non ha trascritto, sicuramente Piendibeni avrà fatto trascrivere ad altri e dunque avrà fatto un lavoro di regia visto che si è certi che la presenza di quelle nove epistole dantesche dipende da lui.
A4) QUALI LETTERE CONTIENE IL VAT. PAL. 1729?
Contiene le Epistole VII, VI, VIII, IX, X, II, IV, I, V.
B) LO ZIBALDONE LAURENZIANO ("L"):
B1) DA CHI E' STATO VERGATO LO ZIBALDONE LAURENZIANO?
Certamente da Boccaccio, fervido ammiratore sia del Dante uomo che del Dante poeta. E' lo Zibaldone di Giovanni Boccaccio, rinvenuto da Carlo Troya nel 1826.
B2) LETTERE CONTENUTE NELLO ZIBALDONE LAURENZIANO:
Sono tre: III, XI, XII.
Concludo questa prima parte di questo approfondimento con una domanda: se la complementarietà fra Vat. Pal. 1729 e L è così lampante, si può supporre che provengano da uno stesso antigrafo?
*l'antigrafo è, filologicamente parlando, un codice-manoscritto dal quale derivano più manoscritti.
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2) LE PRIME EDIZIONI DELLE EPISTOLE DI DANTE USCITE NEL PIENO DEL XIX° SECOLO:
Questo per me è un approfondimento più affascinante.
C)LE EDIZIONI DI WITTE, TORRI E FRATICELLI:Karl Witte, docente universitario di diritto e cultore di Dante Alighieri, cercava di preparare una nuova edizione della Commedia. Cercava uno studioso che fosse in grado di confrontare i testi delle precedenti edizioni di questa mega-opera. Così chiede aiuto a Von Heyse che, recatosi nella Biblioteca Vaticana, scopre le lettere di Dante contenute nel codice Vaticano Palatino 1729, le trascrive, le corregge e le dona a Witte. Alcune settimane dopo, su un giornale di Lipsia, Witte annuncia ai suoi connazionali la scoperta delle epistole dantesche ma tace il vero nome dello scopritore, attribuendosi così un merito non suo. Ma, durante un viaggio in Svizzera, Witte smarrisce la copia delle epistole. Nel frattempo, Alessandro Torri, nel 1842, pubblica un'edizione delle Epistole di Dante e così precede Witte in questo intento.
C2) L'ANEDDOTO DI TOMMASEO E' FALSO!
Per quali motivi?
- Come ha fatto Von Heyse a correggere le Epistole di Dante? Non era di sua competenza! Von Heyse era filologo greco, non filologo dantesco!
-Perché Von Heyse avrebbe dovuto donare la sua trascrizione a Witte, se era stato pagato dallo stesso Witte per trascrivere le epistole?!
-Torri non è affatto stato il primo a curare un'edizione delle Epistole dantesche: c'è infatti un'edizione allestita da Witte risalente al 1827.
Quella di Tommaseo non è la verità, è una storiella di afflato patriottico da lui inventata subito dopo la nascita del Regno d'Italia: l'autore del romanzo Fede e Bellezza voleva diffondere agli intellettuali italiani l'idea che questi scritti di Dante, trovati da due tedeschi, sono stati pubblicati da Torri, italiano, dal momento che il destino ha punito la presunzione di Witte.
C3) L'EDIZIONE TORRI:
E' stata pubblicata nel 1842 a Livorno ed è stata tacciata di approssimazione da Witte. Torri, che evidentemente stimava l'acume di Witte, gli aveva fornito appunti e pareri per poter migliorare la sua edizione delle Epistole di Dante.
C4) L'EDIZIONE FRATICELLI:
Tra l'altro, Torri non è il primo a pubblicare le Epistole di Dante. Pietro Fraticelli, due anni prima, aveva pubblicato una sua edizione con traduzione del testo latino.
C5) L'EDIZIONE WITTE:
E' stata pubblicata in sole 60 copie. A fine volume, c'è una lista contenente 25 nomi di critici italiani con i quali Witte corrispondeva. Tra questi, anche il nome di Alessandro Torri.
C6) IL PASSO SU OZA:
Il passo su Oza riguarda l'epistola XI, indirizzata ai cardinali italiani, dal momento che Dante auspicava ad un rinnovamento spirituale della Chiesa del suo tempo: Dante, in questa lettera, immagina le loro reazioni alle sue esortazioni e scrive, ad un certo punto, ciò che egli immagina che i cardinali pensino delle sue parole: Chi è costui che spiega a noi cosa dobbiamo fare, non temendo la punizione di Oza?
Oza è un personaggio biblico che compare nel II° libro dei Re: re Davide lo aveva incaricato di ricondurre l'arca a Gerusalemme su un carro, ma i buoi che trainavano il carro, agitati, rischiavano di farla cadere. Oza allora aveva pensato di sostenerla con le proprie mani. Per questo era stato punito da Dio con la morte.
Edizione Fraticelli= Traduce "Oza" per Oza e "gli altari" per ad aram.
Edizione Torri del '42= Traduce, in modo errato, "Osea". Ma in seguito, non soltanto lo corregge in "Oza" ma propone di emendare l'aram del testo con arcam. La Bibbia in effetti parla di arca vacillante, non di altari crollanti.
C7) L'ENIGMA DI CIOLO:
Nell'epistola XII°, all'amico fiorentino, Dante dichiara di rifiutare l'umiliazione dell'oblazione per poter rientrare a Firenze e dice: è umiliante essere dato in mostra alla maniera di Ciolo.
Ma chi era Ciolo?
Sia Fraticelli che Torri ritenevano che fosse il nome di un malfattore famoso all'epoca dell'Alighieri.
Witte però non ne è così convinto e coinvolge Wilde, altro filologo, però americano, in una ricerca finalizzata a scoprire l'identità di Ciolo.
Nella sua edizione del 1827, Witte non aveva spiegato chi fosse Ciolo. Anzi, lo aveva modificato in scioli (=saputello).
Però Wilde muore senza aver concluso le ricerche, che Witte invece continua, scoprendo infine il nome, storicamente esistito, di Cione degli Abati, presente nella Cronica di Dino Compagni.