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6 marzo 2021

Alcune poesie di Elisa Kidané (da "Parole clandestine"):

Siamo alla fine della prima settimana di marzo e la primavera sta per iniziare. 
Un anno fa era iniziato il lockdown nazionale per Covid (e ora secondo me ci sono tutte le premesse e tutti i presupposti per dichiarare nuovamente l'Italia "zona protetta"). 

Ad ogni modo, quale occasione migliore di questa settimana per presentarvi alcune poesie di Elisa Kidané? Elisa è una missionaria comboniana originaria dell'Eritrea. L'ho conosciuta quando ero ancora agli inizi del mio percorso universitario, durante una presentazione della sua raccolta di poesie intitolata Parole clandestine.

Di seguito, quindi, ho commentato quelle poesie che mi sono piaciute di più di questo volumetto.


LUNA NERA:

Le tre strofe iniziano con lo stesso sintagma luna nera, che costituisce un'anafora. 

E' una luna che rischiara le notti della poetessa, che è compagna dei suoi sogni e che, infine, è anche guardiana del destino degli uomini. Ogni strofa termina con una domanda. 

Tra una strofa e l'altra ci sono delle frasi particolarmente significative:

Un passo di speranza= Per "fare" la rinascita di un continente serve la speranza. Servono cioè persone disposte a credere in un domani migliore e a cooperare tra loro per poter così lasciare e donare ai loro figli e ai loro nipoti un mondo migliore.

Un raggio di utopia= E' un raggio di utopia che fa spuntare l'alba. In greco antico, "utopia" ha due diverse etimologie: 

A) οὐ ("non") e τόπος ("luogo") 

B) εὖ ("buono" o "bene") e τόπος ("luogo").

Ai nostri giorni il termine "utopia" è strettamente connesso a qualcosa di irraggiungibile e a idee  irrealizzabile: l'espressione "è un'utopia" praticamente significa: "è quasi impossibile raggiungere questo obiettivo nella realtà".

Pensate per un momento proprio all'isola immaginaria di Thomas Moore chiamata Utopia, collocata dall'autore nel Nuovo Mondo, cioè, non lontana dalle coste americane. Thomas Moore, vissuto agli inizi del XVI° secolo, aveva letto i resoconti dei viaggi di Amerigo Vespucci. 

Quel che a distanza di secoli ancora oggi gli studiosi di letteratura e di filosofia si chiedono è: ma l'autore aveva voluto rappresentare quello che era il suo mondo ideale oppure la sua intenzione era quella di fare dell'ironia sul mondo reale?!

L'utopia/anti-utopia (o distopia) è divenuto un genere letterario, florido soprattutto nel mondo anglo-americano del secolo scorso e abbastanza spesso legato al genere fantascientifico. 

Le distopie fantascientifiche mi piacciono, ma non costituiscono il mio genere letterario preferito. Tuttavia, ammetto senza problemi che hanno un loro fascino e che piuttosto spesso offrono ai lettori delle tematiche sulle quali riflettere.

I miei generi letterari preferiti sono in realtà l'autobiografia a leggero sfondo storico e il romanzo psicologico.  

Un abbraccio tenero= questo tenero abbraccio rende uguali non soltanto i vari popoli africani ma anche tutti gli abitanti dell'umanità. Li rende uguali e al contempo differenti gli uni dagli altri: con diverse tradizioni, con diverse lingue e diverse religioni ma tutti umani, dotati di cervello e di cuore.

Come dicevo quando ero ancora una ragazzina delle medie, tutti gli uomini sono dei tasselli che fanno parte di un grande mosaico, che è l'umanità. Ogni uomo, con i suoi talenti e con le sue risorse, può rendere colorato e vivace questo mosaico.

Penso alla parabola evangelica dei talenti e a quel terzo servo che, invece di far fruttare il suo unico talento, lo nasconde sotto terra e lo restituisce al padrone. 

Vi inviterei a rileggere il Vangelo di Matteo, 25, 14-30.  

https://www.biblegateway.com/passage/?search=Matteo+25%3A14-30&version=CEI

Quali stati d'animo vi suscita il comportamento del servo con un solo talento? 

A me sinceramente fa pena e tristezza, perché non riesce a cogliere quella possibilità di vita che gli è stata data, perché in fin dei conti non è diverso da coloro che, ai nostri giorni, vivono la loro quotidianità con passo pesante e con occhi velati perennemente dal malcontento, lamentandosi continuamente. 

In questo brano del Vangelo, per "talenti" non si intende soltanto "ciò che sono portato a fare". Io indubbiamente ho il talento per la scrittura e per gli studi storico-linguistici-letterari (Lettere, Lingue, Beni Culturali e Storia a Verona sono facoltà che appartengono alla stessa macro-area culturale), ma non basta, a mio avviso, sfruttare i talenti scolastico-accademici per sentirsi a posto con la propria coscienza. 

Ho più di 20 anni e non ho avuto una vita facile: a sei anni ero negli studi medici e negli ospedali mentre le mie coetanee potevano frequentare la scuola regolarmente e iniziare corsi di danza classica. Ho vissuto dei momenti davvero difficili: la malattia di mio nonno, la malattia di Gabriella, una cara amica di famiglia che mi ha vista crescere, l'emarginazione e i pettegolezzi a scuola e in parrocchia, le doppie facce e le prese in giro all'Università. Però devo riconoscere di aver avuto anche molte possibilità: la possibilità di studiare molto, la possibilità di vivere nel benessere, la possibilità di incontrare diverse persone e di confrontarmi.

Ha ragione mia mamma a dirmi che io ho sempre preso a morsi la vita

Quando ripenso alla mia esperienza di malattia mi stupisco ora di come sia riuscita a viverla con leggerezza, pur avendo soltanto sei anni. Per leggerezza intendo dire che, pur rendendomi conto di non stare bene e pur sapendo che sarei stata sottoposta ad una cura che nel 2001 qui in Italia era in fase di sperimentazione,  pensavo al futuro. 

Pensavo già allora agli studi che avrei potuto fare, facevo un sacco di domande sul mondo delle scuole superiori e dell'Università, pensavo "prima o poi mi sposerò e farò una famiglia tutta mia". E intanto scrivevo racconti con pochissimi errori ortografici che vedevano certamente animali, piante e fiori pensanti e parlanti ma, dettaglio non irrilevante, i personaggi principali erano abbastanza spesso due: la foglia e il ramo, la rondine e il monte, la conchiglia e il mare, la roccia e il salice (in me il desiderio e la dimensione interpersonale è sempre stata un pochino più forte di quella conservativa).


CHI SONO?


Chi sono?  L'autrice inizia da alcuni tratti fisici: occhi neri, pelle che si nutre della bellezza della luce, della terra e dell'acqua e asciugata dal soffio vitale (πνεῦμα) dello Spirito di Dio.

Mi colpisce questa frase le parole, arcobaleno senza confini. 

Con le parole si riesce a consolare ma anche a ferire. E, in certi casi, le ferite psicologiche non sono da meno rispetto a quelle fisiche. 

Sarebbe meraviglioso un mondo in cui ci si servisse delle parole non come armi aguzze e taglienti ma soprattutto come mezzi per costruire sani confronti e relazioni autentiche, fondate soprattutto sul rispetto.

Scrive anche l'autrice: Ovunque trovo frammenti di me. 

Lei si sente in comunione con l'umanità. Bellissimo! Sarebbe come a dire: in ogni uomo e in ogni donna che incrocio lungo il sentiero della vita, vedo una piccola parte di me, vedo a volte la mia fragilità e il mio dolore, a volte le mie risorse. 

E' così che dovrebbe essere ogni cuore umano: un crocicchio di mondi nomadi.


GHEBRAI:


Questa è una poesia che ha come tematica principale il viaggio come ricerca e speranza in una vita migliore. Ghebrai è un connazionale della Kidané, cioè, è un eritreo.

Ancor giovinetto lasciasti quel minuscolo paesello= Si tratta di un villaggio fatto di capanne, di povertà, di poco cibo, di strade sterrate e dissestate, di una comunità piccola ma magari unita e solidale. 

Ghebrai parte, come molti migranti al giorno d'oggi, per realizzare il sogno di una vita migliore. Parte per soddisfare il suo cuore errante, mai stanco di attraccare in porti sempre nuovi. 
I porti nuovi sono presumibilmente i paesi europei presso i quali il cuore di questo giovane, come un veicolo marino (barca, nave, battello) cerca di giungere. Ma ogni traguardo diviene stazione di partenza: sono innumerevoli e logoranti le tappe del viaggio di un migrante.

Ma il viaggio terreno di Ghebrai giunge a capolinea ad un ospedale di Vancouver in Canada. Si tratta di una fermata drammatica, non prevista, ma che prefigura al Regno dei Cieli.

Che cosa ha lasciato Ghebrai su questo pianeta?! 
Un bagaglio lieve, cioè, fatto di pochi e semplici oggetti. Il bagaglio lieve di quest'uomo è un bagaglio colmo di amore per i figli.

Dov'è Ghebrai ora? Nel cuore di Dio, che è paragonato ad un territorio naturale di enormi praterie contemplate dal blu profondo del cielo.

(...) la tua nostalgia d'infinito. 
Questo componimento si chiude con un'espressione che invita a riflettere.
La nostalgia d'infinito accomuna tutti gli uomini del mondo, visto che la vita è un viaggio fatto di formazione, di relazioni, di domande (e non per tutte si trova una risposta). 
Io credo che l'esistenza sia un bagaglio che si riempie, con l'andare del tempo e con l'accumularsi di esperienze e di incontri.
D'altronde, tutti siamo dei viandanti finché viviamo.

Concludo il mio commento a questa poesia con una domanda:

C'è per voi differenza fra un migrante e un nomade?

MAMA AFRICA:


Il continente africano viene qui personificato in una donna dalle spalle mai piegate che cammina con calma e con dignità. In seguito si dirà: il tuo andare maestoso.

Coloro che tentano di rubarle l'anima= Si allude qui al comportamento commerciale delle grandi potenze, cioè, degli Stati Uniti, della Cina e dell'Europa, stati assetati di ricchezze e di risorse minerarie, non di umanità, purtroppo.

Il mio passo, col tempo, sarà danza infinita= l'Africa è un continente giovane, lacerato dalle guerre e dagli estremismi religiosi, fatto di miseria ma anche di cooperazione sociale e di piccoli gesti che rendono la giornata "piena" e degna di essere vissuta. Certi manuali di geografia definiscono l'Africa "il continente bambino", visto che l'età media è di 19,5 anni. 

L'Africa è però anche generatrice di umanità: è in effetti culla dell'umanità. A 50 km dall'attuale Johannesburg, in Sudafrica, sono stati trovati i primi resti di ominidi, risalenti a circa 2 milioni di anni fa.

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A proposito di anti-utopie e di fantascienza: una delle mie letture recenti è stata Il mondo nuovo di A. Huxley. Però ho anche letto Far From the madding crowd ("Via dalla pazza folla") di T. Hardy in lingua. 

Per me si tratta ora di decidere a quale dei due dare la precedenza con un post qui.

Sull'opera di Huxley ho moltissimo da dire, quindi, è abbastanza probabile che i miei commenti e le mie riflessioni sul Mondo nuovo occuperanno due post.

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Posso dire che sono veramente molto amareggiata?! Sono delusissima dal comportamento della gente: c'è una pandemia, c'è un virus contagioso che può anche essere pericolosissimo, negli ospedali c'è gente che sta veramente molto male... Eppure a molti italiani non entrano in testa i semplicissimi concetti di "distanziamento fisico" e "mascherina". In questo mese di zona gialla dalle mie parti ho visto fin troppi assembramenti. Fin troppi.

Sono inoltre indignata per i vaccini che arriveranno in ritardo, mentre l'umanità, non soltanto gli europei, soffre.

Dov'è l'umanità?! Si chiedeva più o meno questo un mio contatto Ig ieri sera in un suo post. 

L'umanità è negli occhi, malinconici e al contempo luminosi, di un bambino molto ammalato, riconoscente a chi si prende cura di lui.

L'umanità è nelle rughe di una persona anziana, nelle sue molte esperienze, nei suoi affanni.

L'umanità è in tutti coloro che, in un periodo del genere, non rinunciano ad essere generosi e solidali con gli altri.

L'umanità è nella forza interiore, nella tenacia di chi non rinuncia a formarsi per il proprio futuro e ai suoi progetti di vita, anche se l'esistenza terrena, con il Covid, è divenuta ancora più precaria (non so se questa malattia si estinguerà mai, non so quando e se terminerà questo incubo).

L'umanità è nel cuore mite di chi sa assaporare un tramonto, un'alba, un fiore primaverile.

Riporto qui sotto un'altra poesia di Elisa Kidané sul Natale. Anche se il Natale è passato da un po'. 

Non c'è il mio commento stavolta. Perché vorrei impiegaste alcuni minuti della vostra giornata semplicemente a pensare, senza un minimo di aiuto da parte mia, a ciò che lei comunica.

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