Questo mio scritto, che ho pubblicato prima del previsto, ha rappresentato un tentativo di rispondere a questioni di attualità piuttosto complesse.
La data è quella di stesura, ma in realtà è da novembre che sto riflettendo su questi argomenti che hanno chiuso il corso di Letterature comparate.
19 dicembre 2019
Oggi le nuvole coprono il cielo. Un venticello freddo fa rabbrividire gli alberi spogli, i fili d'erba verde, le piccole foglie delle siepi.
Oggi è una di quelle giornate in cui mi sento piccola, fragile, delicata e indifesa, come lo è un feto nato prematuro: forse la mia esistenza e il mio essere sono troppo piccoli, troppo limitati per sfruttare in maniera soddisfacente il valore del tempo e per comprendere appieno l'immensità dell'Universo e la maestosità della natura.
Io credo che la contemplazione di un paesaggio marittimo, collinare o montano giovi a tutti, se non altro perché può allontanare da noi, almeno, dalle persone più sensibili, aspirazioni di grandezza e velleità di potere, visto che le entità con le quali i nostri occhi vengono a contatto ci rendono piccoli e anche insignificanti di fronte alla bellezza che in questo pianeta esiste e si evolve da milioni di anni.
Il fragore del mare, l'imponenza delle vette dei monti, la luce del sole che irradia il vasto azzurro del cielo continueranno ad esistere anche dopo di noi.
Spesso mi sento impotente di fronte a questo tempo che scorre incessantemente davanti ai miei occhi, anche se, nella mia mente e sul calendario cerco di programmare giornate e settimane che quasi sempre risultano essere molto intense. Non riesco mai a realizzare tutto ciò che mi prefiggo.
Vorrei poter riuscire a incontrare più spesso amici, zii e cugini; ma non sempre riesco a conciliare i miei mille impegni con la mia voglia di dialogare, di donare un parte di me a coloro che mi stimano davanti ad una pizza o ad un caffè, o durante una passeggiata.
Anch'io, come qualsiasi lettore di questo blog e come qualsiasi persona che vive in questo Occidente industrializzato e tecnologizzato, sono profondamente immersa in una vita fatta di corse; ad esempio, di corse verso la fermata dell'autobus e verso le aule universitarie per arrivare il più possibile in orario a lezione.
Credo sia questo il grande paradosso di questo nuovo millennio: nonostante l'esistenza di internet, dei social network e di efficienti piattaforme di messaggistica come Whatsapp e Telegram, gli incontri fra persone risultano difficili da programmare o comunque abbastanza rari.
Tutti sono facilmente raggiungibili, ma i mezzi tecnologici e informatici attraverso i quali si riesce a contattare facilmente chiunque sono freddi, dal momento che, sia gli schermi, sia le emoticons sia i messaggi vocali impediscono il contatto fisico e in genere non permettono di capire se nelle parole dell'altro ci sia o meno sincerità.
Charles Dickens, scrittore inglese vissuto nel pieno del XIX° secolo, momento in cui il Regno Unito stava vivendo un notevole sviluppo industriale, aveva intuito che la comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta.
Vorrei poter riuscire a incontrare più spesso amici, zii e cugini; ma non sempre riesco a conciliare i miei mille impegni con la mia voglia di dialogare, di donare un parte di me a coloro che mi stimano davanti ad una pizza o ad un caffè, o durante una passeggiata.
Anch'io, come qualsiasi lettore di questo blog e come qualsiasi persona che vive in questo Occidente industrializzato e tecnologizzato, sono profondamente immersa in una vita fatta di corse; ad esempio, di corse verso la fermata dell'autobus e verso le aule universitarie per arrivare il più possibile in orario a lezione.
Credo sia questo il grande paradosso di questo nuovo millennio: nonostante l'esistenza di internet, dei social network e di efficienti piattaforme di messaggistica come Whatsapp e Telegram, gli incontri fra persone risultano difficili da programmare o comunque abbastanza rari.
Tutti sono facilmente raggiungibili, ma i mezzi tecnologici e informatici attraverso i quali si riesce a contattare facilmente chiunque sono freddi, dal momento che, sia gli schermi, sia le emoticons sia i messaggi vocali impediscono il contatto fisico e in genere non permettono di capire se nelle parole dell'altro ci sia o meno sincerità.
Charles Dickens, scrittore inglese vissuto nel pieno del XIX° secolo, momento in cui il Regno Unito stava vivendo un notevole sviluppo industriale, aveva intuito che la comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta.
Abbiamo tutti quanti bisogno di vivere le relazioni umane.
Abbiamo tutti quanti bisogno di ciò che facciamo fatica a chiedere agli altri, ovvero, un abbraccio forte, una stretta di mano, una visita inaspettata.
I rapporti umani veri, autentici, non contaminati da invidie, gelosie e rivalità, costituiscono una vera e propria fonte di amore e di fraternità.
A questo proposito, mi ritorna alla mente quella frase che racchiude in sé il principale messaggio del film Into the wild : la felicità è reale solo se condivisa.
Io credo tra l'altro che la felicità non si trovi nelle grandi feste, nelle discoteche buie e affollate.
E' più probabile che si possa trovare felicità in una passeggiata al tramonto o in una serata d'inverno nella quale si sta seduti sullo stesso divano davanti a un bel film e ad una tazza di tisana bollente o di cioccolata calda.
Ho sempre pensato che la felicità sia fatta di condivisione.
In questi ultimi anni ho conosciuto molte persone, di tutte le età e, attraverso alcune esperienze condivise, ho imparato a riconoscere in ognuna di loro qualità e fragilità.
L'umanità, che include sofferenza ma anche unicità e originalità, la si può riscontrare negli occhi del proprio vicino. Per questo motivo mi ritrovo d'accordo con il professor D'Avenia, che afferma: ciascuno di noi è custode di chi ha accanto.
Quando ero animatrice in parrocchia mi sentivo custode dei miei ragazzi: avvertivo dentro di me il dovere e il desiderio di prendermi cura di loro. Per questo mi impegnavo a pensare ad attività costruttive.
L'umanità, che include sofferenza ma anche unicità e originalità, la si può riscontrare negli occhi del proprio vicino. Per questo motivo mi ritrovo d'accordo con il professor D'Avenia, che afferma: ciascuno di noi è custode di chi ha accanto.
Quando ero animatrice in parrocchia mi sentivo custode dei miei ragazzi: avvertivo dentro di me il dovere e il desiderio di prendermi cura di loro. Per questo mi impegnavo a pensare ad attività costruttive.
Posso anche dire di aver custodito pensieri, stati d'animo, fragilità, difetti, prepotenze di quelli che fino a tre mesi fa erano i miei co-animatori.
Ascoltavo: ho ascoltato gli adolescenti e ho dato loro consigli. Oltre a ciò, mi sono confrontata comunque con persone giovani vicine alla mia età; e anche questo mi è stato utile per crescere, maturare e continuare a pensare con la mia testa, senza farmi influenzare da figure di "leader negativi".
Non odio nessuno: né quelle compagne di classe che ai tempi del liceo con i loro pettegolezzi e i loro insulti sussurrati mi hanno isolata, né quegli animatori e quelle animatrici per i quali e per le quali io ero soltanto una seccatura.
Mi ritrovo ormai ad un passo dall'ingresso nel mondo del lavoro e, mentre da una parte ritengo che il futuro possa riservarmi molte soddisfazioni dopo tutti questi anni di studi e di sacrifici, dall'altra, il mio breve passato difficile mi accompagna sempre, giorno per giorno, ricordandomi però che delusioni, travagli e solitudine sono serviti a farmi crescere e a comprendere le mie risorse interiori.
Voglio ancora credere nell'autenticità dei rapporti umani. E' necessario che tutti credano nelle relazioni, soprattutto in un'epoca in cui la quotidianità è dominata da frenesia, ansia e rapidità. Ogni pasto condiviso, ogni chiacchierata e ogni incontro, in un periodo difficile della nostra vita, possono essere considerati dei "farmaci benefici" che aiutano a recuperare un po' di sollievo o di serenità.
L'ultima parte di questo scritto vorrei dedicarla alla questione Dio.
Mi piace introdurre la tematica con uno spezzone di un dialogo tratto dal film "Donnie Darko", dove il protagonista Donnie, nel corso di una seduta con la sua psicoterapeuta, tocca tematiche profonde e significative.
La psicanalista, ad un tratto, gli chiede: la ricerca di Dio è assurda?
E la risposta di Donnie è, almeno a mio avviso, toccante: lo è se ognuno sulla Terra quando muore è solo.
Questa è una frase che mi ha fatto parecchio riflettere qualche tempo fa, quando ho cercato di cogliere simboli e significati di questo film.
A distanza di quasi tre anni, mi ritrovo più o meno dello stesso pensiero: ognuno di noi vive e può vivere relazioni autentiche e gratificanti, ognuno di noi ha il diritto di sperare nella solidarietà umana ma... nessuno di noi può pretendere di essere sempre oppure del tutto compreso dagli altri.
La nostra interiorità appare un mistero persino a noi stessi, per cui, come possiamo pretendere che qualcun altro la capisca meglio di noi?
E soprattutto, abbiamo certamente il diritto di essere ascoltati, abbiamo il diritto di confidarci, abbiamo il diritto di essere consolati ma... chi comprende del tutto i nostri stati d'animo? Chi sa che cosa veramente prova un ammalato di cancro in punto di morte? Chi potrebbe rendere bene con le parole lo stato d'animo di una madre che ha perduto per sempre suo figlio, o di un adolescente che ha visto i genitori divorziare?
Le incomprensioni ci sono, indubbiamente, sempre, e secondo me, indipendentemente dall'esistenza e dalla ricerca di Dio.
Se dunque, come ho chiarito prima, è possibile sia riconoscere la grandezza della natura e la piccolezza dell'animo umano, sia scorgere sollievo e solidarietà nelle relazioni e nella conoscenza tra persone, è dunque lecito e possibile credere in un Dio onnipotente e misericordioso?
In questi ultimi giorni mi chiedo spesso dove possa essere finita tutta quella spiritualità che avevo da bambina e da adolescente, per la quale mi commuovevo ogni volta che, durante le celebrazioni liturgiche, si doveva cantare.
Potrei anche sembrare fragile ma, dopo alcuni anni di volontariato in parrocchia fatto con il cuore ma che sostanzialmente è stato un'esperienza piuttosto negativa e faticosa, inizio a mettere in dubbio le verità fondamentali di un Cristianesimo verso il quale ho sempre aderito volentieri.
Non mi è stato riconosciuto l'impegno che ho messo e, soprattutto, non ho trovato un ambiente parrocchiale caloroso.
Adesso mi trovo in una situazione piuttosto strana, abbastanza contraddittoria, se volete, in cui non so se davvero Dio o l'ispirazione di Dio intervengano nelle vicende umane, in cui non so se ci sia un regno ultraterreno dopo la morte, in cui una domanda mi sta martellando continuamente il cervello, ed è questa: "Se Dio esiste, che senso ha la sofferenza dell'innocente?".
E pensare che, quando ero animatrice, ci tenevo un sacco a formarmi dal punto di vista biblico e lo facevo... e quindi mi chiedo anche: ora che cosa mi rimane di tutte quelle spiegazioni su brani biblici che, insieme ad altri ragazzi del mio paese, ho ascoltato in questi ultimi due anni?
Che cosa rimane di tutto il servizio che ho svolto con entusiasmo e con altruismo, sia in estate che in inverno?
Di sicuro questo mi rimane: l'affetto e la riconoscenza che alcuni ragazzini, fra i 12 e i 14 anni, hanno ancora nei miei confronti, visto che quando mi vedono, mi abbracciano commossi. Andrea quando mi vede mi stringe forte forte, quasi mi fa male. Proprio Andrea che, bisogna ammetterlo, non è un down facile e ha spiccate preferenze e simpatie nei confronti di adulti ed educatori.
Non frequento più nessuna delle attività parrocchiali ma, nonostante ciò, continuo ad aderire alle "lectio divine" mensili di Don Falavegna e continuo a frequentare la messa.
Perché, anche se mi sto facendo molte domande, anche se in questo periodo sto mettendo in discussione le Risurrezione di Gesù e la potenza dell'entità di Dio, non voglio sfociare nella situazione nella quale si trovano molti miei coetanei, cioè, in un rapporto di assoluta indifferenza verso la religione.
Penso infatti che in un mondo sur-moderno in cui gli episodi di morte, di guerra e di violenza fanno molta più notizia rispetto agli eventi edificanti e anche rispetto agli esempi di persone positive, sia fondamentale coltivare una speranza nella fede in Dio.
Il Cristianesimo in fin dei conti è un messaggio di pace e di speranza, proprio come sosteneva San Giovanni Paolo II: Al di fuori della misericordia di Dio non c'è nessun'altra fonte di speranza per gli esseri umani.
Aggiungo però che il vero cristiano, a mio avviso, per quanto caratterizzato anche da limiti e da difetti, deve cercare di essere umile e il più possibile coerente con la fede alla quale aderisce, in modo tale da poter costituire un esempio o comunque un punto di riferimento sia per le persone che incontra nella sua vita quotidiana sia per tutti coloro che si trovano, come me, alla ricerca di Dio.
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Programma del blog degli ultimi giorni del 2019 o primi giorni del 2020:
- Entro la Vigilia di Natale, vorrei proporvi la traduzione di alcune parti piuttosto consistenti dell'Ecloga IV° di Virgilio, alla quale, nel Medioevo, è stata data un'interpretazione che avvicina il suo contenuto al Natale.
-Entro l'epifania, o almeno spero, entro il 31 dicembre (giorno in cui tra l'altro sarò fuori casa e andrò a dormire praticamente la mattina presto) vorrei svolgere la recensione di un film che ha anche un certo valore storico. Si tratta di "Aquile randagie"... è la storia dello scoutismo italiano negli anni del Fascismo e della Resistenza.
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