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25 settembre 2025

"Gli Stati Uniti d'Africa", A. Waberi

Gli Stati Uniti d'Africa è un romanzo parodistico-provocatorio uscito nel 2007 e poco conosciuto in Italia.

A) CONTENUTI:

L'autore Abdourahman Waberi immagina un "mondo al contrario" in cui gli Stati del continente africano sono organizzati in una federazione evoluta dal punto di vista commerciale e industriale.

Le università sono ottime e dotate di ottime tecnologie. In generale, la popolazione africana vive nel benessere e ha una mentalità consumistica. Insomma, l'autore delinea un'Africa "consacrata al fitness e al lifting."

Oltre a ciò, gli africani provano diffidenza e, in qualche caso, anche disprezzo e disgusto nei confronti degli immigrati in fuga da un'Euro-America misera, sottosviluppata e dilaniata dalle guerre civili.

Eppure, ogni giorno, gli scafisti albanesi scaricano sulle coste dell'Algeria e del Marocco "migliaia di clandestini dalla pelle color latte".

Il presente romanzo delinea la Svizzera come di uno stato che, dal punto di vista cartografico e paesaggistico, ha l'aspetto di un "francobollo innevato", descrive le Fiandre come un luogo tormentato dalla fame e dalle guerre civili, parla della Grecia come lo stato in cui ha avuto origine l'AIDS, menziona una Germania piena zeppa di favelas.

B) L'INTENTO DEL LIBRO:

Probabilmente, l'intento dello scrittore, originario del Gibuti, era quello di invitare la sua cerchia di lettori a considerare l'importanza della giustizia sociale e forse anche dell'empatia.

Praticamente, a mio avviso, con questo romanzo Waberi vorrebbe chiedere a dei potenziali interlocutori: 

E se voi foste al posto nostro? Se noi africani nei secoli scorsi avessimo depredato i vostri territori? 

C) LA FIGURA DI MAYA:

Abbastanza centrale è la figura della giovane Maya, nata in Francia ma adottata, a pochi mesi di vita, da due ricchi coniugi di Banjul, capitale del Gambia.

Pur essendo circondata del calore di un'ottima famiglia adottiva, Maya soffre i pregiudizi e le offese dei compagni di classe di pelle scura che la soprannominano: "latte acido" o anche "faccia di latte".

Ad ogni modo la bambina cresce, buona e intelligente, con un padre medico e ricercatore universitario e una madre dolce e colta, amante della filologia somala e dell'arte che tuttavia si ammala gravemente quando la figlia adottiva è nel pieno dell'adolescenza e sta scoprendo il proprio talento nella scultura.

L'autore ci riporta delle brevi analisi e delle sintetiche descrizioni di alcune opere di Maya esposte in un museo:

Più intimisti, "La colomba" o "Il cuscino" sembrano evocare drammi personali. Per la prima delle due figure, solitudine o nostalgia: una ragazza con un lungo mantello gettato sulle fragili spalle tiene contro il petto, con infinita tenerezza, una colomba bianca. 

L'uccello, fuggito dall'arca di Noè, simboleggia-come tutti sanno- l'amore o la costanza. Per la seconda, abbandono e forse stanchezza. 

In una vena decisamente più gaia, "Aida" (rilievo color terra di Siena) rappresenta una giovane molto raggiante di vita incontrata a Mogadiscio. Vivacità del tratto, fedeltà di tono.

In seguito, l'autore dichiara questo: "L'artista è custode del futuro, non del passato".

Condividete? Io non del tutto.

L'artista con una solida formazione accademica si ispira al passato, o , in ogni caso, non potrà mai totalmente ignorarlo, nemmeno per quel che concerne i movimenti artistici di cui non condivide i principi fondanti.

Certamente l'artista custodisce anche il futuro: ad esempio, in letteratura, il modernismo nasce come contrapposizione e reazione allo stile narrativo lento e tendenzialmente ipotattico del romanzo storico. 

In seguito, Maya diventa adulta e sente il bisogno e il desiderio di conoscere il paese in cui è nata: a 32 anni compie quindi un viaggio in Francia per incontrare la sua vera madre e per riconciliarsi con se stessa.

Dopo due mesi di permanenza in terra francese, la donna ritorna in Africa confermando la propria idea di umanità dal momento che "gli uomini sono aquiloni legati gli uni agli altri dai fili del linguaggio".

Il linguaggio non è la lingua, non è fatto solo di parole ma anche di gesti, sguardi, espressioni facciali, posture e movimenti del corpo.

Anche il non-verbale è espressivo, perché "non si è pienamente se stessi se non ci si fa attraversare dal corpo e dalla parola degli altri".

D) IL MIGRANTE CON IL BERRETTO IN TESTA:

Un berretto sporco sulla testa, una borsa in mano, fa la sua comparsa in un pomeriggio umido, insieme a grandi nuvole spesse portatrici di tempesta. Si è messo lì, in diagonale rispetto alla casa. Non ha detto una parola a nessuno. Probabilmente non parla la lingua del paese. Forse non desidera impararla. Si dice che sia sbucato dal retro della fabbrica in disuso, laggiù, vicino al binario della ferrovia che si perde nei campi di miglio o nel giallo splendente della colza. Si dice che venga da molto lontano. 

È l'uomo che è sceso dall'autobus. Che ha sbagliato linea una sera di tornado. Che non si è mosso di un millimetro da quando è là. Che adesso si trascina da queste parti. Che si circonda di mistero. Che abita un silenzio spuntato da non si sa dove. È l'uomo che, con le dita lunghe come piume d'aquila, cerca di disegnare qualcosa nella polvere. Che ha il singhiozzo di uno che ha bevuto troppo. Che non parla con nessuno perché forse non parla correttamente la lingua federale, o perché le parole uscite dalla sua bocca restano impercettibili.

(...)

Non andrà lontano. Lo si ritroverà nello stesso posto, o steso sulla panca sotto la pensilina dell'autobus.

Ha un'aria assente e tetra. Si tratta di un uomo ridotto alla miseria, è un senza tetto ed è senza lavoro e lasciato allo sbando, senza una formazione che gli garantisca almeno una competenza linguistica. Dunque, non ha valide opportunità di integrarsi. Si tratta di un uomo senza futuro ma anche senza presente.Quanti come lui in Italia?

Qui l'autore fa dell'immigrato con il berretto l'emblema dell'incomunicabilità. Di dove è originario? Com'è stato il suo vissuto?

Più avanti, l'autore rivela che l'uomo con il berretto in testa è uno svizzero di madre lingua francese: si chiama infatti Maximilien ed era un falegname.

Una mattina, la polizia lo trova in una pozza di sangue. 

Le uniche cose che questo immigrato senza reti sociali di ausilio teneva tra le mani erano il suo berretto e una lettera destinata alla sua famiglia di Zurigo:

(...) L'inchiesta è stata condotta in modo raffazzonato da uno stagista foruncoloso venuto da Arusha. Tale Maximilien Geoffroy de Saint-Hilare, nato in data sconosciuta nel cantone di Zurigo, falegname che esercitava il suo mestiere ad Asmara, Eritrea, Stati Uniti d'Africa, è stato trovato morto in un vicolo senza uscita adiacente rue Toussaint-Louverture. Vicolo tranquillo perché lontano dalle strade che la notte respirano, si agitano e salmodiano in preda a un fervore vitale. Con ogni evidenza, sembrerebbe essere morto a tarda notte. Abbandonato, nuca a terra. Dissanguato, morto per mancanza di soccorsi. (...) Nessun movente. Nessuna storia. Nessun testimone. Nessun precedente. Lo stagista ha archiviato il caso, concludendo che il decesso avrebbe avuto come origine una rissa finita male.

E) LO STILE:

A tratti è poetico, come dimostra la frase che segue: "La luce, a volte, filtra attraverso il peso delle nuvole".

Oltre a ciò, Waberi fa ricorso abbastanza frequentemente alle anafore, utili a rendere il metodo narrativo espressivo e coinvolgente.

Replico parte delle precedenti citazioni:

-"Si dice che sia sbucato dal retro della fabbrica in disuso, laggiù, vicino al binario della ferrovia che si perde nei campi di miglio o nel giallo splendente della colza. Si dice che venga da molto lontano. "

-"Che ha sbagliato linea una sera di tornado. Che non si è mosso di un millimetro da quando è là. Che adesso si trascina da queste parti. Che si circonda di mistero. Che abita un silenzio spuntato da non si sa dove."

-"Nessun movente. Nessuna storia. Nessun testimone. Nessun precedente".

Tuttavia, in qualche passaggio, lo stile risulta un po' tortuoso e quindi non propriamente scorrevole, appesantito soprattutto per la presenza di frasi incidentali, come qui:

È nato in una favela insalubre alla periferia di Zurigo, dove la mortalità infantile e il tasso di diffusione dell'AIDS- una malattia comparsa una ventina d'anni fa in Grecia, negli ambienti equivoci della prostituzione, della droga e dello stupro, e diventata un'endemia universale, a quanto dicono i grandi sacerdoti della scienza mondiale riuniti a Mascate, nel grande regno di Oman- restano tra i più elevati secondo gli studi dell'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), che come tutti sanno ha sede nel nostro paese, nella pacifica e tranquilla città di Banjul.

Poesia dedicata ai migranti alla ricerca di un futuro, con la speranza negli occhi:



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