Questo è un post che riassume la biografia di Giorgio Perlasca, figura estremamente positiva e lodevole che molti ragazzi delle scuole superiori e molti giovani non conoscono.
Nel 2002 è stato girato un film, a mio avviso ben fatto, su quest'uomo e sui suoi avvincenti tentativi di salvare gli ebrei ungheresi.
Il percorso politico, ideologico ed etico di Perlasca è davvero interessante.
1. Le origini e la giovinezza:
Giorgio Perlasca era nato a Como nel 1910. Era ancora un bambino quando il padre Carlo aveva deciso di trasferirsi a Padova per motivi di lavoro.
Da giovanissimo Giorgio aveva aderito con entusiasmo al Fascismo. Nutriva una forte ammirazione per D'Annunzio, al punto che, nel sostenere le idee nazionaliste di questo nostro letterato, si era scontrato con un suo insegnante che condannava invece l’impresa di Fiume.
Nel 1930, terminata la maturità, aveva deciso di aderire alla Camicie Nere. Per questo ragazzo, gran parte degli anni Trenta sono caratterizzati ancora da una grande fedeltà verso il fascismo: Giorgio si era arruolato come volontario prima nella guerra coloniale d'Etiopia, nel '36, e poi, nel '37, aveva deciso di partecipare anche alla guerra civile spagnola, naturalmente dalla parte del dittatore Francisco Franco.
Fra il '37 e il '39, oltre a ricoprire nelle battaglie il ruolo di artigliere, aveva avuto modo di avvicinarsi alle tradizioni spagnole.
Però nel '39, rientrato in Italia e venuto al corrente delle leggi razziali, Perlasca inizia ad allontanarsi dal fascismo e a distaccarsi da interessi politici. Non ha mai condiviso le idee antisemite del nazi-fascismo. Nel 1940 si era sposato con una donna triestina.
2. Gli anni a Budapest e il salvataggio di migliaia di vite:
Inizia poco dopo il secondo conflitto mondiale.
Giorgio Perlasca era allora stato inviato come commerciante di bestiame nei paesi dell'Est. E infatti, nel 1942 approda in Ungheria a Budapest, in qualità di agente venditore per una ditta di Trieste di importazione di bovini.Nel giorno dell'armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) , Perlasca si trovava ancora a Budapest. A causa del suo rifiuto di aderire alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, era stato ricercato e arrestato dai tedeschi. Ma era riuscito a fuggire e a trovare rifugio presso l'ambasciata spagnola (a Budapest c'era una sede dell'ambasciata spagnola).
Grazie a un attestato che provava la sua partecipazione alla guerra civile spagnola e che gli garantiva assistenza diplomatica, Giorgio era riuscito ad ottenere dall'ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli. In questo modo era riuscito a diventare "Jorge Perlasca" e così, durante i suoi tentativi di proteggere e di salvare gli ebrei ungheresi, si spacciava per un "console di Spagna". Gli ebrei scampati alla deportazione grazie a Perlasca venivano poi ospitati in case protette, soggette all'extra-territorialità per copertura diplomatica. Da rilevare inoltre anche che Perlasca, con l'aiuto di alcuni diplomatici ungheresi e spagnoli anti-nazisti, era riuscito a creare migliaia di documenti falsi per poter permettere alle famiglie ebree di trasferirsi in Svizzera o negli Stati Uniti. Ha salvato 5218 ebrei!
Nel 1944 la situazione in Ungheria era peggiorata. Avevano preso il potere le Croci Frecciate, dei violenti militari ungheresi di idee naziste e fortemente antisemite. Il film che vi ho indicato sopra l'ho visto pochi giorni fa; e ho notato una differenza tra i soldati tedeschi nazisti (che in quegli anni erano dappertutto in Europa) e i soldati ungheresi: i generali tedeschi fanno del male "con il muso lungo", visto che in quel film appaiono duri ma al contempo piuttosto provati. I componenti delle Croci Frecciate mi sono sembrati invece decisamente più crudeli: violentano, picchiano e uccidono sempre con risate diaboliche e sprezzanti, per il puro gusto di farlo.
Negli ultimi due anni di guerra c'erano delle caserme di tortura a Budapest, riservate a ebrei e dissidenti politici. Non c'erano soltanto a Budapest, ma ciò che avveniva al loro interno era veramente orribile. Perlasca, quando si reca in una caserma di tortura a Budapest per liberare una donna ebrea, madre di una bambina piccola, vede cadaveri ammucchiati, alcuni ancora sanguinanti, altri con volti tumefatti o bruciacchiati.
A questo proposito penso a un romanzo, che vi consiglio vivamente. E' di Renata Viganò, che è stata infermiera e partigiana bolognese. Si intitola "L'Agnese va a morire". Già il titolo contiene il finale del libro. Comunque, Agnese è una donna di mezz'età che, una volta rimasta vedova (il marito, in quanto comunista, era stato arrestato e deportato dai fascisti ed era morto), decide, a partire dall'autunno '43, con il suo dolore e la sua solitudine, di aiutare i partigiani. Il romanzo è ambientato nelle campagne emiliane e, se acquistate o vi fate dare in prestito l'edizione Einaudi, apprendete bene bene quella fondamentale parte di storia del Novecento compresa tra '43 e '45, che a scuola, purtroppo e abbastanza spesso, si approfondisce poco. Scoprite ad esempio che la Todt era un'impresa di costruzioni fondata da un ingegnere tedesco (Fritz Todt) al fine di ridurre la disoccupazione in Germania negli anni '30. Durante la guerra però, la Todt era divenuta un'organizzazione che costruiva esclusivamente fortezze militari lungo il Mediterraneo, l'Atlantico e l'Adriatico.
Quanti di voi sanno cos'è il proclama di Alexander, generale americano?! Mi riferisco all'ottobre del '44, momento in cui americani, inglesi e sovietici prevedevano la sconfitta della Germania e dell'Italia. Gli Alleati sapevano benissimo che nell'Italia del Nord c'era una situazione di guerra civile e che i partigiani lottavano sì, ma lasciavano per sempre mogli e figli perché molti di loro morivano in modo terribile, sotto tortura oppure attraverso delle fucilazioni. Ma hanno aspettato a liberare il nord Italia, hanno fatto i loro comodi: "Qui in Italia noi stiamo bene, abbiamo la vittoria in mano. Per questo rimanderemo la vostra libertà alla primavera del '45."
Ad ogni modo, ho voluto citare "L'Agnese va a morire" per il fatto che in quest'opera si accenna anche di torture e di persecuzioni, ma non in modo patetico bensì in un modo realistico, in cui emerge la volontà di "combattere e morire per la libertà".
3. Il ritorno a casa di Perlasca:
Nel '45, dopo l’entrata in Budapest dell’Armata Rossa, Giorgio Perlasca era stato fatto prigioniero. Liberato dopo qualche giorno era rientrato finalmente in Italia passando per la Turchia.
Aveva poi scritto un memoriale sulle attività svolte che aveva inviato al Governo italiano e all'Ambasciata spagnola. Dopo la guerra, per molti anni, Perlasca aveva condotto uno stile di vita semplice, senza che nulla mai gli venisse riconosciuto e premiato.
Aveva poi scritto un memoriale sulle attività svolte che aveva inviato al Governo italiano e all'Ambasciata spagnola. Dopo la guerra, per molti anni, Perlasca aveva condotto uno stile di vita semplice, senza che nulla mai gli venisse riconosciuto e premiato.
4. Gli anni Ottanta: emerge la figura di un "giusto":
Arriviamo agli anni '80. Alcune donne ebree ungheresi, adolescenti all’epoca della Shoah, attraverso il giornale della comunità ebraica di Budapest, avevano chiesto notizie a proposito di un diplomatico spagnolo che durante la seconda guerra mondiale le aveva salvate.
E' stato così che l'operato di Perlasca era riemerso dal silenzio e dall'alone grigio dell'indifferenza.
Le testimonianze delle sopravvissute sono numerose. Perlasca stesso accetta di recarsi in alcuni istituti scolastici per raccontare il suo generoso e rischioso periodo ungherese.
Le testimonianze delle sopravvissute sono numerose. Perlasca stesso accetta di recarsi in alcuni istituti scolastici per raccontare il suo generoso e rischioso periodo ungherese.
Il 23 settembre 1989 viene proclamato dallo stato d'Israele "Giusto fra le Nazioni".
Anche a Budapest, nel cortile della sinagoga, il nome di Perlasca appare in una lapide che riporta l'elenco dei Giusti.
Questo signore è morto il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova.
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